Il datore di lavoro non è censurabile per aver adottato provvedimenti diversi in casi simili.

Nota a Cass. 18 febbraio 2025, n. 4238

Pamela Coti

Non vige in capo al datore di lavoro alcun obbligo di motivare comparativamente ogni provvedimento disciplinare, salvo il caso in cui le situazioni siano perfettamente identiche e senza margine di differenziazione.

È quanto ribadito dalla Corte di Cassazione 18 febbraio 2025, n. 4238 con riferimento al ricorso avanzato da un lavoratore per esser stato licenziato, insieme ad altri dipendenti ma con l’applicazione di sanzioni differenti, per avere abusivamente utilizzato le credenziali di altro lavoratore al fine di ottenere alcuni sconti nell’acquisto di prodotti aziendali. Il ricorrente ha invocato la violazione del principio di proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto ai provvedimenti adottati nei confronti di altri dipendenti coinvolti nella medesima condotta.

Al riguardo la Cassazione, ribadendo un risalente e consolidato orientamento giurisprudenziale, ha evidenziato che:

  • la valutazione della proporzionalità della sanzione deve essere effettuata tenendo conto: della gravità della condotta; della posizione lavorativa del dipendente e dell’incidenza sul rapporto fiduciario;
  • ai fini della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, “qualora risulti accertato che l’inadempimento del lavoratore è tale da compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario, è irrilevante che analoga inadempienza commessa da altro dipendente, sia stata diversamente valutata dal datore di lavoro; solo l’identità delle situazioni potrebbe, infatti, privare il provvedimento espulsivo della sua base giustificativa, non potendo porsi a carico del datore di lavoro l’onere di fornire, per ciascun licenziamento, la motivazione del provvedimento adottato, comparata a quelle assunte in fattispecie analoghe”;
  • non è possibile porre a carico del datore di lavoro “l’onere di fornire, per ciascun licenziamento, una motivazione del provvedimento adottato che sia comparata con le altre assunte in fattispecie analoghe e tuttavia ove nel corso del giudizio non emergano quelle differenze che giustificano il diverso trattamento dei lavoratori correttamente può essere valorizzata dal giudice l’esistenza di soluzioni differenti per casi uguali al fine di valutare la proporzionalità della sanzione adottata”;
  • la eventuale disparità di trattamento deve emergere attraverso elementi a tal riguardo significativi e tali da non richiedere, nella esplicitazione delle ragioni del licenziamento, una puntuale ricognizione da parte del datore di lavoro diretta a giustificare la diversità di trattamenti adottati. La possibile valorizzazione di situazioni simili, al fine di una valutazione di irragionevole disparità, non può che trovare presupposto in allegazioni presenti nella causa, tali da consentire una indagine di fatto ed una possibile comparazione. “Il profilo allegatorio e probatorio assume quindi valore essenziale al fine di consentire al giudice del merito il concreto apprezzamento di similarità di situazioni trattate, irragionevolmente, in maniera differente.”

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE 18 febbraio 2025, n. 4238

Svolgimento del processo

1.Con sentenza n. 3203/2020 il Tribunale di Napoli Nord rigettava l’opposizione della NOCERA BROS Srl all’ordinanza del medesimo Tribunale che, nella fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012 , aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento disciplinare per giusta causa intimato a A.A. dalla NOCERA BROS in data 31.10.2017; aveva, comunque, dichiarato risolto il rapporto di lavoro ed aveva condannato la resistente NOCERA BROS a corrispondere al ricorrente un’indennità omnicomprensiva pari a 14 mensilità della retribuzione globale di fatto per complessivi Euro 19.442,78, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data di maturazione del credito fino al soddisfo.

Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello di Napoli accoglieva il reclamo proposto dalla NOCERA BROS Srl contro la suddetta sentenza e, per l’effetto, rigettava la domanda proposta dal A.A.; rigettava il reclamo incidentale di quest’ultimo, che condannava al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, come liquidate per ciascun grado.

2. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale giudicava anzitutto prive di fondamento le doglianze del lavoratore, reclamato/reclamante incidentale.

2.1. Più nello specifico, riconsiderate le prove testimoniali, riteneva, in ciò concordando con il Tribunale, che non emergeva con un tranquillizzante grado di certezza la circostanza, sostenuta dal lavoratore, dell’autorizzazione da parte della società circa l’utilizzo delle credenziali di B.B. da parte degli altri dipendenti al fine di consentire una diminuzione del prezzo di vendita degli articoli in favore dei dipendenti stessi. Considerava, perciò, evidente la scorrettezza del comportamento del A.A. e di tutti i suoi colleghi che avevano illecitamente utilizzato le credenziali di altro dipendente per praticarsi degli sconti sulla merce da loro stessi acquistata.

2.2. Rilevava, inoltre, che il lavoratore non aveva mai negato il verificarsi delle circostanze contestate nella loro materiale verificazione, sicché sussisteva il fatto contestato.

3. Passando all’analisi del reclamo principale, la Corte territoriale non condivideva l’assunto del Tribunale, secondo il quale la sanzione non era proporzionata in considerazione delle sanzioni conservative applicate ad altri dipendenti che avevano tenuto il medesimo comportamento, giungendo alla conclusione che assolutamente legittimo e proporzionato si rivelava il licenziamento irrogato al A.A..

4. Ciò ritenuto, osservava che non apparivano fondate le doglianze del reclamante incidentale quando censurava la sentenza del Tribunale per non aver ritenuto discriminatorio o ritorsivo il recesso datoriale.

5. Avverso tale decisione A.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

6. L’intimata ha resistito con controricorso.

7. Il ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1.Con il primo motivo il ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 225 CCNL commercio e dell’artt. 2106 cod. civ. con conseguente falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ., in relazione all’art. 360  n. 3 c.p.c., con il quale si chiede l’affermazione del seguente principio di diritto: in virtù del principio di proporzionalità e gradualità della sanzione, in caso di condotte che hanno il medesimo disvalore ma differenti solo per la frequenza, i lavoratori saranno destinatari della medesima sanzione ma con una diversa gradualità, senza che possa applicarsi una sanzione di natura diversa”.

2. Con un secondo motivo denuncia “Omessa applicazione dell’art. 437 c.p.c. con conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ. e degli artt. 24  e 111  Cost. in relazione all’art. 360  n. 5 c.p.c.”. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale – una volta rilevato che, nonostante nel foliario venisse indicata, nella produzione di parte reclamata, non era stata rinvenuta la lettera di contestazione degli addebiti del sig. C.C., ma soltanto il provvedimento di irrogazione della sanzione – avrebbe dovuto, in applicazione dei poteri conferiti dall’art. 437  c.p.c., acquisire il documento ritualmente depositato nei precedenti giudizi.

3. Il primo motivo è infondato, presentando profili d’inammissibilità.

4. Giova premettere che, come risulta dalla lunga “lettera di contestazione di addebiti del 05 ottobre 2012”, che lo stesso ricorrente ha depositato in questa sede (sub doc. 6.10. della sua produzione), emerge che al lavoratore era stato contestato in sintesi di aver abbandonato il proprio posto di lavoro in numerose occasioni per accedere, utilizzando le credenziali di altro dipendente, B.B., al sistema aziendale onde modificare al ribasso i prezzi di vendita di altrettanto numerosi articoli da lui stesso acquistati.

5. Ebbene, la Corte distrettuale – nel non condividere l’assunto del Tribunale circa la non proporzione della sanzione espulsiva decisa nel caso del A.A. in considerazione delle sanzioni applicate ad altri dipendenti che per il Tribunale avevano tenuto il medesimo comportamento – ha anzitutto evidenziato che non tutti i dipendenti cui era stato contestato analogo comportamento avevano ricevuto una sanzione conservativa, ritenendo pacifico che anche altro dipendente era stato licenziato per i medesimi fatti.

5.1. Quanto agli altri lavoratori, la Corte considerava che la documentazione in atti (del reclamante incidentale) non consentiva di effettuare un reale confronto tra le varie posizioni, perché vi era allegata soltanto una contestazione, quella fatta al dipendente D.D. (notando che, a dispetto dell’elencazione contenuta nel foliario, per il dipendente C.C. vi era soltanto il provvedimento di irrogazione della sanzione).

5.2. E, secondo la Corte, già dal raffronto delle due posizioni (quella del A.A. e quella del Catuogno) saltava agli occhi la differenza del comportamento sia sotto il profilo quantitativo che sotto quello qualitativo.

5.3. Per altro verso, la Corte riteneva che era proprio l’analisi delle circostanze concrete che induceva a ritenere la gravità della condotta e la proporzionalità della sanzione.

Invero, il A.A. era un “preparatore merci”; aveva svolto mansioni differenti provvedendo alla fatturazione delle merci; aveva utilizzato senza alcuna esplicita autorizzazione le credenziali di altro dipendente; aveva applicato una scontistica sulla merce da lui stesso acquistata non soltanto non autorizzata dall’ufficio commerciale (unico ad avere tale potere), ma oltretutto assolutamente in contrasto con la linea dell’impresa che ha espressamente sottolineato che “Le promozioni applicate sui prodotti della NOCERA BROS presenti sui volantini (che evidenziano promozioni e sconti sulle merci) quando sono al costo coprono almeno i costi di gestione che ammontano a circa 7.5%. Ciò significa che se un prodotto acquistato dalla NOCERA BROS ad 1.00 Euro dal fornitore quando si fa un’operazione promozionale fortissima non lo si vende a meno di 1.08 in quanto si coprono almeno i costi di gestione” (ciò che ribadito anche dal teste Nocera)”.

5.4. In base a tali valutazioni delle risultanze processuali accertate, era chiaro per la Corte “che il comportamento tenuto – in considerazione delle mansioni del dipendente, della frequenza degli episodi, delle modalità della condotta, dell’assoluto spregio delle direttive aziendali in tema di scontistica – è assolutamente contrario ai doveri di lealtà e probità del dipendente. Dunque, esso inevitabilmente incrina il rapporto fiduciario tra il lavoratore ed il datore di lavoro il quale difficilmente potrà fare affidamento sul corretto adempimento dei suoi doveri da parte di un dipendente che in maniera reiterata e nell’arco temporale di soli 7 giorni è venuto meno ai suoi doveri basilari”.

6. Tutto ciò premesso, il principio di diritto che il ricorrente chiede a questa Corte di enunciare (intendendo farne discendere l’annullamento dell’impugnata sentenza) non risulta in linea con la giurisprudenza di questa Corte.

6.1. Invero, secondo un risalente ed ormai consolidato orientamento di questa Corte, anche di recente confermato (cfr. nella motivazione Cass. n. 88/2023 ), ai fini della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, qualora risulti accertato che l’inadempimento del lavoratore è tale da compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario, è irrilevante che analoga inadempienza commessa da altro dipendente, sia stata diversamente valutata dal datore di lavoro; solo l’identità delle situazioni potrebbe, infatti, privare il provvedimento espulsivo della sua base giustificativa, non potendo porsi a carico del datore di lavoro l’onere di fornire, per ciascun licenziamento, la motivazione del provvedimento adottato, comparata a quelle assunte in fattispecie analoghe (così Cass., sez. lav., 8.3.2010, n. 5546 ; e in termini esatti o analoghi Cass. n. 22115/2022 ; n. 10640/2017 ; n. 14251/2015 ; n. 10550/2013 ; n 144/2008 ; n. 9534/1995 ).

È stato, poi, evidenziato in Cass. n. 22115/2022  come in talune decisioni espressive di tale indirizzo sia stato anche chiarito che: “È condivisibile l’affermazione che non si possa porre a carico del datore di lavoro l’onere di fornire, per ciascun licenziamento, una motivazione del provvedimento adottato che sia comparata con le altre assunte in fattispecie analoghe (cfr. Cass. n. 5546/2010 ) e tuttavia ove nel corso del giudizio non emergano quelle differenze che giustificano il diverso trattamento dei lavoratori correttamente può essere valorizzata dal giudice l’esistenza di soluzioni differenti per casi uguali al fine di valutare la proporzionalità della sanzione adottata”.

Inoltre, è stato specificato che il su riportato principio di diritto “evidenzia come la eventuale disparità di trattamento debba emergere nel corso del giudizio attraverso elementi a tal riguardo significativi e tali da non richiedere, nella esplicitazione delle ragioni del licenziamento, una contestuale ricognizione da parte del datore di lavoro diretta a giustificare la diversità di trattamenti adottati. La possibile valorizzazione da parte del giudice di situazioni similari, al fine di una valutazione di irragionevole disparità, non può che trovare presupposto in allegazioni presenti nella causa, tali da consentire una indagine di fatto ed una possibile comparazione. Il profilo allegatorio e probatorio assume quindi valore essenziale al fine di consentire al giudice del merito il concreto apprezzamento di similarità di situazioni trattate, irragionevolmente, in maniera differente” (così nella motivazione di Cass. n. 22115/2022 ).

7. La sentenza impugnata appare conforme all’orientamento di legittimità testé illustrato.

8. Più in particolare, come anticipato, la censura presenta profili d’inammissibilità anzitutto dove vi si assume “che, nel rispetto del principio di proporzionalità e di gradualità della sanzione disciplinare, la Corte territoriale, avendo valutato la condotta del A.A. più grave rispetto a quella degli altri dipendenti, avrebbe dovuto applicare la sospensione della retribuzione e dal servizio, prevista dal punto 4 dell’art. 225, per un numero maggiore di giorni rispetto a quella comminata agli altri lavoratori coinvolti nella vicenda, per un massimo di giorni 10, ma non certamente il licenziamento per giusta causa, anche in considerazione del trascurabile danno economico complessivo arrecato all’azienda, stato pari ad appena Euro. 135/66” (così a pag. 15 del ricorso).

8.1. È di tutta evidenza, difatti, che la Corte d’Appello non era chiamata di certo a decidere se essa stessa dovesse direttamente applicare al lavoratore, piuttosto che il licenziamento, una qualsiasi altra sanzione conservativa.

La Corte, invece, doveva verificare la sussistenza della giusta causa del licenziamento disciplinare, escludendola ove avesse riscontrato che il fatto “rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili” (cfr. art. 18 , comma quarto, L. n. 300/1970  novellato).

9. Il ricorrente, poi, insiste nell’addebitare alla Corte di merito di aver “completamente omesso di valutare l’esiguità del danno patrimoniale arrecato all’azienda pari ad Euro 135,60” (cfr. pag. 19 del ricorso).

9.1. Osserva in proposito il Collegio che le su riportate deduzioni del ricorrente s’incentrano su un accertamento fattuale diverso e ulteriore rispetto a quello operato dalla Corte distrettuale.

Quest’ultima, difatti, non ha constatato che a tutti gli “altri lavoratori coinvolti nella vicenda”, cui genericamente allude il ricorrente, fosse stata comminata la sanzione conservativa cui lo stesso si riferisce.

Neppure ha accertato che il danno patrimoniale arrecato all’azienda fosse pari ad Euro 135,60; danno che, peraltro, stando a quanto riferito dal ricorrente, neanche il primo giudice aveva accertato in tale precisa misura (v. pag. 18 del ricorso).

10. Per altro verso, il ricorrente non considera, tra l’altro, che la Corte di merito aveva subito messo in luce che, come già notato, non tutti i dipendenti cui era stato contestato analogo comportamento avevano ricevuto una sanzione conservativa, ritenendo pacifico che anche E.E. era stato licenziato per i medesimi fatti.

11. Per il resto, in base agli elementi documentali messi a disposizione dall’attore, la Corte è stata in grado di “comparare” parzialmente solo le “posizioni” dell’attuale ricorrente e di D.D., riscontrando le rilevanti diversità di condotte sopra viste, non limitate alla “sola frequenza” delle stesse, cui lo stesso ricorrente pretende di ancorare il principio di diritto che si chiede a questa Corte di legittimità di enunciare.

12. Più in generale, osserva il Collegio che la Corte di merito non disponeva di una serie di elementi ulteriori ipoteticamente rilevanti per constatare o meno una effettiva par condicio tra i lavoratori attinti da analoghe contestazioni disciplinari e quindi per appurare un’ingiustificata disparità di trattamento fra gli stessi da parte della datrice di lavoro nell’adottare differenti sanzioni disciplinari (conservative per taluni ed espulsive per altri).

13. A fronte ciò, la Corte di merito ha ineccepibilmente considerato ciò che era specificamente contestato al A.A. e la sua precipua posizione lavorativa, pervenendo alle conclusioni su viste.

14. Il secondo motivo di ricorso è interamente inammissibile.

15. In primo luogo, la censura difetta dei requisiti di specificità/autosufficienza del ricorso per cassazione.

Come si è visto, il ricorrente assume che il documento che la Corte non aveva rinvenuto nella produzione dell’allora reclamante, documento che ritiene essere la lettera di contestazione degli addebiti al dipendente C.C., sarebbe stato “ritualmente depositato nei precedenti giudizi” (così a pag. 20 del ricorso), poi deducendo che tale documento non era “presente nella produzione telematica ma prodotto nei precedenti gradi del giudizio” (così a pag. 21).

15.1. Tuttavia, il ricorrente non specifica in questa sede se, come e quando aveva prodotto il ridetto documento, sembrando voler sostenere genericamente, come si è visto, che non era stato incluso nella produzione telematica, ma era stato prodotto (presumibilmente in forma cartacea) in non meglio precisati “precedenti gradi”.

16. Per completezza, nota il Collegio che il ricorrente neppure deduce un temporaneo e sopravvenuto smarrimento del suddetto specifico documento (del resto, difficilmente concepibile nel caso di produzione telematica), né che in proposito avesse avanzato alla Corte d’Appello richiesta di ricostituzione dell’atto mancante (in ipotesi in applicazione analogica dell’art. 113 c.p.p.).

17. In ogni caso, secondo un consolidato indirizzo di questa Corte l’uso dei poteri istruttori da parte del giudice ex artt. 421 e 437 c.p.c. non ha carattere discrezionale, ma costituisce un potere-dovere del cui esercizio o mancato esercizio questi e tenuto a dar conto, anche se, al fine di censurare idoneamente in sede di ricorso per cassazione l’inesistenza o la lacunosità della motivazione sulla mancata attivazione di detti poteri, occorre dimostrare di averne sollecitato l’esercizio (così Cass. n. 19948/2021 ; n. 6634/2020 ; n. 22628/2019 ; n. 17704/2015 ).

17.1. E, nel caso di specie, neppure è stato dedotto in questa sede che il lavoratore, in secondo grado (che lo vedeva anche reclamante incidentale), avesse chiesto alla Corte di merito di completare in un qualsiasi senso la propria produzione, o sollecitato la stessa Corte ad esercitare poteri officiosi a riguardo, deducendo l’indispensabilità di altri documenti, in base ad una c.d. “pista probatoria” (cfr. i precedenti citati).

18. Del resto, nell’esaminare il primo motivo di ricorso, s’è visto che la Corte d’Appello in termini generali aveva osservato che “la documentazione in atti non consente di effettuare un reale confronto tra le varie posizioni”, di talché neppure è certa la decisività dell’unico documento cui allude il ricorrente.

19. Il ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002 , art. 13 , comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Illegittimo il confronto di casi simili nei licenziamenti disciplinari
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