La risoluzione consensuale del contratto di lavoro per rifiuto opposto dal lavoratore al trasferimento ad altra sede produttiva situata a notevole distanza dalla propria residenza dà luogo ad un’ipotesi di disoccupazione involontaria, con conseguente diritto, in presenza degli altri requisiti previsti dalla legge, al riconoscimento dell’APE sociale.

Nota a App. Milano 3 marzo 2025, n. 160

Sonia Gioia

L’accordo risolutivo del rapporto di impiego intercorso tra imprenditore e lavoratore, a seguito del rifiuto da parte di quest’ultimo al trasferimento ad altra sede produttiva situata a notevole distanza dalla propria residenza, rientra tra le ipotesi di perdita involontaria del lavoro e dà diritto, in presenza degli altri requisiti previsti dalla legge, all’erogazione dell’APE sociale (art. 1, co. 179, lett. a), L. 11 dicembre 2016, n. 232 (concernente “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019”).

Lo ha stabilito la Corte d’Appello di Milano (conforme a Trib. Milano n. 2614/2024) in relazione ad una fattispecie concernente una lavoratrice che, dopo aver risolto, tramite conciliazione sindacale (ex art. 410 c.p.c.), il rapporto di lavoro per impossibilità ad accettare il trasferimento disposto dalla società datrice ad altra sede distante circa 300 km dalla propria residenza, rivendicava il diritto ad accedere all’APE sociale.

All’esito del procedimento amministrativo, l’INPS aveva rigettato la domanda di prestazione pensionistica, presentata dalla dipendente dopo aver concluso integralmente il trattamento di NASpI, sul presupposto che la causale di cessazione del rapporto di impiego, che aveva dato luogo all’indennità di disoccupazione, non rientra nella risoluzione consensuale nell’ambito della procedura di cui all’art. 7, L. 15 luglio 1966, n. 604 (concernente “Norme sui licenziamenti individuali”) che dà diritto al riconoscimento dell’APE sociale ex art. 1, co. 179 lett. a), L. n. 232 cit.

Di diverso avviso, invece, era stato il Tribunale di Milano che aveva accertato il diritto a percepire l’anticipo pensionistico ritenendo che la risoluzione consensuale, determinata dal mutamento unilaterale delle condizioni contrattuali, operato dal datore di lavoro per proprie ragioni di ordine economico e produttivo e non accettato dalla dipendente, costituisce una fattispecie “sostanzialmente identificabile con quella di perdita involontaria dell’occupazione” e, come tale, inclusa nell’ambito applicativo dell’art. 1, co. 179, lett. a), L. n. 232 cit., di contenuto coincidente con la disciplina in materia di NASpI.

Com’è noto, l’APE sociale è un’indennità di natura assistenziale a carico dello Stato erogata dall’INPS a specifiche categorie di lavoratori in stato di bisogno che siano in possesso di un’età anagrafica pari ad almeno 63 anni e 5 mesi e che non siano già titolari di pensione diretta (Circ. INPS 20 febbraio 2024, n. 35).

In particolare, l’anticipo pensionistico è corrisposto, a domanda, fino al raggiungimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia o fino al conseguimento della pensione anticipata o di un trattamento conseguito anticipatamente rispetto all’età per la vecchiaia (di cui all’art. 24, co. 6, D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla L.  22 dicembre 2011, n. 214 (c.d. Legge Monti – Fornero) agli iscritti all’Assicurazione Generale dei lavoratori dipendenti (c.d. AGO), alle forme sostitutive ed esclusive della stessa, alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi e alla Gestione separata (di cui all’art. 2, co. 26, L. 8 agosto 1994, n. 335), i quali:

a) si trovano in stato di disoccupazione a seguito di cessazione del rapporto di lavoroper licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale nell’ambito della procedura di cui all’art. 7, L. n. 604 cit., ovvero per scadenza del termine del rapporto di lavoro a tempo determinato (in tal caso è necessario che abbiano avuto, nei 36 mesi precedenti la scadenza del termine, periodi di lavoro dipendente per almeno 18 mesi), che hanno concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione loro spettante e sono in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 30 anni;

b) assistono, al momento della richiesta e da almeno sei mesi, un familiare convivente portatore di handicap in situazione di gravità (ai sensi dell’art. 3, co. 3, L. 5 febbraio 1992, n. 104) e sono in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 30 anni;

c) hanno una riduzione della capacità lavorativa, accertata dalle competenti commissioni mediche, superiore o uguale al 74% e sono in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 30 anni;

d) sono lavoratori dipendenti, al momento della decorrenza dell’indennità, in possesso di almeno 36 anni di anzianità contributiva e che abbiano svolto da almeno 7 anni negli ultimi 10 o almeno 6anni negli ultimi 7 una o più attività lavorative gravose specificamente individuate dalla legge.

Con riguardo allo stato di disoccupazione, il Collegio ha osservato che le ipotesi di cui all’art. 1, co. 179, lett. a), L. n. 232 cit. ricalcano sostanzialmente quelle previste per l’accesso alla NASpI, che è riconosciuta:

  • ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione” e che presentino congiuntamente i requisiti di cui all’art. 3, co. 1,LGS. 4 marzo 2015, n. 22;
  • ai lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni per giusta causa e nei casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro” intervenuta in esito alla procedura di conciliazione di cui all’art. 7, L. n. 604 cit. (come mod. dall’art. 1, L. 28 giugno 2012, n. 92, c.d. Riforma Fornero) (art. 3, co. 2, D.LGS. n. 22 cit.).

Tra le ipotesi di perdita involontaria del rapporto di lavoro, con conseguente diritto all’indennità di disoccupazione, deve ritenersi pacificamente rientrante anche l’avvenuta risoluzione consensuale del rapporto – anche esulante dall’ambito di cui all’art. 7, L. n. 604 cit., – riconducibile al rifiuto del dipendente al trasferimento presso una sede distante oltre i 50 km dalla propria residenza e/o dall’ultima sede di lavoro o mediamente raggiungibile in oltre 80 minuti con i mezzi di trasporto pubblico (in questo senso, v. Msg INPS n. 369/2018; Circ. INPS nn. 142/2015, 142/2012 e108/2006).

Ciò, dal momento che ogni qualvolta l’esercizio anche legittimo dei poteri datoriali determini modifiche essenziali dei contenuti del rapporto, tali da rendere sostanzialmente impossibile per il lavoratore, nella concreta situazione di fatto, proseguirne l’esecuzione, come può avvenire in caso di mutamento rilevante della sede o dei turni di lavoro, la decisione del dipendente di addivenire ad un accordo risolutivo del contratto deve ritenersi una scelta involontaria, ascrivibile al comportamento di un altro soggetto ed a cui consegue il diritto all’indennità di NASpI, a nulla rilevando, ai fini previdenziali, né la legittimità o meno della scelta organizzativa datoriale né la circostanza che le parti pattuiscano la corresponsione, in favore del prestatore, di somme a vario titolo e di qualunque importo esse siano (C. Cost. n. 269/2002; App. Firenze n. 258/2023, con nota in q. sito di S. GIOIA).

“Se, pertanto, è generalmente condivisa – e fatta propria dallo stesso INPS – l’estensione della NASPI ai casi di risoluzione consensuale del rapporto per rifiuto del trasferimento a distanza eccedente i 50 Km, per quanto pattuita al di fuori della procedura di cui alla l. 604/66, l’identità dei relativi presupposti normativi rispetto a quelli stabiliti per l’APE sociale induce, per le stesse ragioni, ad una conforme interpretazione”.

Da ciò discende che il diritto all’anticipo pensionistico, al pari dell’indennità di disoccupazione, va riconosciuto, in presenza degli altri requisiti previsti dalla legge, oltre che nei casi di dimissioni per giusta causa, nelle ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro in cui le parti optano per la risoluzione consensuale, sia in esito alla procedura di conciliazione prevista dall’art. 7, L. n. 604 cit. sia in esito al rifiuto del prestatore al trasferimento ad altra sede a notevole distanza, quand’anche intervenuta in sede di conciliazione sindacale.

Ed è la stessa ratio del trattamento pensionistico “a supportare l’analogia dei relativi presupposti rispetto a quelli tipici della NASPI”: l’art. 1, co. 179, lett. a), L. 232 cit. – oltre a prendere in considerazione, tra gli altri, il medesimo presupposto del trattamento ex art. 3, D. LGS. n. 22 cit., vale a dire lo stato di disoccupazione conseguente alla perdita involontaria del rapporto di lavoro – evidenza il nesso sussistente tra i due istituti, specificando che l’APE sociale potrà essere richiesta una volta conclusa integralmente la prestazione di disoccupazione, in modo da colmare il possibile distacco temporale fra la conclusione del trattamento di sostegno al reddito e la maturazione dei requisiti anagrafici per la pensione di vecchiaia (o anzianità), in favore di una platea di destinatari di difficile ricollocazione lavorativa (art. 2, co. 1, lett. a), DPCM n. 88/2017).

Sulla base di tali considerazioni, la Corte distrettuale, in conformità con il giudice di prime cure,  ha censurato la tesi dell’istituto previdenziale, volta a negare la corresponsione dell’APE sociale in caso di risoluzione consensuale del rapporto per  rifiuto del trasferimento,  in quanto basata “su di un’interpretazione meramente letterale” della normativa, “rispetto alla quale certamente prevalgono i criteri teleologico e sistematico”, riconoscendo alla ricorrente il diritto a percepire il trattamento pensionistico.

Sentenza 

Risoluzione consensuale del rapporto di lavoro a seguito di rifiuto del trasferimento e diritto all’APE sociale
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