Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 ottobre 2019, n. 26230

Lavoratori agricoli, Disconoscimento del rapporto di lavoro,
Legittimità della erogazione della indennità di disoccupazione agricola

Rilevato che

 

1) con sentenza n. 408 dei 2013, la Corte d’appello
di Catania, confermando la sentenza del Tribunale di Siracusa, ha respinto la
domanda di A.D.P. tesa alla condanna dell’Inps a iscriverlo nell’elenco dei
lavoratori agricoli – dal quale era stato cancellato per il periodo compreso
tra il 1997 ed il 2000 a seguito dei disconoscimento del rapporto di lavoro
asseritamente intercorso con G.S.- con consequenziale accertamento della
legittimità della erogazione della indennità di disoccupazione agricola già
corrisposta e della quale l’Inps aveva chiesto la restituzione per Euro
23553,14;

2) la Corte territoriale ha ritenuto infondato il
motivo d’appello che denunciava la violazione della legge
n. 241 del 1990, artt. 3,
7, 8, 9 e 10, trattandosi di
prospettata causa di irregolarità del procedimento amministrativo non rilevante
ai fini della prova del diritto rivendicato;

3) inoltre, affermato l’onere dell’attore in sede di
accertamento negativo dell’indebito, di provare che quanto percepito
corrisponde all’adempimento di un obbligo, la sentenza ha ritenuto fittizio il
rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato in agricoltura con la citata
azienda agricola;

4) a tal proposito la Corte di merito ha ritenuto
corretta la valutazione effettuata dal giudice di primo grado rilevando che
agli atti di causa erano il verbale dell’ispettorato del lavoro e la relazione
del consulente di parte del pubblico ministero, resa in occasione di un
procedimento penale aperto, per il reato di cui all’art.
640 bis cod.pen., nei confronti di G.S., P.S. ed A.S., documenti dai quali
si evinceva la sproporzione tra la quantità di manodopera denunciata ed il
fabbisogno stimato anche considerando, nel rapporto tra manodopera ed
estensione dei fondi, quelli relativi a titoli irregolari dal punto di vista
fiscale e non muniti di data certa;

5) avverso tale sentenza ha proposto ricorso per
cassazione A.D.P., con quattro motivi;

6) l’Inps ha depositato procura in calce alla copia
notificata del ricorso per cassazione;

 

Considerato che

 

1) con il primo motivo, il ricorrente deduce
violazione e o falsa applicazione degli artt. 7, 8, 9, 10 e 22 I. n. 241 del 1990, ai sensi
dell’art. 360, primo comma n. 3) cod.proc.civ,
in ragione del fatto che la Corte territoriale aveva respinto, richiamando
precedenti di legittimità inconferenti, le doglianze della parte relative alla
violazione del diritto di difesa scaturita dalla inosservanza delle previsioni
di legge che regolano l’attività amministrativa in punto di comunicazione al
destinatario dell’attivazione del procedimento, della sua partecipazione e
dell’accesso agli atti (posto che era stato opposto li diniego all’accesso ai
verbale ispettivo richiesto da altra lavoratrice, in pendenza del procedimento
penale nei confronti della ditta S.);

2) con il secondo motivo si deduce la violazione e o
falsa applicazione dell’art. 3
della legge 241 del 1990 in relazione all’art.
360, primo comma n.3, cod.proc.civ., in ragione della sostanziale assenza
di motivazione (essendo solo presente il riferimento alla nota dell’Ispettorato
del lavoro di Siracusa che aveva comunicato l’insussistenza del rapporto di
lavoro) del provvedimento di cancellazione dagli elenchi dei lavoratori
agricoli;

3) con il terzo motivo si deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 2697 cod.civ.,censurando
la sentenza impugnata per violazione dei criteri di riparto dell’onere della
prova, per avere attribuito particolare valore probatorio al verbale ispettivo
dell’Inps e senza considerare che l’onere della prova si atteggia in modo
peculiare nel giudizio di cancellazione conseguente ad accertamenti ispettivi
presso il datore di lavoro, cui il lavoratore è rimasto estraneo, ove è
necessario verificare la legittimità dell’azione amministrativa;

4) con il quarto motivo il ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 116
e 421 cod.proc.civ in applicazione dell’art. 360, primo comma n. 3, cod.proc.civ. e
censura la sentenza impugnata per i criteri di valutazione adoperati nel
valutare la credibilità dei testi escussi (S.A., O. e M.) e per il mancato esercizio
dei poteri officiosi che avrebbe potuto dissipare eventuali dubbi sulla
ricostruzione dei fatti accaduti molti anni prima del giudizio;

5) i quattro motivi, strettamente connessi, vanno
trattati congiuntamente perché la loro disamina presuppone la definizione del
sistema delle tutele giudiziarie derivanti dall’atto di cancellazione dagli
elenchi dei lavoratori agricoli adottato dall’Inps a seguito dei controlli
ispettivi espletati per accertare l’effettiva sussistenza dei rapporti di
lavoro che fungono da presupposto per l’iscrizione del lavoratore agricolo nei
relativi elenchi;

6) si contrappongono, in sostanza, la pretesa
dell’iscritto nell’elenco dei lavoratori agricoli a rimanere tale, e l’obbligo
dell’Istituto di imporre il rispetto della regola della effettività
dell’attività connessa all’iscrizione assicurativa; si tratta di posizioni
giuridiche non legate ad alcun interesse legittimo né ad alcuna discrezionalità
amministrativa, giacché all’espletamento dell’attività agricola subordinata
corrisponde il diritto all’iscrizione, senza alcuna ulteriore valutazione
discrezionale da parte dell’amministrazione, per cui è evidente l’erroneità
della scelta interpretativa, sostenuta dal ricorrente, che pone a base della
disamina la disciplina dell’annullamento in autotutela ed in genere della legge n. 240 del 1991 che riguardano l’attività
amministrativa in senso stretto;

7) questa Corte di cassazione, in particolare, ha
affermato ripetutamente il principio secondo il quale l’iscrizione di un
lavoratore nell’elenco dei lavoratori agricoli svolge una mera funzione
ricognitiva della relativa situazione soggettiva e di agevolazione probatoria,
che viene meno qualora l’I.N.P.S., a seguito di un controllo, disconosca
l’esistenza del rapporto di lavoro, esercitando una propria facoltà (che trova
conferma nel d.lgs. n. 375 del
1993, art. 9) con la conseguenza che, in tal caso, il lavoratore ha l’onere
di provare l’esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto a
fondamento del diritto all’iscrizione e di ogni altro diritto consequenziale di
carattere previdenziale fatto valere in giudizio” (cfr. Cass. 10096 del 2016, nonché anche Cass. nn.
27144, 27145 del 19 dicembre 2014; Cass. 26949 del 19 dicembre 2014; Cass. n. 25833 del 5 dicembre 2014; Cass., n.
23340 del 3 novembre 2014);

8) ha trovato, quindi, conferma quanto già affermato
dalle Sezioni unite di questa Corte n. 1133 del 26
ottobre 2000 e nn.1186, 1187 e 1188 del 17
novembre 2000 secondo cui “il rapporto giuridico assicurativo nei
confronti dell’ente previdenziale sorge come diretta conseguenza di un’attività
di lavoro, subordinata o autonoma svolta da un determinato soggetto: l’attività
lavorativa, quindi, costituisce il presupposto (o l’elemento) essenziale per la
nascita del rapporto”; tuttavia in taluni casi la legge prevede, per la
nascita del rapporto, la presenza di ulteriori presupposti;

9) così per il lavoro in agricoltura lo svolgimento
di un minimo di giornate lavorative nell’anno deve essere certificato
dall’iscrizione negli elenchi nominativi di cui al R.D. 24 settembre 1940 n.
1949 che ha stabilito la compilazione per ogni comune di elenchi nominativi dei
lavoratori subordinati dell’agricoltura, distinti per qualifiche, con il
relativo compito di accertamento affidato dapprima a commissioni comunali,
quindi attribuito dapprima agli Uffici provinciali SCAU (Servizio per i
contributi agricoli unificati); ai sensi del D.L.
n. 7 del 1970, convertito, con modificazioni, nella legge n. 83 del 1970, successivamente, la
compilazione di detti elenchi è stata affidata a commissioni locali della mano
d’opera agricola, appositamente costituite presso gli uffici locali di
collocamento, poi sostituite da altri organi per effetto delle successive
disposizioni che hanno apportato ulteriori modifiche al sistema di accertamento
e riscossione dei contributi in agricoltura;

10) nella materia è, quindi, intervenuto il d.lgs. n. 375 del 1993 (che ha, in particolare,
riformato il sistema dei ricorsi amministrativi). Allo SCAU (soppresso dall’art. 19 della legge n. 724/1994)
è, poi, subentrato l’I.N.P.S. (art. 9 sexies del D.L.
1/10/1996 n. 510 conv. con modif. nella legge
n. 608/1996);

11) richiamando le suddette pronunce a Sezioni
unite, va tenuta presente la regola generale posta dall’art. 2697, primo comma, cod. civ., secondo cui
l’onere della prova del fatto costitutivo del diritto grava su colui che agisce
in giudizio per far valere una determinata pretesa nei confronti della
controparte;

12) pertanto, il lavoratore che domandi l’erogazione
della prestazione previdenziale, anche se agendo in accertamento negativo
rispetto alla richiesta di restituzione di indebito, deve dimostrare di avere
esercitato un’attività di lavoro subordinato per un numero minimo di giornate
nell’anno di riferimento e la prova deve essere sempre fornita mediante il
documento che dimostra l’iscrizione negli elenchi nominativi (senza che, com’è
ovvio, possa essere impedito alla parte di dedurre ulteriori mezzi per fondare
il convincimento del giudice), essendo tuttavia sempre possibile che la prestazione
previdenziale venga chiesta in giudizio anche in assenza di iscrizione negli
elenchi nominativi (in tal caso il ricorrente, sul quale grava ogni onere
probatorio, potrà chiedere contestualmente la declaratoria giudiziale del suo
diritto a tale iscrizione ovvero chiedere che il relativo accertamento avvenga
incidentalmente, al solo fine della pronuncia sulla prestazione previdenziale
per cui agisce);

13) se poi è vero che l’iscrizione negli elenchi ha
la funzione di rendere certa la qualità di lavoratore agricolo, conferendole
efficacia nei confronti dei terzi, la stessa non integra una prova legale –
salvo che per quanto concerne la provenienza del documento stesso e i fatti che
il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati da
lui compiuti – costituendo, alla stregua di qualsiasi altra attestazione
proveniente dalla pubblica amministrazione, una risultanza processuale che deve
essere liberamente valutata dal giudice;

14) ne deriva che, quando contesti l’esistenza
dell’attività lavorativa o del vincolo della subordinazione, l’ente
previdenziale ha l’onere di fornire la relativa prova, cui l’interessato può
replicare mediante offerta, a sua volta, di altri mezzi di prova; con
l’ulteriore conseguenza che, se la prova (contraria) viene data mediante la
produzione in giudizio di verbali ispettivi – i quali, a loro volta, essendo
attestazioni di fatti provenienti da organi della pubblica amministrazione,
sono soggetti al medesimo regime probatorio sopra illustrato per l’iscrizione negli
elenchi (cfr. Cass. Sez. un. 3 febbraio 1996, n. 916 e nume rose successive
conformi) – l’esistenza della complessa fattispecie deve essere accertata
mediante la comparazione e il prudente apprezzamento di tutti i contrapposti
elementi acquisiti alla causa;

15) nel caso in esame, tenuto conto di tutte le
considerazioni svolte, deve essere positivamente valutata la decisione
impugnata in quanto ha correttamente operato la ricostruzione sistematica della
concreta fattispecie, che è relativa a diritti soggettivi totalmente devoluti
alla cognizione del giudice ordinario della previdenza, non applicando i
principi relativi al sindacato del giudice ordinario nei confronti
dell’attività amministrativa;

16) infatti, come questa Corte ha ripetutamente
affermato nei precedenti sopra ricordati, da parte dell’Inps può essere offerta
la prova contraria dell’esistenza del rapporto di lavoro risultante dagli
elenchi anche mediante la produzione, come nel caso di specie, degli
accertamenti svolti dal consulente di parte nominato dal Pubblico ministero
presso il Tribunale di Siracusa in seno al procedimento penale a carico di G.,
P. ed A.S., dal quale l’Istituto, condiviso dal giudice, trae elementi concreti
a sostegno della denuncia del carattere simulato del rapporto di lavoro
agricolo, derivanti dalla circostanza che nei vari anni dal 1995 al 2000 erano
stati denunciati rapporti di lavoro per complessive 156.539 giornate, del tutto
ingiustificabili se rapportati alla estensione dei fondi indicati ( taluni
dichiarati in affitto ma non riconosciuti dai proprietari e senza prove
documentali ) e non corrispondenti alle indicazioni delle tabelle
ettaroculturali ;

17) a fronte di tale concreta situazione
processuale, neanche criticata nei presupposti fattuali sul quale è fondato il
ragionamento presuntivo de quo, la sentenza impugnata ha proceduto a
confrontare il prodotto del ragionamento presuntivo appena riportato con gli
esiti delle prove per testi relative ad A.S., O. e M., giudicando questi ultimi
inattendibili per ragioni derivanti da vincoli familiari e per le carenze e le
lacune dimostrate nel riferire sul concreto atteggiarsi dello svolgimento
dell’attività di lavoro del D.P. negli anni oggetto di disconoscimento;

18) la censura, seppure formalmente qualificata in termini
di violazione di norme di diritto, nei contenuti contesta l’accertamento di
fatto compiuto dal giudice dell’appello in ordine alla ricorrenza negli anni di
causa dei presupposti di iscrizione agli elenchi degli operai agricoli a tempo
determinato;

19) il ricorrente oppone a tale accertamento di
fatto una diversa valutazione delle risultanze istruttorie e, comunque,
sollecita ulteriori indagini ed il ricorso a criteri di valutazione
presupponenti nuovi accertamenti in fatto (assunzione di ulteriori testi).
Trattasi all’ evidenza di deduzioni afferenti non già alla interpretazione ed
alla applicazione delle norme ma alla ricostruzione del fatto storico sulla
base dei dati di causa, censurabile in questa sede di legittimità unicamente
nei limiti di deducibilità del vizio di motivazione ex articolo 360 nr.5 cod.proc.civ.; neppure viene
utilmente evocato il disposto dell’art. 421
cod.proc.civ., posto che al fine di censurare idoneamente in sede di
ricorso per cassazione l’inesistenza o la lacunosità della motivazione sulla
mancata attivazione di detti poteri, occorre, contrariamente a quanto avvenuto
nel presente ricorso, dimostrare di averne sollecitato l’esercizio, in quanto
diversamente si introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema
del contendere totalmente nuovo rispetto a quelli già dibattuti nelle
precedenti fasi di merito (Cass. 25374 del 2017;
Cass. n. 14731 del 2006);

20) ancora, questa Corte di cassazione ha
ripetutamente affermato che in tema di ricorso per cassazione, la violazione
dell’art. 2697 cod.civ. si configura soltanto
nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una
parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di
scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi
ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art.
115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente
o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento
della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa
fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel
valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di
convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività
consentita dall’art. 116 cod. proc. civ. (Cass.
n. 26769 del 23 ottobre 2018 che richiama Cass. n. 11892 del 2016 e Cass. Sez.
II, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, in motivazione);

21) il ricorso deve essere, quindi, rigettato
giacché la sentenza impugnata si è attenuta ai principi di diritto enunciati da
questa Corte sopra ricordati; non si deve provvedere sulle spese in mancanza di
attività difensiva da parte dell’INPS, limitatasi a depositare procura speciale
in calce alla copia notificata del ricorso per cassazione.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

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