Nel pubblico impiego, esclusa la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato, in caso di somministrazione a termine illegittima si configura un contratto di lavoro subordinato a termine illegittimo per effetto della sostituzione dell’utilizzatore-pubblica amministrazione alla agenzia di somministrazione. I lavoratori hanno diritto all’intero trattamento economico spettante presso l’azienda, ivi compresa la progressione economica.
Nota a Cass. (ord.) 9 dicembre 2024, n. 31545
Maria Novella Bettini
A fronte dell’illegittimità della somministrazione, nel pubblico impiego, non operando la «conversione», resta fermo, tuttavia, “l’anteriore effetto di sostituzione soggettiva della pubblica amministrazione‒utilizzatrice nel rapporto di lavoro a termine intercorrente tra Agenzia di somministrazione e lavoratore somministrato; tale effetto, invero, non trova ostacolo nella previsione dell’articolo 36 D.Lgs n. 165/2001, che impedisce la costituzione di rapporti di lavoro «a tempo indeterminato» con le pubbliche amministrazioni; di talché la disciplina applicabile per effetto della sostituzione dell’utilizzatore‒pubblica amministrazione alla agenzia di somministrazione è quella del contratto di lavoro subordinato a termine illegittimo, restando esclusa, invece, la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato e, in assenza di essa, la applicazione dell’articolo 32, comma 5, della legge n. 183/2010”.
È quanto afferma la Corte di Cassazione ord. 9 dicembre 2024, n. 31545 (conf. Cass. n. 446/2021, punti 32-34), la quale, in linea con i giudici di merito, chiarisce che:
– nell’ipotesi di contratti di somministrazione, ripetutamente prorogati e nulli per mancanza dei requisiti della temporaneità ed eccezionalità dell’esigenza dell’utilizzatore, “la negazione del diritto alla progressione economica si pone in contrasto con il principio di non discriminazione, alla luce della disciplina contrattuale collettiva in materia e tenuto conto dell’onere di allegazione e di prova a carico rispettivo di ciascuna delle parti”;
– la clausola 4, punto 1, dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato oggetto della Direttiva 1999/70/CE stabilisce infatti che: “Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive”;
– il principio di non discriminazione, recepito dall’ordinamento interno (già dall’art. 6, D.Lgs n. 368/2001), nell’interpretazione della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE “si applica ai contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e gli altri enti del settore pubblico ed esige che sia esclusa qualsiasi disparità di trattamento tra dipendenti pubblici di ruolo e dipendenti pubblici temporanei comparabili di uno Stato membro, per il solo motivo che questi ultimi lavorino a tempo determinato, a meno che la disparità di trattamento non sia giustificata da ragioni oggettive nell’accezione di cui alla clausola 4, punto 1 di detto accordo quadro” (CGUE 8 settembre 2011, in causa C-177/10; cfr. anche Cass. 4 dicembre 2015, n. 24736);
– a fronte dell’applicabilità della disciplina del contratto di lavoro subordinato a termine illegittimo (per effetto della sostituzione dell’utilizzatore-P.A. all’agenzia di somministrazione), va “esclusa qualsivoglia ragione oggettiva utile a derogare dal principio del divieto di disparità di trattamento, in riferimento all’anzianità di servizio ai fini economici e giuridici, tanto più che si è trattato di contratti di somministrazione continuativi, rispetto ai quali non è stato applicato il principio della conversione del rapporto a tempo indeterminato sol perché si tratta, appunto, di pubblico impiego privatizzato”.
Nella fattispecie, C.C. ed altri lavoratori avevano proposto ricorso dinanzi al Tribunale‒G.L. di Rieti, esponendo di aver lavorato per l’azienda pubblica nei periodi rispettivamente indicati, inquadrati al livello “DS” del c.c.n.l. Comparto Sanità, in forza di contratti di lavoro somministrato a tempo determinato stipulati con “R.I. spa” e ripetutamente prorogati. I ricorrenti deducevano l’illegittimità di tutti i contratti e delle relative proroghe, in quanto stipulati in eccedenza rispetto ai limiti quantitativi previsti per la somministrazione di lavoro a tempo determinato, e chiedevano l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze dell’azienda, nonché del loro diritto alla progressione economica e all’anzianità di servizio per il servizio pre-ruolo.
Il Tribunale di Roma, con le sentenze n. 64 e n. 70/2014, aveva accolto il ricorso e condannato in solido sia l’azienda che l’agenzia di somministrazione al pagamento delle differenze retributive per i titoli prima precisati.
L’azienda aveva impugnato la sentenza dinanzi alla Corte d’appello di Roma che, riuniti i giudizi, con sentenza 23 settembre 2019, ha rigettato il ricorso e, pur escludendo la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato nei confronti dell’amministrazione utilizzatrice, ha riconosciuto il diritto, ex art. 2126 c.c. (prestazione di fatto), all’intero trattamento economico spettante presso di essa, ivi compresa la progressione economica di cui i lavoratori non avevano beneficiato, detratte le somme corrisposte dal somministratore secondo il disposto dell’art. 27, co. 2 , D.Lgs. n. 276/2003. Tale sentenza è stata oggetto del ricorso per cassazione in esame.
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 9 dicembre 2024, n. 31545
Lavoro – Contratti di lavoro somministrato a tempo determinato ripetutamente prorogati – Eccedenza rispetto ai limiti quantitativi previsti per somministrazione di lavoro a tempo determinato – Richiesta rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato – Richiesta diritto a progressione economica e ad anzianità di servizio per il servizio pre-ruolo – Pagamento differenze retributive – Rigetto
Rilevato che
1.con distinti ricorsi dinanzi al Tribunale‒G.L. di Rieti, C.C. e gli altri lavoratori in epigrafe esponevano di aver lavorato per A. nei periodi rispettivamente indicati, inquadrati al livello “DS” del c.c.n.l. Comparto Sanità, in forza di contratti di lavoro somministrato a tempo determinato con R.I. spa, ripetutamente prorogati; deducevano l’illegittimità di tutti i contratti e delle relative proroghe, in quanto stipulati in eccedenza rispetto ai limiti quantitativi previsti per la somministrazione di lavoro a tempo determinato, e chiedevano l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze di A., nonché del loro diritto alla progressione economica e all’anzianità di servizio per il servizio pre-ruolo.
2. il Tribunale di Roma con le sentenze n. 64 e n. 70/2014 accoglieva per quanto di ragione le domande dei ricorrenti volte alla condanna di A. e di R.I. spa in solido al pagamento delle differenze retributive per i titoli prima precisati nonché la domanda di manleva presentata dalla società somministratrice nei confronti dell’utilizzatrice A.
3. A. proponeva distinte impugnazioni dinanzi alla Corte d’appello di Roma che, riuniti i giudizi, con sentenza del 23 settembre 2019, le rigettava; in sintesi, la Corte d’appello, pur nell’acclarata illegittimità della somministrazione di lavoro, ha escluso la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato nei confronti dell’amministrazione utilizzatrice ma ha riconosciuto il diritto ex art. 2126 cod. civ. all’intero trattamento economico spettante presso di essa, ivi compresa la progressione economica di cui i lavoratori non avevano beneficiato, detratte (beninteso) le somme corrisposte dal somministratore secondo il disposto dell’art. 27 comma 2 del d.lgs. n. 276/2003;
4. avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione A. sulla base di due motivi, illustrati da memoria, cui si sono opposti i lavoratori con controricorso assistito da memoria.
Considerato che
1.con il primo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’articolo 23 del d.lgs. n. 276/2003 e dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 nonché falsa applicazione della direttiva n. 2008/104/CE;
la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere violato il principio di non discriminazione fra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato sancito dalla direttiva europea 1999/79/CE, che aveva, invece, applicato correttamente la stessa Corte d’appello in altra pronuncia (n. 1473/2018) adottata in procedimento, a suo parere, sovrapponibile;
anche la direttiva n. 2008/104/CE era stata oggetto di falsa applicazione nella sentenza impugnata, non ponendosi essa l’obiettivo di prevenire l’abuso nel ricorso alla somministrazione (v. “considerando n. 23”), in quanto l’impiego attraverso l’agenzia interinale non è ritenuto pericoloso perché contribuisce alla creazione di nuovi posti di lavoro;
2. con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., dell’articolo 2126 cod. civ., dell’art. 32 legge n. 183/2010 e, infine, dell’art. 112 cod. proc. civ. per vizio di ultra-petizione;
stante l’impossibilità di equiparare il contratto di somministrazione al contratto di collaborazione coordinata e continuativa quanto agli effetti economici, i lavoratori «non erano titolati ad invocare il trattamento economico connesso con l’appartenenza organica in virtù di dipendenza dall’ente, qual è la progressione economica operante esclusivamente laddove esista un vincolo diretto di subordinazione con A.»;
i lavoratori avevano, poi, formulato ab origine una domanda risarcitoria mentre la progressione economica, riconosciuta dal giudice di seconde cure, non poteva essere qualificata come tale, donde anche il vizio di ultrapetizione;
3. i motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione logica e giuridica, sono da disattendere;
3.1 si premette che il ricorso si richiama alla direttiva n. 2008/104/CE il cui termine di attuazione era il 5 dicembre 2011 ed è stata poi recepita il 6 aprile 2012 in virtù del d.lgs. n. 24 del 2.3.2012, sicché essa non è applicabile ratione temporis alla fattispecie, stante la circostanza, rimasta incontestata, che la somministrazione sarebbe qui perdurata fino al 14.1.2010 (v. p. 3 del ricorso per cassazione e pp. 8-9 del controricorso);
ciò posto, va precisato che restano definitivi, in quanto non impugnati, tanto la statuizione di illegittimità dei contratti di somministrazione a termine, per assenza della temporaneità ed eccezionalità dell’esigenza dell’utilizzatore ex art. 36 comma 2 del d.lgs. n. 165/2001, che il rigetto delle domande di conversione del rapporto a termine nei confronti di A.;
tanto precisato, va ribadito che nel lavoro pubblico, non operando la «conversione», resta fermo, tuttavia, a fronte dell’illegittimità della somministrazione, l’anteriore effetto di sostituzione soggettiva della pubblica amministrazione‒utilizzatrice nel rapporto di lavoro a termine intercorrente tra Agenzia di somministrazione e lavoratore somministrato; tale effetto, invero, non trova ostacolo nella previsione dell’articolo 36 d.lgs. n. 165/2001, che impedisce la costituzione di rapporti di lavoro «a tempo indeterminato» con le pubbliche amministrazioni; di talché la disciplina applicabile per effetto della sostituzione dell’utilizzatore‒pubblica amministrazione alla agenzia di somministrazione è quella del contratto di lavoro subordinato a termine illegittimo, restando esclusa, invece, la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato e, in assenza di essa, la applicazione dell’articolo 32, comma 5, della legge n. 183/2010 (Cass. n. 446 del 2021, ai punti 32-34);
3.2 questa Corte ha altresì precisato (cfr. Cass. n. 10399/2024, resa proprio sul sovrapponibile ricorso avverso la sentenza n. 1473/2018 della Corte d’appello di Roma, richiamata nel ricorso per cassazione da A.) che «la negazione del diritto alla progressione economica in caso contratti, per giunta ripetutamente prorogati, di somministrazione nulli per mancanza dei requisiti della temporaneità ed eccezionalità dell’esigenza dell’utilizzatore, si pone in contrasto con il principio di non discriminazione, alla luce della disciplina contrattuale collettiva in materia e tenuto conto dell’onere di allegazione e di prova a carico rispettivo di ciascuna delle parti.» Infatti, la clausola 4, punto 1 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato oggetto della Direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE stabilisce: «Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive».
Tale disposizione ha trovato recezione nell’ordinamento interno, sotto la medesima rubrica (Principio di non discriminazione), nell’art. 6 del d.lgs. n. 368/2001, secondo cui al prestatore di lavoro con contratto a tempo determinato spettano, oltre alle ferie, alla gratifica natalizia o alla tredicesima mensilità, il trattamento di fine rapporto ed ogni altro trattamento in atto nell’impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili» (intendendosi per tali quelli inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dalla contrattazione collettiva) «in proporzione al periodo lavorativo prestato sempre che non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine»;
nell’interpretazione della giurisprudenza della Corte di giustizia UE, la menzionata direttiva si applica ai contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e gli altri enti del settore pubblico ed esige che sia esclusa qualsiasi disparità di trattamento tra dipendenti pubblici di ruolo e dipendenti pubblici temporanei comparabili di uno Stato membro, per il solo motivo che questi ultimi lavorino a tempo determinato, a meno che la disparità di trattamento non sia giustificata da ragioni oggettive nell’accezione di cui alla clausola 4, punto 1 di detto accordo quadro (Corte giust. UE 8 settembre 2011, in causa C-177/10; cfr. Cass., sez. lav., 4 dicembre 2015, n. 24736);
nel caso di specie, stante l’applicabilità, per effetto della sostituzione dell’utilizzatore‒P.A. all’agenzia di somministrazione, della disciplina del contratto di lavoro subordinato a termine illegittimo, è esclusa qualsivoglia ragione oggettiva utile a derogare dal principio del divieto di disparità di trattamento, in riferimento all’anzianità di servizio ai fini economici e giuridici, tanto più che si è trattato di contratti di somministrazione continuativi, rispetto ai quali non è stato applicato il principio della conversione del rapporto a tempo indeterminato sol perché si tratta, appunto, di pubblico impiego privatizzato;
3.3 l’impugnata sentenza, che non si è discostata dai principi di diritto sopra richiamati, è esente da censure, anche laddove la ricorrente denuncia che essa sia incorsa in un vizio di ultrapetizione;
in relazione a un siffatto profilo, la critica si rivela, infatti, inammissibile per evidente difetto di specificità, in quanto la ricorrente si è limitata ad argomentare la censura richiamando le norme e i principi giurisprudenziali in materia ma senza trascrivere le domande ed eccezioni proposte e le statuizioni d’appello pronunciate oltre i limiti di quelle;
ed è noto che, in tema di ricorso per cassazione, l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla S.C. ove sia denunciato un error in procedendo, come nel caso in esame, presuppone l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell’iter processuale senza compiere generali verifiche degli atti (fra le tante, Cass., Sez. 5, n. 25090 del 23/08/2023; Cass., Sez. 6, n. 23834 del 25/09/2019);
4. conclusivamente, il ricorso va nel suo complesso rigettato, con addebito delle spese di legittimità (liquidate in dispositivo) alla parte soccombente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di legittimità che liquida in €. 5.000,00 per compensi ed €. 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali al 15%, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.