Il licenziamento intimato al lavoratore per aver espletato, durante il congedo per malattia, attività di vita quotidiana, come camminare per recarsi al mercato rionale, è illegittimo, con conseguente diritto alla reintegrazione sul luogo di lavoro, ove risulti che tale condotta non abbia pregiudicato la guarigione o il tempestivo rientro in servizio.
Nota a Trib. Milano 18 dicembre 2024, R. G. N. 11236/2024
Sonia Gioia
“Lo svolgimento da parte del lavoratore in stato di malattia di attività extra-lavorativa non è illecito, se non in quanto integri violazione dell’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c. come integrato dagli artt. 1175 e 1375, ciò che si verifica se l’attività in questione può ritardare la guarigione ovvero l’attività assuma portata palesativa della simulazione della malattia”.
Sicché, il licenziamento intimato al prestatore per aver svolto attività extra-lavorativa, durante l’assenza dal lavoro per malattia, è illegittimo e va annullato ai sensi dell’art. 18, co. 4, L. 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. Statuto dei Lavoratori), con conseguente diritto del prestatore alla reintegrazione sul luogo di lavoro e al risarcimento del danno, ove emerga che la condotta del dipendente sia inidonea a pregiudicare il recupero delle proprie energie psicofisiche.
Lo ha stabilito il Tribunale di Milano (18 dicembre 2024, R.G.N. 11236/2024), in relazione ad una fattispecie concernente il licenziamento disciplinare intimato ad una dipendente per aver svolto, durante il periodo di congedo per malattia e a distanza di 5 giorni dall’infortunio occorsole (distacco osseo del margine infero laterale del calcagno sinistro), attività dirette ad ottemperare interessi personali (nello specifico, effettuare acquisti presso negozi e mercato rionale) e a camminare per 17 minuti, percorrendo circa 1,7 km.
Come noto, nel nostro ordinamento non esiste un divieto assoluto per il lavoratore di svolgere altra attività, anche a favore di terzi, durante il congedo per malattia, sicché l’espletamento di tale altra attività non costituisce, di per sé, inadempimento degli obblighi contrattuali posti in capo al prestatore.
Tale assunto trova fondamento nella nozione di malattia rilevante ai fini della sospensione della prestazione lavorativa e che comprende le situazioni in cui l’infermità abbia determinato, per intrinseca gravità e/o per incidenza sulle mansioni normalmente svolte dal prestatore, una concreta ed attuale – seppur transitoria – incapacità al lavoro dello stesso (art. 2110 c.c.), per cui, anche laddove la malattia comprometta la possibilità di svolgere quella determinata attività oggetto del rapporto di impiego, può comunque accadere che le residue capacità psicofisiche possano consentire al lavoratore altre e diverse attività.
Tuttavia, lo svolgimento di altra attività, lavorativa o extralavorativa, durante il congedo per malattia, può giustificare l’irrogazione del licenziamento disciplinare da parte del datore di lavoro ove integri una violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà (artt. 2104 e 2105 c.c.).
Ciò, sia nel caso in cui tale attività esterna (prestata o meno a titolo oneroso) sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una sua fraudolenta simulazione, sia quando l’attività stessa – valutata con un giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte – sia tale da pregiudicare o ritardare, anche potenzialmente, la guarigione o il tempestivo rientro in servizio del prestatore (v., fra le tante, Cass. n. 10416/2017; Cass. n. 16465/2015; Cass. n. 17625/2014).
L’accertamento in ordine all’incidenza della diversa attività sulla guarigione è riservato al giudice di merito che, operando un confronto tra il tipo di malattia e l’attività in concreto svolta, è tenuto a verificare se la condotta tenuta dal prestatore, assente dal lavoro per malattia, sia tale da pregiudicare il futuro tempestivo rientro in servizio.
Si tratta, in particolare, di un giudizio prognostico, che può essere effettuato anche mediante accertamento medico – legale, che ha ad oggetto la potenzialità del pregiudizio, dal momento che l’espletamento di altra attività durante la malattia costituisce un illecito disciplinare non solo se da tale comportamento derivi un’effettiva impossibilità temporanea della ripresa del lavoro, ma anche quando la ripresa sia solo messa in pericolo dalla condotta imprudente del lavoratore.
La prova dell’incidenza della diversa attività nel ritardare o pregiudicare la guarigione, ai fini dell’irrogazione della sanzione espulsiva, è a carico del datore di lavoro, che deve dimostrare sia lo svolgimento dell’attività esterna sia le caratteristiche della stessa che la rendano illecita, con la precisazione che non costituiscono elementi di prova le valutazioni svolte dalle agenzie investigative, in assenza di alcun accertamento medico – scientifico che dimostri un possibile rapporto causale tra il comportamento del dipendente e il peggioramento del suo stato di salute.
Ciò, dal momento che l’art. 5, L. 15 luglio 1966, n. 604 (concernente “Norme sui licenziamenti individuali”) pone a carico del datore di lavoro l’onere di provare tutti gli elementi di fatto che integrano la fattispecie che giustifica il recesso e, dunque, tutte le circostanze, oggettive e soggettive, idonee a connotare l’illecito disciplinare contestato.
Di conseguenza, laddove risulti indimostrato lo svolgimento da parte del dipendente di un’attività idonea a pregiudicare o ritardare la guarigione, il licenziamento è nullo per insussistenza del fatto contestato, ai sensi dell’art. 18, co. 4 cit., in quanto il fatto, pur accertato, è del tutto irrilevante giuridicamente perché non suscettibile di alcuna sanzione disciplinare (Cass. (ord.) n. 3655/2019, con nota in q. sito di P. VELARDI; Cass. n. 18418/2016 e Cass. n. 20540/2015, annotate in q. sito da G.I. VIGLIOTTI).
Nel caso di specie, il giudice, verificato che alla dipendente non era stata vietata la deambulazione e che la stessa aveva svolto, con l’ausilio di un particolare tutore, una camminata di soli 17 minuti con frequenti soste, ha dichiarato la nullità del licenziamento per insussistenza del fatto contestato, con conseguente reintegrazione sul luogo di lavoro e condanna della società datrice al pagamento di un’indennità risarcitoria, precisando che risultano inidonee a provare l’illiceità della condotta le rilevazioni svolte dall’agenzia investigativa, in quanto tutte involgenti valutazioni (“evidenziava una zoppia ed andatura sostenuta a fatica”, “nonostante l’handicap fisico (…) ha tenuto un comportamento sicuramente non idoneo a promuovere una veloce guarigione dalla malattia”) prive di alcun substrato medico-scientifico (e su cui apparirebbe inammissibile una prova per testimoni, in quanto valutativa).