I reati di truffa e falso, in ragione della loro gravità, pur se non connessi all’attività lavorativa espletata (per conto di Poste Italiane), riverberanotuttavia, i loro effetti negativi direttamente nell’ambito lavorativo, posto che per la loro natura compromettono irrimediabilmente l’elemento fiduciario insito nel rapporto di lavoro con il servizio di pubblica rilevanza svolto dall’azienda, anche in relazione al grado di affidamento richiesto dalle mansioni di portalettere, incaricato di pubblico servizio.

Nota a Cass. (ord.) 12 dicembre 2024, n. 32136

Alfonso Tagliamonte

“Benché solo una condotta posta in essere mentre il rapporto di lavoro è in corso possa integrare stricto iure una responsabilità disciplinare del dipendente – diversamente non configurandosi neppure un obbligo di diligenza e/o di fedeltà ex artt. 2104 e 2105 c.c. e, quindi, la sua ipotetica violazione sanzionabile ai sensi dell’art. 2106 c.c. – condotte costituenti reato, sebbene realizzate prima dell’instaurarsi del rapporto di lavoro, ed anche a prescindere da apposita previsione contrattuale, possono integrare giusta causa di licenziamento, purché siano state giudicate con sentenza di condanna irrevocabile intervenuta a rapporto ormai in atto e si rivelino – attraverso una verifica giurisdizionale da effettuarsi sia in astratto sia in concreto – incompatibili con il permanere di quel vincolo fiduciario che lo caratterizza”.

Così, la Corte di Cassazione (ord.) 12 dicembre 2024, n. 32136, conf. a Cass. n. 3076/2020 e Cass. 24259/2016 relative alla medesima fattispecie di un licenziamento intimato ad un dipendente di Poste Italiane s.p.a. in relazione a condotte poste in essere in data antecedente all’instaurarsi del rapporto di lavoro ed oggetto di condanna penale passata in giudicato intervenuta a rapporto in atto.

Circa la permanenza del rapporto fiduciario fra datore e dipendente, i giudici hanno chiarito che la fiducia richiesta è di differente intensità a seconda della natura e della qualità del singolo rapporto, della posizione delle parti, dell’oggetto delle mansioni e del grado di affidamento che queste richiedono. Ed hanno riscontrato una grave lesione del vincolo fiduciario avuto riguardo alle circostanze del caso e, specificamente, al particolare vincolo di fiducia che quel rapporto comportava, in relazione ai compiti rimessi alla responsabilità dell’agente postale. Ciò, “valorizzando, da un lato, la natura di servizio pubblico, ancorché in regime privatistico, dell’attività svolta dal datore di lavoro e delle mansioni di portalettere svolte dal V. e, dall’altro, la gravità, anche sotto il profilo dell’elemento intenzionale, delle condotte, penalmente rilevanti, poste in essere dal lavoratore, il quale è stato condannato con sentenza irrevocabile alla reclusione in relazione a reati di truffa e falso, per aver predisposto falsa documentazione medica finalizzata ad ottenere la percezione di emolumenti di pensione non dovuti”.

La lesione del rapporto fiduciario era tale altresì da “compromettere le aspettative datoriali sul futuro corretto adempimento dell’obbligazione lavorativa in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività, perché di gravità tale, per contrarietà alle norme dell’etica e del vivere comuni, da connotare la figura morale del lavoratore”.

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 dicembre 2024, n. 32136

Lavoro – Reclamo – Licenziamento disciplinare – Reati di truffa e falso – Falsa documentazione – Emolumenti per pensione non dovuti – CCNL Poste – Rapporto fiduciario tra datore e dipendente – Giusta causa e proporzionalità – Inammissibilità

Rilevato che

1.La Corte di appello di Napoli con sentenza n. 5057/2021 pubblicata il 2/11/2021 ha rigettato il reclamo proposto da R.V. avverso la sentenza n. 2845/2021 con cui il Tribunale di Napoli aveva rigettato il ricorso in opposizione ex L. n. 92/2012 avverso l’ordinanza di rigetto dell’impugnativa di licenziamento proposta dal ricorrente.

R.V., premesso di aver lavorato per Poste Italiane s.p.a. espletando mansioni da portalettere, impugnava il licenziamento, avente natura disciplinare, intimato, ai sensi degli artt. 54, comma 6, lett. h e 80, lett. e del CCNL di categoria del 30.11.2017, con provvedimento del 17/06/2020, all’esito di procedimento avviato con contestazione di addebito del 28/05/2020.

Poste Italiane s.p.a., nello specifico, contestava al ricorrente: di aver acquisito conoscenza del passaggio in giudicato – a seguito della declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione con sentenza n. 33476/2019 del 2.7.2019 – della sentenza penale n. 2204/2016 con la quale veniva inflitta al V. la pena di anni due e mesi quattro di reclusione, in relazione ai reati di truffa e falso commessi confezionando falsa documentazione finalizzata ad ottenere la percezione di emolumenti per pensione non dovuti; che “dalla documentazione estratta dal fascicolo penale, emerge che Lei, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, autonomamente dagli altri imputati ed in concorso con altre persone, contraffacendoli in ogni sua parte, anche mediante l’utilizzo di timbri e sigilli dello stato falsi e false firme, realizzava falsi documenti ed in particolare verbali di accertamento di invalidità dell’ASL NA I distretto 53 ex 33 che venivano inoltrati presso gli uffici della IV Municipalità di Napoli Poggioreale, inducendo cosi in errore i pubblici funzionari della IV Municipalità e quindi i competenti uffici dell’INPS che le erogavano falsa pensione di invalidità con i relativi arretrati ( delitti di cui agli art. 81 cvp. Cp, 110 cp, 640 cp comma 2, n.1, 468 476 477 482 cp, 48 e 479 cp); (…) La sua responsabilità per le citate condotte è stata definitivamente acclarata con la sentenza della Suprema Corte sopra richiamata.

Al riguardo, Le evidenziamo che i fatti di cui sopra per la loro gravità, pur non connessi all’attività lavorativa che lei espleta per conto di Poste Italiane, riverberano tuttavia i loro effetti negativi direttamente nell’ambito lavorativo, posto che per la sua natura compromettono irrimediabilmente l’elemento fiduciario insito nel rapporto di lavoro con questa società in virtù non solo del servizio di Pubblica rilevanza svolto dall’azienda ma anche del grado di affidamento richiesto dalle mansioni da lei ricoperte, ovvero di portalettere, incaricato di pubblico servizio..”.

Il V. lamentava l’assenza di connessione con il rapporto di lavoro dei fatti posti a fondamento della condanna riferibili ad un periodo in cui egli non prestava attività lavorativa per conto di Poste, essendo stato il ricorrente riassunto in data 12/05/2011, per effetto della conversione giudiziale del contratto a termine stipulato inter partes dal 12/2/2002 al 30/4/2002.

2. La Corte d’appello, a sostegno della pronuncia, da un lato, rilevava che il contratto a tempo indeterminato si era protratto dal 28/01/2002, in virtù della sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 921/2011, dichiarativa della nullità del contratto di lavoro a termine stipulato in tale data; dall’altro, evidenziava che, in ogni caso, alcune condotte costituenti reato poste in essere prima dell’instaurazione del rapporto, pur non potendo integrare una responsabilità disciplinare, possono integrare la giusta causa di licenziamento, purché siano state giudicate con sentenza di condanna irrevocabile intervenuta a rapporto ormai in atto e si rivelino, attraverso una verifica giurisdizionale da effettuarsi sia in astratto che in concreto, incompatibili con il permanere del vincolo fiduciario.

In base a tali considerazioni riteneva che, indipendentemente dalla ricorrenza o meno della fattispecie tipizzata dal CCNL, del tutto correttamente il Giudice di prime cure avesse ritenuto integrata la nozione legale di giusta causa, tenuto conto della natura dell’attività svolta dall’impresa datrice di lavoro, di espletamento di un servizio pubblico, ancorché in regime giuridico privatistico, e delle condotte oggetto di condanna con sentenza passata in giudicato.

Condivideva al riguardo la valutazione svolta in primo grado circa il carattere di grave negazione degli elementi di base del rapporto di lavoro con conseguente lesione del vincolo fiduciario, “in considerazione della natura del rapporto e dell’elevato grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni cui il V. era addetto, specificamente quelle inerenti lo svolgimento di un pubblico servizio quale quello del portalettere”.

3. Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il V. affidato ad un unico motivo.

4. Poste Italiane s.p.a. replica con controricorso.

5. S.P.I. s.p.a. ha depositato memorie.

Considerato che

1.Con l’unico motivo di ricorso il V. deduce la violazione di legge, ex art. 360 comma 1, n.3, in relazione all’art. 2119 c.c. e censura la sentenza gravata per “non avere valutato adeguatamente la condotta accertata, per aver omesso qualsivoglia valutazione inerente l’intensità dell’elemento intenzionale e/o le precedenti modalità di attuazione del rapporto e/o la sussistenza di un danno per la società e/o per aver fornito inadeguate valutazioni in ordine alla natura del rapporto ed al grado di affidamento delle mansioni, conseguendone una violazione evidente dei parametri integrativi della “clausola generale”, così come elaborati dalla giurisprudenza di legittimità”.

Nello specifico, deduce che il giudice del reclamo avrebbe dovuto valutare: le modalità precedenti di attuazione del rapporto posto che, come rilevato a pag. 11 del reclamo (doc. B fascicoletto), il ricorrente “non era mai stato destinatario di alcun procedimento disciplinare nei lunghi 8 anni trascorsi dalla riammissione in servizio sino alla data del licenziamento”; l’assenza di danno per la società.

Lamenta che le valutazioni svolte dal giudice del reclamo in relazione alla natura del rapporto ed al grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente concretizzavano, per la loro inadeguatezza, una mera petizione di principio.

Deduce, inoltre, che ove la Corte d’appello avesse correttamente escluso la ricorrenza di una giusta causa di licenziamento ex art. 2119 c.c. avrebbe dovuto esaminare la questione, ritenuta invece assorbita, dell’inapplicabilità dell’art. 54, comma 6, lett. h del CCNL Poste al caso di specie posto che tale norma presuppone la pendenza del rapporto di lavoro laddove i fatti costituenti reato, come accertati in sede penale, erano stati posti in essere – come riconosciuto dalla stessa società che deduce che “gli indebiti emolumenti sono stati percepiti nel 2010 e il documento oggetto di falso è datato 17.4.2009” – durante il periodo in cui tra le parti non intercorreva alcun rapporto di lavoro essendo stato il V. riammesso al lavoro solo dal 12.5.2011.

2. Il motivo è inammissibile. Occorre, infatti, premettere che è sindacabile, da parte della Corte di cassazione, l’attività di integrazione del precetto normativo compiuta dal giudice di merito con riferimento ad una norma cd. ‘elastica’, che indichi solo parametri generali e che necessiti di attribuzione di concretezza ai fini del suo adeguamento ad un determinato contesto storico – sociale.

Tale principio (come ancora recentemente ritenuto da Cass. n. 7029 del 09/03/2023, Rv. 667031-01; Cass. n. 7426 del 26/03/2018, Rv. 647669-01; Cass. n. 7568 del 15/04/2016) trova applicazione in tema di giusta causa di licenziamento e proporzionalità della sanzione disciplinare, nozioni che la legge, allo scopo di adeguare le norme alla oggettività da regolare, articolata e mutevole nel tempo, configura con disposizioni, ascrivibili alla tipologia delle cosiddette clausole generali, di limitato contenuto e delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la disposizione di cui all’art. 2119 cod. civ. tacitamente richiama.

Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è, quindi, deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, a condizione che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica, ma contenga invece una specifica denuncia di incoerenza del giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale.

L’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. (norma cd. elastica), compiuta dal giudice di merito – ai fini della individuazione della giusta causa di licenziamento – non può, dunque, essere censurata in sede di legittimità allorquando detta applicazione rappresenti la risultante logica e motivata della specificità dei fatti accertati e valutati nel loro globale contesto.

L’accertamento della concreta ricorrenza, nel singolo rapporto, degli elementi fattuali che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, ovvero a far sussistere la proporzionalità tra infrazione e sanzione, si pone, infatti, sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici.

3. Il sindacato di legittimità ex art. 360, n. 3, c.p.c., rimane, dunque, praticabile nei casi in cui gli “standards” valutativi, sulla cui base è stata definita la controversia, finiscano per collidere con i principi costituzionali, con quelli generali dell’ordinamento, con precise norme suscettibili di applicazione in via estensiva o analogica, o si pongano in contrasto con regole che si configurano, per la costante e pacifica applicazione giurisprudenziale e per il carattere di generalità assunta, come diritto vivente (in tal senso Cass. n. 7305 del 23/03/2018, Rv. 647544 – 01, che ha confermato la sentenza di appello che aveva ritenuto la legittimità del licenziamento per giusta causa conseguente a sentenza penale di condanna, in quanto il ricorrente non aveva censurato la violazione dei suddetti “standard” valutativi bensì l’apprezzamento della gravità dei fatti compiuto dal giudice di merito; cfr. Cass. n. 13534 del 20/05/2019, Rv. 653963-01).

4. Questa Corte ha, altresì, precisato che la giusta causa di licenziamento, quale clausola generale, viene integrata valutando una molteplicità di elementi fattuali, la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., solo ove si denunci che la combinazione ed il peso dei dati fattuali, come definiti ed accertati dal giudice di merito, non ne consentono la riconduzione alla nozione legale; al contrario, l’omesso esame di un parametro, tra quelli individuati dalla giurisprudenza, avente valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia, va denunciato come vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., ferma, in tal caso, la possibilità di argomentare successivamente che tale vizio avrebbe cagionato altresì un errore di sussunzione per falsa applicazione di legge (cfr. Cass. n. 18715 del 23/09/2016, Rv. 641229-01; Cass. n. 14504 del 28/05/2019, Rv. 654061 – 01).

5. Nel caso in esame, il denunciato vizio di violazione di legge lungi dall’investire, come dovuto, problematiche attinenti all’interpretazione delle norme invocate, mira a contestare l’esito dell’apprezzamento operato dalla Corte territoriale con riferimento agli elementi in fatto – quali le caratteristiche oggettive e soggettive delle condotte addebitate e gli esiti del loro impatto sul rapporto di lavoro – legittimanti la sussunzione della fattispecie nelle predette norme senza che siano adeguatamente isolati e specificati gli standards conformi ai valori dell’ordinamento esistenti nella realtà sociale asseritamente violati.

Le censure articolate consistono piuttosto in contestazioni meramente contrappositive, che sollecitano una rivisitazione critica della ricognizione e della valutazione, di competenza esclusiva del giudice di merito, cui esso ha provveduto con argomentata ed esauriente motivazione, esente da vizi logici e giuridici.

6. La Corte territoriale ha, peraltro, correttamente rilevato come, benché solo una condotta posta in essere mentre il rapporto di lavoro è in corso possa integrare stricto iure una responsabilità disciplinare del dipendente – diversamente non configurandosi neppure un obbligo di diligenza e/o di fedeltà ex artt. 2104 e 2105 c.c. e, quindi, la sua ipotetica violazione sanzionabile ai sensi dell’art. 2106 c.c. – condotte costituenti reato, sebbene realizzate prima dell’instaurarsi del rapporto di lavoro, ed anche a prescindere da apposita previsione contrattuale, possono integrare giusta causa di licenziamento, purché siano state giudicate con sentenza di condanna irrevocabile intervenuta a rapporto ormai in atto e si rivelino – attraverso una verifica giurisdizionale da effettuarsi sia in astratto sia in concreto – incompatibili con il permanere di quel vincolo fiduciario che lo caratterizza (si veda al riguardo Cass. n. 24259 del 29/11/2016, Rv. 641708-01 e Cass. n. 3076 del 10/02/2020, entrambe relative alla medesima fattispecie, sovrapponibile a quella in esame, di licenziamento intimato ad un dipendente di Poste Italiane s.p.a., in relazione a condotte, poste in essere in data antecedente all’instaurarsi del rapporto di lavoro ed oggetto di condanna penale passata in giudicato intervenuta a rapporto in atto).

Su tale premessa la Corte d’appello ha operato la valutazione in ordine alla permanenza del rapporto fiduciario tra datore e dipendente, tenuto conto che la fiducia richiesta è di differente intensità a seconda della natura e della qualità del singolo rapporto, della posizione delle parti, dell’oggetto delle mansioni e del grado di affidamento che queste richiedono, concludendo per la gravità della lesione del vincolo fiduciario avuto riguardo alle circostanze del caso e, specificamente, al particolare vincolo di fiducia che quel rapporto comportava, in relazione ai compiti rimessi alla responsabilità dell’agente postale, valorizzando, da un lato, la natura di servizio pubblico, ancorché in regime privatistico, dell’attività svolta dal datore di lavoro e delle mansioni di portalettere svolte dal V. e, dall’altro, la gravità, anche sotto il profilo dell’elemento intenzionale, delle condotte, penalmente rilevanti, poste in essere dal lavoratore, il quale è stato condannato con sentenza irrevocabile alla reclusione in relazione a reati di truffa e falso, per aver predisposto falsa documentazione medica finalizzata ad ottenere la percezione di emolumenti di pensione non dovuti.

7. Al riguardo va evidenziato che, per giurisprudenza costante di questa Corte, comportamenti illeciti del lavoratore, che possono essere considerati non di gravità tale da giustificare l’espulsione da un’azienda svolgente un’attività puramente privatistica, possono al contrario rompere il legame fiduciario ed il connesso requisito di affidabilità che sta alla base di un rapporto di lavoro costituito per l’espletamento di un servizio pubblico, ancorché in regime giuridico privatistico, posto che “l’impegno di capitale pubblico e la pubblicità del fine perseguito, che sottomettono l’attività svolta ai principi di imparzialità e di buon andamento di cui agli artt. 3 e 97 Cost., non è senza riflesso nei doveri gravanti sui lavoratori dipendenti, che debbono assicurare affidabilità, nei confronti del datore di lavoro e dell’utenza, anche nella condotta extralavorativa” (così Cass. n. 3136 del 17/02/2015, Rv. 634323 – 01; si veda altresì in ordine alla particolare rilevanza della natura di servizio pubblico svolto da Poste Italiane ai fini della valutazione della gravità dell’inadempimento, Cass. n. 27082 del 25/10/2018, Rv. 651291-01; Cass. n. 20083 del 30/07/2018, Rv. 650117-01; Cass. n. 776 del 19/01/2015, Rv. 634295 – 01. Cfr. Cass. Sez. L, n. 17321 del 19/08/2020, Rv. 658797 – 01).

8. Deve ritenersi che, pertanto, alcuna violazione attinente alla specificazione in concreto dei parametri normativi attinenti alle nozioni di giusta causa e proporzionalità del licenziamento è ravvisabile, avendo il giudice di merito correttamente effettuato una valutazione degli elementi di fatto acquisiti in giudizio alla stregua degli standard, conformi ai valori dell’ordinamento ed esistenti nella realtà sociale, giungendo a ritenere che la condotta fosse tale da compromettere le aspettative datoriali sul futuro corretto adempimento dell’obbligazione lavorativa in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività, perché di gravità tale, per contrarietà alle norme dell’etica e del vivere comuni, da connotare la figura morale del lavoratore.

9. Il ricorso, in conclusione, va dichiarato inammissibile.

10. Il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente liquidate come da dispositivo.

11. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13. (ndra norma del comma 1-bis dello stesso art. 13)

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente V.R. al pagamento, in favore di Poste Italiane s.p.a., delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13. (ndr a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13)

Reati non connessi all’attività lavorativa e licenziamento
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