Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 dicembre 2019, n. 31523

Procedura di licenziamento collettivo, Limite del controllo
giudiziale, circoscritto alla verifica dell’effettività e della ragionevolezza
della riduzione del personale, Irrilevanza delle ragioni economiche che hanno
indotto l’azienda a disporre la riorganizzazione produttiva, Sufficiente la
verifica della sussistenza del nesso causale tra il progettato
ridimensionamento e singoli provvedimenti di recesso

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello di Bologna, con sentenza n.
505/2018 dell’8 maggio 2018, respingeva il reclamo proposto da P. F. e Filctem
Cgil e così confermava la sentenza del Giudice del lavoro del Tribunale di
Modena che, respingendo l’opposizione del F., aveva rigettato l’impugnativa del
licenziamento che la società Gruppo Ceramiche R. p.a. aveva intimato al
ricorrente in data 10 dicembre 2014 all’esito di una procedura di licenziamento
collettivo avviata il 17 settembre 2014.

1.1. La Corte territoriale evidenziava che i punti
sottoposti al suo esame erano i seguenti: insussistenza del presupposto
giuridico del licenziamento collettivo, ossia la riduzione o trasformazione
dell’attività (art. 24 legge
223 del 1991); natura discriminatoria e/o ritorsiva del licenziamento;
insussistenza della asserita chiusura del “Laboratorio Tecnologico
Controllo Qualità”; insussistenza della asserita chiusura dell’area
relativa al controllo della qualità delle materie prime dell’anzidetto Laboratorio;
mancata comparazione della posizione del F. con quella del tutti gli altri
dipendenti del gruppo e della società; violazione dei criteri di scelta dei
lavoratori da licenziare (art.
5 legge n. 223 del 1991).

1.2. La Corte premetteva che il primo argomento era
privo di fondamento, stante il limite del controllo giudiziale, circoscritto
alla verifica dell’effettività e della ragionevolezza della riduzione del
personale, restando estranea a tale controllo l’indagine sulle ragioni
economiche che avevano portato l’azienda a disporre la riorganizzazione
produttiva, da cui l’irrilevanza dei dati emergenti dai bilanci della società
reclamata e delle società del gruppo, come pure dell’esito di precedenti
procedure di riduzione del personale.

1.3. Quanto al dedotto carattere discriminatorio per
ragioni di età o per ragioni sindacali ai sensi dell’art. 15 legge n. 300 del 1970,
osservava la Corte di appello che si trattava di vizi solo apoditticamente
enunciati e non supportati da elementi più specifici. Non risultavano neppure
indicati i lavoratori più giovani e meno costosi che avrebbero sostituito il F.
nell’attività da lui svolta. Era ininfluente l’attività sindacale svolta dal
ricorrente, ma risalente agli anni 1990/1996, periodo oltremodo distante del
tempo.

1.4. Quanto alle censure relative alla soppressione
del Laboratorio Controllo Materie Prime, osservava che dalla accurata
ricostruzione contenuta nella sentenza di primo grado, condivisa dalla Corte,
detto Laboratorio – cui era addetto al F. – era dotato di una propria autonomia
rispetto agli altri due laboratori esistenti presso la società, ossia il
Laboratorio Tecnologico Produzione e il Laboratorio Ricerche e Sviluppo. Nella
procedura di licenziamento collettivo era stata individuata proprio l’esigenza
di chiudere il Laboratorio Materie Prime con il licenziamento dei quattro
addetti, poiché la relativa attività era stata esternalizzata, mentre non aveva
trovato riscontro in giudizio la tesi secondo cui il predetto laboratorio
costituisse una frazione del più complesso Laboratorio Tecnologico Controllo
Qualità. Anzi, gli stessi organigrammi aziendali avevano evidenziato
l’esistenza di un Laboratorio Materie Prime, già Laboratorio Impasti, al
servizio di tutti gli stabilimenti del gruppo.

1.5. Quanto alla scelta dei lavoratori da licenziare
e alla mancata comparazione con gli altri dipendenti dell’intero complesso
aziendale, la Corte di appello rilevava che la limitazione della platea ai soli
addetti al laboratorio soppresso era spiegabile con oggettive esigenze
aziendali: la non contestata situazione di crisi in cui la società versava
aveva portato alla chiusura di una serie di stabilimenti al servizio dei quali
operava tale laboratorio, dotato di autonomia funzionale e organizzativa. Come
già ritenuto dal primo giudice, la posizione del F. non era fungibile con
quella di altri lavoratori, posto che il reclamante sin dal 2006 aveva svolto
la propria attività presso il laboratorio soppresso e dalla prova testimoniale
era emerso che gli addetti ai laboratori avevano competenze diverse e non
fungibili e dunque non erano interscambiabili tra loro. Quanto all’eventualità
della sostituzione degli addetti ai laboratori, pure emersa dalle deposizioni
testimoniali, non era possibile specificare tempi e modalità di tali
sostituzioni.

2. Per la cassazione di tale sentenza FILTEM-CGIL e
L. F. hanno proposto ricorso affidato a tredici motivi, cui ha resistito con
controricorso la soc. Gruppo Ceramiche R. s.p.a..

3. Parte ricorrente ha altresì depositato memoria ex
art. 378 cod. proc. civ..

 

Ragioni della decisione

 

1. Il primo motivo denuncia nullità della sentenza
ai sensi dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ., in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod.
proc. civ., per avere la Corte di appello affermato l’oggettiva complessità
e particolarità della vicenda dedotta in causa, con altrettanto oggettiva
opinabilità delle questioni trattate”.

Si assume che con tale affermazione la Corte aveva
dimostrato che sulle questioni oggetto di causa avrebbe potuto decidere sia in
un senso che nell’altro, esprimendo così una motivazione incomprensibile ovvero
contraddittoria ovvero solo apparente ovvero perplessa, con conseguente nullità
della sentenza stessa.

2. Il secondo motivo denuncia violazione dell’art.
4, commi 2, 3 e 9 e dell’art.
24 legge n. 223 del 1991 (art. 360, primo comma
n. 3, cod. proc. civ.) per il mancato controllo giudiziale sulla
correttezza procedurale dell’operazione e sull’effettività della scelta
imprenditoriale.

Si assume che dal contenuto della comunicazione del
17 settembre 2014 (trascritta da pag. 27 a pag. 30 del ricorso) era desumibile
l’assenza di indicazioni circa un’analisi concreta e specifica della situazione
economico- finanziaria del gruppo R. e che dai bilanci degli ultimi anni e
dalla consulenza tecnica di parte era emerso un miglioramento nell’anno 2014,
da cui l’insussistenza della asserita crisi.

3. Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 15 lett. B) legge n. 300 del
1970, degli artt. 2727 e 2729 cod. civ. e degli artt.
115 e 116 cod. proc.civ. per mancato
riconoscimento della natura discriminatoria del licenziamento per motivi
sindacali.

Il ricorso da pag. 37 a pag. 57 analizza le vicende
giudiziarie pregresse (un precedente licenziamento conclusosi con verbale di
conciliazione e reintegrazione nel posto di lavoro, una domanda di accertamento
del demansionamento seguita da un secondo verbale di conciliazione, un terzo
procedimento giudiziale per demansionamento, la collocazione in CIGS senza
rotazione) per sostenere che il comportamento tenuto dalla società nei confronti
del F. era connotato da un intento discriminatorio intenso e di lunga durata,
situazione idonea a configurare la prova logica fondata su presunzioni gravi,
precise e concordanti della nullità del licenziamento.

4. Il quarto motivo denuncia omesso esame di un
fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti
(art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.) consistito nel demansionamento
per ragioni sindacali. Con tale motivo si reitera sub specie di vizio di omesso
esame di un fatto decisivo il medesimo argomento di cui al terzo motivo.

5. Il quinto motivo censura la sentenza per
violazione dell’art. 15 legge
300 del 1970 e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. per non avere accertato il
carattere discriminatorio per ragioni di età del licenziamento intimato.

Si ribadisce la tesi secondo cui licenziamento del
ricorrente, unitamente a quello degli altri colleghi assegnati al medesimo
reparto, era motivato dall’esigenza di sostituire lavoratori di una certa età e
costosi con quattro giovani appena diplomati e di minor costo.

6. Il sesto motivo denuncia omesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.),
sempre vertente sul carattere discriminatorio del licenziamento per ragioni di
età, per avere la sentenza omesso di considerare l’intenzione dell’azienda di
raggiungere un risparmio di spesa eliminando le posizioni addette al
laboratorio e occupate da lavoratori più onerosi per l’azienda.

7. Il settimo motivo denuncia (da pag. 67 a pag 90
del ricorso) omesso esame di un fatto decisivo del giudizio oggetto di
discussione tra le parti (art. 360, primo comma, n.
5 cod. proc. civ.) costituito dall’esistenza di un laboratorio, denominato
“Laboratorio Tecnologico Controllo Qualità”, inteso come complesso di
personale dotato di competenze specifiche e investito del compito di
controllare la qualità delle materie prime, dei semilavorati e dei prodotti
finiti.

Il ricorrente deduce di avere sempre sostenuto, fin
dal ricorso introduttivo di primo grado, che detto laboratorio comprendeva il
controllo di qualità di tutte le fasi processo produttivo e cioè comprendeva
anche l’area relativa al controllo di qualità delle materie prime, quella
relativa al controllo qualità di semilavorati e quella relativa al controllo di
qualità del prodotto finito.

Il “Laboratorio Tecnologico Controllo
Qualità” costituiva un unico laboratorio distinto in vari reparti,
definiti come aree, tra le quali era compresa l’area Laboratorio Materie Prime,
da cui la fungibilità degli addetti ai vari reparti.

8. Con l’ottavo motivo si denuncia violazione e
falsa applicazione dell’art. 29
d.lgs. 276 del 2003 in materia di appalto di manodopera, in quanto il dott.
G., professionista geologo al quale società R. aveva appaltato il
“controllo delle materie prime”, prestava la propria opera nei locali
aziendali e si avvaleva di un’organizzazione di mezzi non propria.

9. Con il nono motivo si denuncia violazione degli artt. 4 e 24 d.lgs. n. 223 del 1991 per
avere la sentenza violato i principi espressi dalla giurisprudenza di
legittimità con la sentenza n. 5592 del 2016
per cui spetta al datore di lavoro l’allegazione e la prova dell’impossibilità
di repechage del lavoratore.

10. Il decimo motivo denuncia (da pag. 99 a pag. Ili
del ricorso) violazione e falsa applicazione degli artt. 4, comma 9 e 5 legge n. 223
del 1991 per avere la sentenza violato tali norme, laddove ha ritenuto
corretta la determinazione aziendale di limitare il novero dei lavoratori
destinatari del provvedimento espulsivo ai soli addetti al reparto soppresso,
anziché estendere la comparazione tra tutti gli addetti all’intero complesso
aziendale e per non avere spiegato come i criteri di scelta fossero stati
applicati nella specie.

Si assume che la crisi riguardava l’intero complesso
aziendale, per cui la riduzione del personale non poteva che riguardare tutti
gli addetti, non escludendo alcun reparto o area.

11. Con l’undicesimo motivo si denuncia nullità
della sentenza per violazione dell’art. 132 n. 4
cod. proc. civ. (art. 360, primo comma, n. 4
cod. proc. civ.) per avere affermato l’infungibilità delle prestazioni
lavorative del F. sulla base di una motivazione apparente, ovvero
contraddittoria ovvero incomprensibile ovvero perplessa, in quanto dall’intero
complesso motivazionale della sentenza si comprende come il giudizio di
infungibilità sia stato compiuto soltanto in sede giudiziale e non invece, come
sarebbe stato necessario, all’atto di intimazione del licenziamento, cioè
nell’ambito della procedura di licenziamento collettivo.

12. Con il dodicesimo motivo si denuncia (dal pag.
114 a pag. 119 ricorso) omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è
stato oggetto di discussione tra le parti (art.
360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.) costituito dall’avere il F., nel
suo lungo percorso professionale, svolto tutta una serie di altre mansioni
all’interno della R., “precisamente emerse in modo incontestabile dalla
risultanze istruttorie”.

13. Con il tredicesimo motivo ci si duole (da pag.
119 a pag. 125 ricorso) della violazione o falsa applicazione dell’art. 5 legge n. 223 del 1991.

Si deduce che, in mancanza – come nella fattispecie
in esame – di criteri concordati dalle parti sociali, opera l’art. 5 citato per cui la
società avrebbe dovuto applicare i criteri di scelta ivi previsti, ossia
carichi di famiglia, anzianità di servizio ed esigenze tecnico produttive e
organizzative in concorso tra loro, mentre la decisione di sopprimere l’area
“Laboratorio Materie Prime” non rispettava il concorso di tali
criteri, in quanto basata unicamente sulle esigenze tecnico-produttive ed
organizzative.

14. Il ricorso è infondato.

15. Il primo motivo è inammissibile. Invero, la
sentenza non si è limitata ad esprimere l’assunto contestato. Ha invece
esaminato compiutamente le censure svolte nell’atto di appello, dapprima
identificandole precisamente e poi motivando la propria decisione in ordine a
ciascuna di esse. Il motivo di ricorso ha sostanzialmente estrapolato
un’espressione priva di valenza decisoria, da qualificare come mero obiter
dictum.

16. Il secondo motivo è infondato.

16.1. Secondo costante giurisprudenza di questa
Corte, in ipotesi di licenziamenti collettivi impugnati giudizialmente, il
giudice, investito della valutazione di legittimità dei recessi, non può
sindacare le scelte imprenditoriali nel dimensionare il livello occupazionale
in riferimento alla programmata ristrutturazione, riorganizzazione o
conversione aziendale, sicché non vi è valutazione di merito sulla
giustificatezza del recesso datoriale come nella fattispecie del licenziamento
per giustificato motivo oggettivo.

La fattispecie del licenziamento collettivo
presuppone, come requisito fattuale di legittimità – la cui oggettiva
ricorrenza, ove contestata, può essere verificata dal giudice – la
realizzazione di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro,
normalmente determinata, secondo una scelta di opportunità che rientra nella
insindacabile valutazione del datore di lavoro, da una diminuzione della
richiesta di beni o di servizi offerti sul mercato, da una situazione di crisi
o da una modificazione dell’organizzazione produttiva, che comportino
soppressione di uffici, reparti, lavorazioni, o anche soltanto contrazione
della forza lavoro.

Al riguardo, l’accertamento del giudice, investito
della valutazione della legittimità del licenziamento collettivo, riguarda la
sussistenza dell’imprescindibile nesso causale tra il progettato
ridimensionamento singoli provvedimenti di recesso (cfr., ex plurimis, Cass. n.
19347 del 2007, n. 6385 del 2003).

16.2. Nel caso in esame, correttamente il Corte di
appello si è limitata a riscontrare che la scelta imprenditoriale – le cui
ragioni economiche restavano insindacabili – atteneva alla soppressione di un
reparto, poi effettivamente avvenuta, e che il ricorrente era addetto al
reparto soppresso. Ha altresì accertato (pag. 26-27 sent.) che nella comunicazione
di avvio della procedura collettiva era stata evidenziata la necessità di
procedere alla chiusura del Laboratorio Materie Prime “in correlazione con
la non contestata situazione di crisi in cui detta società versava con la
chiusura di una serie di stabilimenti al servizio dei quali operava il predetto
Laboratorio Materie Prime” e che si era provveduto alla “effettiva
attuazione di decisione di soppressione di detto Laboratorio, con contestuale
esternalizzazione della attività con riferimento al contratto di appalto
stipulato con la società Modena Centro Prove s.r.l.”.

Il giudice di appello non ha sindacato l’opportunità
della scelta imprenditoriale, esulando tale verifica dall’ambito del controllo
giudiziale. Ha invece compiuto l’accertamento che gli era demandato, ossia la
verifica dell’effettività della scelta organizzativa, ossia la reale
soppressione del Laboratorio Materie Prime, e il nesso causale tra tale scelta
imprenditoriale e il licenziamento attuato nella specie. Non sussiste quindi il
vizio denunciato.

17. I motivi dal terzo al sesto sono connessi tra
loro. Essi sono inammissibili.

17.1. Premesso che l’effettiva soppressione del
laboratorio con esternalizzazione del servizio costituisce l’esito di un
accertamento di merito compiutamente svolto dal giudice di appello, va
osservato che il terzo e il quinto motivo censurano la valutazione delle prove,
omettendo di considerare che il principio del libero convincimento, posto a
fondamento degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., opera interamente sul piano
dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità. La denuncia
della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito è
configurabile come un errore di fatto che deve essere censurato attraverso il
corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti
consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc.
civ., come riformulato dall’art.
54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012 (cfr. Cass. n. 23940 del
2017).

17.2. Il quarto e il sesto motivo che censurano la
sentenza per omesso esame di fatto decisivo per il giudizio (art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.)
investono la soluzione di merito che la Corte di appello ha espresso
condividendo integralmente e ribadendo il giudizio del giudice di primo grado.

In proposito, va osservato che opera la previsione
di inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348-ter, comma 5, cod. proc. civ., che
esclude che possa essere impugnata ex art. 360,
primo comma, n. 5, cod. proc. civ. la sentenza di appello “che
conferma la decisione di primo grado”. Tale disposizione si applica, agli
effetti dell’art. 54, comma 2,
del d.l. n. 83 del 2012, conv. in I. n. 134
del 2012, ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con
citazione di cui sia stata richiesta la notificazione successivamente all’11
settembre 2012. Nel caso in esame, il ricorso in appello venne proposto nel
2018 per cui la disposizione trova applicazione. Tali motivi sono dunque
inammissibili.

17.3. Va poi osservato che il ricorso si incentra
anche su presunte ragioni di ritorsività a fronte della diverse iniziative
giudiziarie intraprese dal ricorrente, prevalentemente vertenti su periodi di
lamentato demansionamento.

In proposito, ferma restando l’inammissibilità di
cui si è detto in precedenza, va pure aggiunto che il motivo illecito addotto
ex art. 1345 cod. civ. deve essere
determinante, cioè costituire l’unica effettiva ragione di recesso, ed
esclusivo (tra le tante, v. da ultimo, Cass. n. 9468 del 2019). Dunque, ove il
licenziamento sia da ritenere legittimo perché conforme al modello legale (nella
specie, il modello dettato dalla legge n. 223 del
1991), deve escludersi la ritorsività, la quale deve costituire l’unica
effettiva ragione del recesso.

18. I motivi dal settimo al dodicesimo vertono su
censure tra loro connesse. Essi possono essere trattati congiuntamente, salve
le specificità di ciascuno di essi di seguito esposte.

18.1. Preliminarmente, quanto al settimo motivo,
vertente su omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.), va
ribadito che si verte in ipotesi di c.d. “doppia conforme”, per cui
opera la previsione di inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348-ter, comma 5, cod. proc. civ.. La
sentenza impugnata ha argomentato, con accertamento di merito, l’autonomia del
laboratorio cui era addetto il ricorrente, come pure la non fungibilità delle
posizioni degli addetti alle varie aree. Tale giudizio di merito non è più sindacabile
in questa sede ai sensi dell’art. 360, primo comma,
n. 5 cod. proc. civ..

18.2. Quanto all’ottavo motivo, avente una sua
peculiarità, deve rilevarsi che si denuncia una violazione di legge rispetto
alla quale resta estranea la posizione dell’attuale ricorrente, privo di
legittimazione a far valere l’ipotizzato appalto illecito, che solo
l’interessato, ossia il dott. G., avrebbe potuto denunciare nei confronti
dell’ipotetico fittizio committente.

18.3. Il nono motivo richiama una giurisprudenza non
pertinente, in quanto riguardante la (diversa) ipotesi del licenziamento
individuale e non direttamente applicabile all’ipotesi di licenziamento
collettivo.

18.4. Tanto premesso, va osservato che, nel
licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di
ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad una singola unità
produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, la comparazione, al fine di
individuare i lavoratori da avviare alla mobilità, può essere limitata – ove
sia giustificata dalle ragioni tecnico-produttive che hanno condotto alla
scelta di riduzione del personale – agli addetti delle singole unità produttive
interessate alla ristrutturazione, dovendosi intendere come tali ogni
articolazione dell’azienda che si caratterizzi per condizioni imprenditoriali
di indipendenza tecnica e amministrativa ove si esaurisca per intero il ciclo
relativo ad una frazione o ad un momento essenziale dell’attività, con
esclusione delle articolazioni aziendali che abbiano funzioni ausiliari o
strumentali. (Cass. n. 13705 del 2012).

Tuttavia il datore di lavoro non può limitare la
scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale
reparto o settore se essi siano idonei – per il pregresso svolgimento della
propria attività in altri reparti dell’azienda – ad occupare le posizioni
lavorative di colleghi addetti ad altri reparti, con la conseguenza che non può
essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel
reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di
professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative (Cass. 203 del 2015; conf. Cass. n. 19105 del
2017). Il criterio delle esigenze tecnico-produttive può essere utilizzato per
la creazione di graduatorie anche trasversali tra i vari settori ove ricorrano
professionalità fungibili (cfr. Cass. n. 23041 del
2018).

18.5. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha
fatto corretta applicazione di tali principi, poiché ha positivamente
accertato, alla stregua delle risultanze di causa: a) che il progetto di
ristrutturazione aziendale si riferiva in modo esclusivo ad uno specifico
settore dell’azienda, interessato dalla soppressione per essere il servizio
stato esternalizzato con riduzione dei costi dell’impresa; b) l’articolazione
dell’azienda interessata dalla procedura si caratterizzava per autonomia
operativa ed esauriva un particolare ciclo relativo ad una frazione o ad un
momento essenziale dell’attività; c) la determinazione del datore di lavoro di
limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità era giustificata dal
carattere non fungibile rispetto alle posizioni lavorative di colleghi addetti
ad altri reparti, ossia dall’esclusione di professionalità equivalenti; d)
erano stati licenziati tutti i lavoratori addetti a tale settore, per cui non
vi era alcuna necessità di comparazione tra gli stessi.

18.6. Il motivo che denuncia error in iudicando
(motivo 10) presenta profili di connessione con quello (motivo 12) che lamenta
omesso esame di un fatto decisivo concernente la mancata considerazione delle
risultanze istruttorie in ordine al carattere fungibile della professionalità
posseduta dal F.. Il complesso argomentativo tende a sostenere una
prospettazione in fatto diversa da quella ricostruita dal giudice di merito.
Pur denunciando un’erronea ricognizione della fattispecie legale, in realtà il
ricorrente allude ad una erronea sussunzione della fattispecie concreta in
quella astratta previa ricostruzione dei fatti secondo un diverso apprezzamento
di merito.

Come più volte affermato da questa Corte (cfr. tra
le tante, Cass. n.7394 del 2010, n. 8315 del 2013,
n. 26110 del 2015, n. 195 del 2016), è
inammissibile una doglianza che fondi il presunto errore di sussunzione – e
dunque un errore interpretativo di diritto – su una ricostruzione fattuale
diversa da quella posta a fondamento della decisione, alla stregua di una
alternativa interpretazione delle risultanze di causa.

18.7. L’undicesimo motivo risulta scarsamente
comprensibile, poiché non chiarisce per quale motivo la sentenza impugnata, logicamente
argomentata e coerente, sarebbe nulla perché apparente o contraddittoria. Deve
comunque considerarsi che l’accertamento della legittimità del licenziamento
non può che essere compiuto in sede giudiziale.

18.8. Quanto al tredicesimo motivo, l’esigenza della
operatività dei criteri di scelta di cui all’art. 5 legge n. 223 del 1991,
in concorso tra loro, si sarebbe posta solo ove il numero dei lavoratori in
esubero fosse stato inferiore a quello degli occupati rientranti nel novero
della selezione, ma nella specie – una volta delimitato (per le ragioni già
dette) l’alveo della selezione ai soli addetti all’unità “Laboratorio
Materie Prime” – non si poneva alcuna esigenza di comparazione, essendo
stati licenziati tutti e quattro gli addetti a tale settore.

19. In conclusione, il ricorso va rigettato, con
condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi
professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del
compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

20. Va dato atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R.
30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1 -bis dello stesso art. 13
(v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
pagamento delle spese, che liquida in euro 5.000,00 per compensi e in euro
200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

Ai sensi dell’art.13 comma 1 -quater del d.P.R.
n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1-bis, dello stesso articolo
13.

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