La decisione aziendale di revocare le facilitazioni di viaggio ai lavoratori che abbiano agito in giudizio per la tutela dei propri diritti nei confronti della società datrice ha natura ritorsiva in quanto sorretta da motivo illecito determinante ed è, perciò, nulla.
Nota a Trib. Roma 17 giugno 2025, n. 7095
Sonia Gioia
“La revoca delle facilitazioni di viaggio ai dipendenti che facciano valere i propri diritti nei confronti della parte datoriale è sorretta da motivo illecito ed è volta a perseguire uno scopo del tutto immeritevole di tutela” e, in quanto tale, è nulla, con conseguente diritto dei lavoratori al ripristino immediato delle stesse.
Lo ha stabilito il Tribunale di Roma 17 giugno 2025, n. 7095, in relazione ad una fattispecie concernente alcuni lavoratori, impiegati presso una compagnia di trasporto aereo con mansioni di assistente di volo, che lamentavano l’illegittimità del provvedimento datoriale di revoca delle agevolazioni di viaggio, concesse al personale dipendente al momento dell’assunzione, per il solo fatto di aver instaurato un giudizio, nei confronti della società datrice, per la tutela dei propri diritti ai sensi dell’art. 2112 c.c.
Al riguardo, il giudice ha rilevato che, secondo il regolamento aziendale, le agevolazioni di viaggio, che permettono di acquistare biglietti aerei e di viaggiare a condizioni di miglior favore, vengono rilasciate ai dipendenti e agli altri beneficiari da questi indicati in virtù di concessione discrezionale della società datrice.
L’azienda, “senza alcun preavviso e del tutto discrezionalmente”, può sospendere e/o revocare le facilitazioni concesse al lavoratore e a tutti i beneficiari diretti e indiretti in caso di “giudizio azionato dal dipendente nei confronti della Società” (punto 6.1, Regolamento relativo alle facilitazioni di viaggio).
Secondo il Tribunale, la revoca delle agevolazioni ai prestatori che abbiano agito nei confronti della parte datoriale e la disposizione regolamentare soprarichiamata, che ne costituisce il presupposto, devono ritenersi “palesemente illegittime”, in quanto aventi natura non discriminatoria ma ritorsiva.
In particolare, deve escludersi la condotta discriminatoria dal momento che il regolamento e il provvedimento aziendale colpiscono “indistintamente” tutti i lavoratori che si trovano nella stessa situazione, vale a dire coloro che hanno proposto un giudizio nei confronti della società, mentre affinché sussista una violazione del principio di parità di trattamento, ai sensi dell’art. 2, D.LGS. 9 luglio 2003, n. 216 (attuativo della Dir. 2000/78/CE), è necessaria la descrizione di un comportamento che possa far ritenere che il lavoratore che lamenti la discriminazione abbia subìto un trattamento difforme da quello riservato ad altri soggetti che versino nelle medesime condizioni e del “c.d. termine di comparazione essenziale al fine di dimostrare la discriminatorietà della condotta” (Trib. Torino 27 ottobre 2020).
La revoca delle concessioni di viaggio ha, invece, natura ritorsiva in quanto costituisce un’ingiusta ed arbitraria reazione ad un comportamento del lavoratore che “non solo è legittimo, ma è addirittura espressione di un diritto avente rango costituzionale” (art. 24 Cost.), con la conseguenza che il provvedimento datoriale, adottato in attuazione del regolamento aziendale, è nullo in quanto sorretto da motivo illecito determinante, ai sensi dell’art. 1345 c.c., a nulla rilevando il carattere discrezionale delle concessioni (Cass. n. 1195/2019; Trib. Milano 23 gennaio 2024, R. G. n. 10152/2023, con nota in q. sito di S. GIOIA).
Ciò, dal momento che la disciplina dettata dall’art. 1345 c.c. – che, derogando al principio secondo cui i motivi dell’atto di autonomia privata sono di regola irrilevanti, eccezionalmente qualifica illecito il contratto determinato da un motivo illecito comune alle parti, in virtù del disposto di cui all’art. 1324 c.c. – si applica anche agli atti unilaterali, laddove essi siano finalizzati “esclusivamente al perseguimento di scopi riprovevoli ed antisociali”, rinvenendosi l’illiceità del motivo, al pari della illiceità della causa (ex art. 1343 c.c.), nella contrarietà dello stesso a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume (Cass. n. 20197/2005).
Nel caso di specie, il giudice, nell’accogliere il ricorso dei lavoratori, ha ritenuto “lampante” la natura ritorsiva della decisione di revocare le facilitazioni di viaggio per il solo fatto di aver agito per la tutela dei propri diritti e, per l’effetto, ha condannato la società datrice al ripristino immediato delle stesse.
Sentenza
Tribunale di Roma 17 giugno 2025, n. 7095
FATTO E DIRITTO
Con ricorso depositato in data 12.4.2024 e ritualmente notificato i ricorrenti in epigrafe convenivano in giudizio innanzi al tribunale di Roma, quale giudice del lavoro, della quale erano tutti dipendenti, per sentire <<Dichiarare la nullità del “Regolamento concessioni di viaggio dipendenti” nella parte in cui prevede la sospensione e/o revoca delle facilitazioni di viaggio nel caso di «giudizio azionato dal dipendente nei confronti della Società;
In ogni caso, dichiarare la nullità della revoca delle facilitazioni di viaggio disposta da S.p.A. in danno dei ricorrenti e, per l’effetto, condannare la società resistente al ripristino immediato delle stesse in loro favore.
Con vittoria di spese, competenze ed onorari di lite oltre i.v.a. e c.p.a, oltre al rimborso del contributo unificato, da distrarsi.>>.
Nello specifico, i ricorrenti deducevano di aver lavorato per molti anni svolgendo “da sempre le mansioni di assistente di volo” per la Compagnia di trasporto aereo e, dal 15.10.2021, di prestare servizio alle dipendenze di. lamentando che la revoca delle “Facilitazioni di viaggio” riservate ai dipendenti di, prevista da apposito Regolamento aziendale era stata attuata come “ritorsione all’azione giudiziaria proposta”.
In particolare, i ricorrenti deducevano che avevano instaurato (con ricorso depositato in data 15.03.2022) innanzi al Tribunale di Roma, quale giudice del lavoro, nei confronti di un giudizio al fine di sentire accertare e dichiarare il loro diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro con la società resistente sin dal 15.10.2021 (o da epoca successiva ritenuta di giustizia) e con gli effetti di cui all’art. 2112 c.c. e, dunque, il diritto a conservare lo stesso trattamento economico e normativo già in godimento; eccepivano che a seguito dell’azione giudiziale intrapresa erano state loro revocate le facilitazioni di viaggio sulla scorta del regolamento aziendale che prevedeva tale evenienza in caso di instaurazione di un giudizio avverso la società datrice di lavoro e che “la condotta della società è stata attuata come ritorsione all’azione giudiziaria proposta”; rilevavano che, in effetti, solo con il “Regolamento concessioni di viaggio dipendenti ”, in vigore dal 24/02/2022, all’art. 6 punto 6.1, era stato previsto quanto segue: «La Società potrà senza alcun preavviso e del tutto discrezionalmente sospendere e/o revocare le facilitazioni di viaggio concesse al dipendente (e anche nei confronti di tutti i beneficiari diretti e indiretti) a titolo esemplificativo e non esaustivo in caso di … giudizio azionato dal dipendente nei confronti della Società»; osservavano che costituiva circostanza pacifica e documentalmente provata, in quanto affermata dalla stessa società resistente, che le concessioni per cui è causa erano state revocate solamente per aver i ricorrenti “azionato nei confronti della Società” un giudizio; deducevano che, pertanto, la condotta della società era stata attuata come ritorsione all’azione giudiziaria proposta, come tale la revoca era da ritenere nulla poiché sorretta da motivo illecito unico e determinante; tutto ciò premesso concludevano nel senso innanzi indicato.
Instaurato il contraddittorio tra le parti, si costituiva in giudizio la società datrice di lavoro, contestando la domanda di controparte, in particolare evidenziando la genericità delle allegazioni del ricorrente e, nel merito, la loro infondatezza.
All’odierna udienza, la causa veniva discussa e decisa con la presente sentenza
con motivazione contestuale.
La domanda è fondata e pertanto deve essere accolta.
Questo giudicante ritiene pienamente condivisibili le motivazioni espresse dal Tribunale di Milano nella sentenza emessa a definizione del proc n. 10152/2023 che, pertanto, vengono in questa sede riportate ai sensi dell’art. 118 disp att. C.p.c.
“Il regolamento relativo alle facilitazioni di viaggio recita al punto 6.1 (rubricato Norme che regolano le concessioni di viaggio, norme generali): “La Società potrà senza alcun preavviso e del tutto discrezionalmente sospendere e/o revocare le facilitazioni di viaggio concesse al dipendente (e anche nei confronti di tutti i beneficiari diretti e indiretti) a titolo esemplificativo e non esaustivo in caso di: rilevato anomalo assenteismo per malattia del dipendente, avvio di un procedimento disciplinare, comminazione al dipendente di una sanzione disciplinare che comporti la sua sospensione e, comunque, in caso di violazione grave degli obblighi contrattuali, utilizzo delle agevolazioni di viaggio in modo non conforme al presente Regolamento, giudizio azionato dal dipendente nei confronti della Società, sospensione del rapporto di lavoro senza diritto alla retribuzione (…)” (cfr. pag. 9, numero 3 prodotto sub. doc. 4.).
È documentale e incontestato che la società abbia revocato ai ricorrenti le facilitazioni di viaggio perché gli stessi hanno agito nei confronti della datrice di lavoro (v. doc. 3 ric.). La condotta della società e la disposizione regolamentare che ne costituisce il presupposto sono palesemente illegittime. L’illegittimità deriva non tanto dalla natura discriminatoria del comportamento aziendale quanto, piuttosto, dalla natura ritorsiva dello stesso. Come è noto, ai sensi dell’art. 2, dcr. Lgs n. 216/2003, costituisce discriminazione il trattamento meno favorevole, “a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell’età, della nazionalità o dell’orientamento sessuale” di una persona rispetto ad “un’altra in una situazione analoga”. Nel nostro caso, il regolamento e la comunicazione aziendale colpiscono indistintamente tutti i lavoratori che si trovano nella stessa situazione ossia coloro che hanno proposto un giudizio nei confronti della società.
Mancando, pertanto, il termine di confronto, non sussiste discriminazione (in senso analogo, si veda decreto del Tribunale di Torino del 27/10/20, secondo cui affinché sussista una discriminazione è necessaria la descrizione di una “condotta che possa fare ritenere che la ricorrente abbia subito un trattamento difforme da quello riservato ad altri soggetti che versavano nelle medesime condizioni” e del “cd. termine di comparazione essenziale al fine di dimostrare la discriminatorietà della condotta”). È, tuttavia, lampante la natura ritorsiva della revoca delle facilitazioni di viaggio. Per ritorsione si intende, infatti, l’ingiusta ed arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore (v., tra le molte, Cassazione civile sez. lav., 17/01/2019 n. 1195). Nel nostro caso, il comportamento dei lavoratori non solo è legittimo, ma è addirittura espressione di un diritto avente rango costituzionale (v. art. 24 Cost.). Ciò comporta la nullità – oltre che della disposizione regolamentare – della decisione aziendale in quanto sorretta da motivo illecito ex art. 1345 c.c., norma applicabile anche agli atti unilaterali – a fronte del rinvio operato dall’art. 1324 c.c. – “laddove essi siano finalizzati esclusivamente al perseguimento di scopi riprovevoli ed antisociali, rinvenendosi l’illiceità del motivo, al pari della illiceità della causa, a mente dell’art. 1343 c.c., nella contrarietà dello stesso a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume” (v. Cassazione civile sez. II, 19/10/2005, n. 20197).
Nel nostro caso, è evidente che la revoca delle facilitazioni di viaggio ai dipendenti che facciano valere i propri diritti nei confronti della parte datoriale è sorretta da motivo illecito ed è volta a perseguire uno scopo del tutto immeritevole di tutela.
Né ha alcuna rilevanza la difesa della società che si fonda sulla natura discrezionale di atto di liberalità delle facilitazioni di viaggio. Quello che rileva è, infatti, l’effetto dell’atto, avente un’evidente ripercussione pregiudizievole peri lavoratori e la finalità che, con esso si vuole perseguire.”
In conclusione, in accoglimento della domanda, va annullata la decisione aziendale di revoca ai ricorrenti delle facilitazioni di viaggio e va condannata la convenuta al ripristino immediato delle stesse a favore dei lavoratori. Le spese seguono la soccombenza con liquidazione in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, visto l’art. 429 c.p.c., ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
annulla la decisione aziendale di revoca delle facilitazioni di viaggio per cui è causa e, per l’effetto, condanna la convenuta al ripristino immediato delle stesse a favore dei ricorrenti.
– condanna la società resistente alla rifusione delle spese di lite in favore della controparte, che liquida in euro 2.500,00, oltre spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge, da distrarsi.

