Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 novembre 2019, n. 30997

Malattia del lavoratore, Mancata erogazione delle relative
prestazioni indennitarie, Ipsema, Obbligo retributivo a carico del datore di
lavoro

 

Fatti di causa

 

La Corte d’appello di Bari, con sentenza resa
pubblica il 15.12.2016 in parziale accoglimento dell’appello proposto da C.B.,
A.A. e D.A. o quali eredi di G.A. e in parziale riforma della sentenza di primo
grado, condannava la S. s.p.a. al pagamento, in favore degli appellanti, delle
retribuzioni dovute al loro dante causa per il periodo dal 28.11.2006 fino alla
data di cessazione del rapporto, oltre accessori di legge, interpretando il
relativo capo di domanda come volto ad ottenere una pronuncia di condanna
generica alla corresponsione delle somme oggetto del diritto azionato.

Avverso tale decisione la S. s.p.a. ha proposto
ricorso per cassazione, affidato a due motivi, illustrati da memoria cui hanno
resistito con controricorso gli eredi di G.A..

Il pubblico ministero ha depositato conclusioni
scritte.

La causa, chiamata in sede di adunanza camerale, è
stata rinviata per la trattazione in pubblica udienza.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso la S. s.p.a.
censura la sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma
1, n.3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli artt. 414, 112 c.p.c.,
dell’art. 2697 c.c., degli artt. 437 e 278 c.p.c..

Si duole che la Corte d’appello abbia accolto una
pretesa domanda di condanna generica, in realtà mai formulata da controparte
nel ricorso introduttivo di primo grado, con la quale l’A. aveva proposto una
domanda di condanna specifica priva della concreta quantificazione delle somme
richieste.

2. Il secondo motivo prospetta violazione e falsa
applicazione del r.d. 23/9/1937 n. 1918 conv.
in l. 24/4/1938 n. 83, art. 1 c. 2 e art. 5 c. 1.

Si criticano gli approdi ai quali è pervenuta la
Corte di merito laddove ha ritenuto che, in costanza di malattia del
lavoratore, la mancata erogazione delle relative prestazioni indennitarie da
parte dell’Istituto Previdenziale ed Assistenziale competente (Ipsema) facesse
sorgere l’obbligo retributivo a carico del datore di lavoro. Si deduce per
contro che l’istituto assicurativo assume in via esclusiva detto obbligo, che
si traduce nella erogazione del trattamento di malattia, in caso di alterazione
dello stato di salute che comporti un’inabilità al lavoro, come desumibile dal
compendio normativo cui si è fatto richiamo.

3. Ragioni di logica priorità inducono ad esaminare
la questione pregiudiziale di rito sollevata in sede di controricorso, inerente
al difetto, in capo al dott.D.G. – indicato in atti come direttore delle
risorse umane – dei poteri di rappresentanza sostanziale e processuale della
società S..

4. L’eccezione non è fondata.

Occorre premettere che, secondo i dieta di questa
Corte ai quali si intende dare continuità, non può essere attribuita la
rappresentanza processuale quando non risulti conferita al medesimo soggetto
anche la rappresentanza sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio,
sicché la procura che conferisca il potere di decidere, a nome della società,
le modalità di definizione dei rapporti controversi – se transigere, sottoporre
la questione al giudice o agli arbitri, o resistere – non può essere
interpretata quale conferimento di rappresentanza di ordine meramente
processuale, atteso che l’anzidetto potere di scegliere ed attuare la migliore
soluzione dei rapporti stessi rivela tipiche caratteristiche sostanziali e
negoziali, comprendendo in sé, e precedendo logicamente, quello di costituirsi
in giudizio (vedi Cass. 22/06/2005 n. 13347,
Cass. 20/12/2006 n. 27284, Cass. 20/11/2009 n. 24546).

Nella specie, dalla documentazione versata in atti,
s’impone l’evidenza che il dott. D.G. ha validamente esercitato in giudizio le
sue attribuzioni – essendogli stati conferiti tutti i poteri, quali quelli
suindicati di conciliare e transigere ogni e qualsiasi controversia di lavoro,
rappresentare la società nel contenzioso extragiudiziale con potere di
transigere le singole controversie, rinunciare e accettare rinunce all’azione
in giudizio …- che consentono di desumere che egli fosse titolare anche di un
potere di rappresentanza sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio.

5. Esposte tali premesse, deve ritenersi che il
primo motivo di ricorso non sia meritevole di accoglimento.

Ed invero, secondo un consolidato orientamento
espresso da questa Corte, anche nel processo del lavoro, l’interpretazione
della domanda rientra nella valutazione del giudice di merito e non è
censurabile in sede di legittimità ove motivata in modo sufficiente e non
contraddittorio (vedi Cass. 24/7/2012 n. 12944); pur ove questi abbia
espressamente ritenuto che una certa domanda era stata avanzata – ed era
compresa nel “thema decidendum” – il dedotto errore del giudice
attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà
della parte, e non a quello inerente a principi processuali, sicché detto
errore può concretizzare solo una carenza nell’interpretazione di un atto
processuale, ossia un vizio sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto
il profilo del vizio di motivazione” (vedi Cass. 13/8/2018 n. 20718, Cass.
5/2/2014 n. 2630, Cass. 31/7/2006 n. 17451).

Orbene, nello specifico la Corte distrettuale ha
proceduto ad una interpretazione del ricorso introduttivo del giudizio,
pervenendo al convincimento che il ricorrente avesse proposto una domanda di
condanna generica, non avendo svolto alcuna conclusione in ordine alla entità
delle reclamate retribuzioni con asserzione che non appare suscettibile di
emendamento in questa sede di legittimità.

Detta statuizione appare del tutto congrua sotto il
profilo logico e corretta sul versante giuridico, giacché, una domanda di
condanna senza specificazione del quantum altro non è che una domanda di
condanna – appunto – in via generica, consentita dall’ordinamento che
predispone, nel caso di impossibilità di provare il quantum debeatur, anche la
liquidazione in via equitativa ex art. 1226 c.c.
o ex art. 432 c.p.c..

E’ infatti ammissibile (con riguardo alle azioni di
risarcimento del danno sia in materia contrattuale che extracontrattuale) la
domanda dell’attore originariamente rivolta unicamente ad una condanna
generica, senza che sia necessario il consenso – espresso o tacito – del
convenuto, costituendo essa espressione del principio di autonoma disponibilità
delle forme di tutela offerte dall’ordinamento ed essendo configurabile un
interesse giuridicamente rilevante dell’attore (vedi Cass. 21/3/2016 n. 5551).

E tale possibilità è ammessa anche nel rito del
lavoro (non essendo limitata alle ipotesi di sentenza non definitiva con rinvio
della liquidazione del “quantum” alla prosecuzione del giudizio), ben
potendo la domanda essere limitata fin dall’inizio all’accertamento
dell’an”, con conseguente pronuncia di condanna generica, che definisce il
giudizio, e connesso onere della parte interessata di introdurre un autonomo
giudizio per la liquidazione del “quantum” (vedi Cass. 26/2/2014 n.
4587).

In tale prospettiva la pronuncia impugnata che ha
interpretato “la pretesa” azionata – priva di alcuna specifica
deduzione in ordine alla entità delle reclamate retribuzioni – “nei
termini di una domanda di condanna generica”, si sottrae alle censure
svolte.

6. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso.

La società ha invero modulato le proprie difese in
primo grado, sul rilievo che dal novembre 2006 il lavoratore sarebbe stato
assente per malattia, con ogni conseguente onere economico a carico dell’Ente
previdenziale Ipsema.

Non risulta, tuttavia, che la spiegata eccezione
inerente al perdurare dello stato di malattia – quale fatto impeditivo degli
effetti del rapporto sul quale la pretesa si fonda – sia stata riproposta in
grado di appello, non avendo la ricorrente riportato, per il principio di
specificità che governa il ricorso per cassazione ed in violazione dei dettami
di cui all’art. 366 c.p.c. nn.3-4-6, il tenore
della memoria recante la allegazione della circostanza, in funzione impeditiva
degli effetti del rapporto sul quale la predetta pretesa si fonda.

Il potere di allegazione che compete esclusivamente
alla parte e va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito in concreto
applicabile, non è inoltre, disgiunto dalla necessità che i predetti fatti
modificativi, impeditivi o estintivi risultino legittimamente acquisiti al
processo e provati alla stregua della specifica disciplina processuale in
concreto applicabile (vedi in motivazione Cass. 20/5/2010 n. 12353, Cass.
29/10/2018 n. 27405).

E, nello specifico, per quanto sinora detto, non
risulta che la società abbia ritualmente allegato in appello, e comunque
dimostrato l’effettiva ricorrenza e la correlativa durata dello stato di
malattia in cui versava il dipendente in relazione all’intero periodo dedotto
in lite, presupposto fattuale e giuridico per la configurazione della
titolarità nel lato passivo dell’obbligazione alla prestazione previdenziale,
in capo all’IPSEMA.

7. Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto.

La regolazione delle spese inerenti al presente
giudizio, segue il regime della soccombenza, nella misura in dispositivo
liquidata.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente
al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1 co 17 L. 228/2012 (che ha
aggiunto il comma 1 quater all’art.
13 DPR 115/2002) – della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per
esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al
15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del
2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

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