Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 dicembre 2019, n. 32697

Straniero, Pratiche amministrative di rilascio del permesso
di soggiorno, Lavoro subordinato, C.c.n.I. Commercio terziario,
Qualificazione giuridica del rapporto di lavoro, Retrodatazione del rapporto,
Differenze retributive

Rilevato che

 

1. Il Tribunale di Roma, in parziale accoglimento
della domanda di A. K., dichiarava l’esistenza tra il predetto ed il Centro
Ingrosso P. s.r.l. di un rapporto di lavoro subordinato dal 28.11.2004 al
30.9.2009, con inquadramento del lavoratore nel quinto livello c.c.n.I.
Commercio terziario, e condannava la società al pagamento, in favore del
predetto, di € 28.250,45 a titolo di differenze retributive;

2. la Corte d’appello capitolina, in parziale
riforma dell’impugnata sentenza, riduceva ad € 27.108,45 la somma dovuta, in
luogo di quella maggiore liquidata in primo grado, osservando che, alla luce
delle emergenze probatorie, doveva confermarsi la retrodatazione del rapporto
nei termini ritenuti dal giudice di primo grado, in quanto, se pure tutte le
pratiche amministrative poste in essere dall’azienda, ai sensi dell’art. 5 bis D. Igs. 286/1998, si
riferivano ad un periodo successivo a quello rivendicato dal lavoratore e
prossimo alla regolare assunzione, non era impedito a quest’ultimo di provare
che non solo fosse già in Italia nel periodo antecedente, ma che fosse anche
impegnato in attività lavorativa subordinata, non rilevando la irregolarità, che
poteva determinare solo conseguenze sul piano amministrativo e penale;

3. aggiungeva che la presenza in Italia del
ricorrente era verosimile per il periodo antecedente la formale assunzione sia
in base alla difesa prospettata dalla società, che con riferimento al rilascio
del passaporto in data 15.9.2004 e che i testi escussi avevano confermato
l’impegno lavorativo del K. come magazziniere che percepiva una paga di €
800,00 mensili;

4. la Corte osservava che l’atteggiamento
“negazionista” del teste I. era comprensibile alla luce del suo
rapporto di affinità con il socio P., che determinava un suo interesse
indiretto in causa; la tipologia delle mansioni svolte era, poi, tale da non
imporre una dettagliata e quotidiana indicazione della modalità della
prestazione e peraltro queste erano rimaste immutate prima e dopo l’assunzione,
sicché non poteva che desumersene il medesimo regime di lavoro;

5. l’orario di lavoro doveva coincidere con quello
“normale” previsto dal c.c.n.I. pacificamente applicato dalla società
ed il giudice di primo grado aveva individuato con precisione le modalità con
le quali il detto orario era stato “sforato” dal lavoratore ed in
quale periodo, sicché, all’esito di condiviso percorso motivazionale adottato
dal primo giudice e non censurato specificamente, non poteva accogliersi la
doglianza di parte appellante, che non aveva prodotto conteggi alternativi a
quelli effettuati con precisione aritmetica dal giudice di prima istanza;
doveva, invece, considerarsi nuovo ed inammissibile l’argomento relativo all’art. 16 Preleggi in materia di trattamento
normativo applicabile;

6. quanto alla cessazione del rapporto, andava
accolto il rilievo della società fondato sulla base di busta paga attestante la
cessazione dello stesso sin dal 31.8.2009, con conseguente erroneità della
condanna ad una mensilità non dovuta, essendo tale cessazione attestata anche
dal modello 209 del Ministero dell’Interno, predisposto dall’azienda ed inviato
a detta autorità amministrativa;

7. infine, pur dovendo i crediti pecuniari del
lavoratore per differenze retributive essere calcolato al lordo delle ritenute
fiscali, atteso che il meccanismo di queste ultime si poneva in relazione al
distinto rapporto d’imposta e dovendo le differenze essere assoggettate a
tassazione secondo il criterio di cassa e non di competenza, solo quando
percepite dal lavoratore effettivamente, nella fattispecie doveva aversi
riguardo alla circostanza che l’importo netto di € 800,00 era versato in
“nero” per lavoro non regolarizzato e dunque senza alcun onere
fiscale e previdenziale adempiuto da parte del datore, che evidentemente
avrebbe tratto un vantaggio attraverso la detrazione dal lordo.

8. di tale decisione domanda la cassazione il Centro
Ingrosso P. in s.r.l. in liquidazione, affidando l’impugnazione a tre motivi.
Il K. è rimasto intimato.

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo, si denunziano erronea valutazione
dei fatti e degli atti di causa ed omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti circa la natura
subordinata del rapporto di lavoro per il periodo dal 28.11.2004 al 24.9.2007;
si deducono nullità della sentenza o del procedimento, violazione dell’art. 112 c.p.c. e violazione dell’art. 414, nn. 3 e 4, c.p.c., dell’art. 2697 c.c. e degli artt.
2714, 2699, 2700
c. c.;

1.1. le censure si fondano sulla assoluta genericità
della domanda proposta dal K. quanto ad allegazione della natura e
caratteristiche del rapporto di lavoro ed all’indicazione della persona che
avrebbe proceduto all’ assunzione del predetto, sostenendosi che le
testimonianze non possano superare quanto accertato da Organismi di Polizia,
salvo querela di falso, e che i conteggi redatti erano privi di qualsiasi
fondamento e generici;

1.2. si assume che, per il periodo dal 28.11.2004 al
24.9.2007, la Corte avrebbe, al più, dovuto ritenere la natura autonoma del
rapporto, non avendo il K. fornito alcuna prova della subordinazione,
aggiungendosi che il passaporto è documento che non viene rilasciato dal datore
di lavoro e che il modello Q era sottoscritto dal datore nel 2009, ciò che
rendeva evidente che la Corte del merito avesse confuso le date;

2. con il secondo motivo, si lamentano violazione e/o
falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., degli art. 2107, 2108 c.c
(lavoro straordinario), violazione dell’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 c.c., nonché degli artt. 112 e 414 c.p.c.,
con riferimento all’art. 360, n. 3, 4 e 5 c.p.c,
ed omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti;

3. il terzo motivo ascrive alla decisione impugnata
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 16 delle Preleggi, nonché dell’art. 2697 c.c. e dell’art.
414 c.p.c., con riferimento ai vizi di cui all’art.
360 n. 4 e 5 c.p.c., sull’assunto dell’omessa allegazione e prova delle
condizioni di reciprocità tra la Russia e l’Italia;

4. ciascuno dei motivi presenta profili di inammissibilità
connessi al relativo confezionamento come motivo composito, simultaneamente
volto a denunciare violazione di legge e vizio di motivazione, avuto riguardo
al principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la
mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti
riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’articolo
360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., non essendo consentita la
prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali
quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che
suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere
della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione,
che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione
(Cass. 23 giugno 2017, n. 15651; Cass. 28 settembre 2016, n. 19133; Cass. 23
settembre 2011, n. 19443 e, da ultimo Cass. 23.10.2018 n. 26874, nei termini riportati);

5. tanto evidenziato, le censure formulate con il
primo motivo sono del tutto generiche e, prescindendo dalla valutazione
effettuata dalla Corte, contestano la genericità della domanda, senza
trascrivere, a fini di necessaria specificità del motivo di ricorso, il
contenuto delle doglianze formulate in grado di appello in ordine alla
valutazione compiuta dal giudice di prima istanza, che aveva negato il
carattere di decisività all’irregolarità iniziale del rapporto per mancato
completamento delle pratiche amministrative di rilascio del permesso di
soggiorno;

5.1. ogni altro dedotto profilo di erroneità della
sentenza si fonda su affermazioni prive di giuridico fondamento, che si pongono
in dissenso con quanto afferma la decisione della Corte d’appello sulla precisa
redazione dei conteggi e sulla sussistenza della prova della subordinazione,
senza tuttavia indicare il vizio della decisione impugnata se non in termini di
ricostruzione non argomentata della vicenda lavorativa in maniera difforme da
quella effettuata;

5.2. la violazione di legge denunciata postula
l’erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata
dalla disposizione di legge, mediante specificazione delle affermazioni in
diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in
contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione
delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente
dottrina così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra
opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla Corte regolatrice
di adempiere al proprio compito istituzionale di verifica del fondamento della
violazione denunziata (Cass. n. 16038/2013; Cass. n. 3010/2012; Cass. n.
12984/2006): ed allora il motivo che pretenda di desumere tale violazione
dall’erronea valutazione del materiale probatorio è già in contrasto con le
suddette indicazioni;

5.3. peraltro, la qualificazione giuridica del
rapporto di lavoro è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente
alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata
o autonoma del rapporto, mentre l’accertamento degli elementi, che rivelino
l’effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione
delle risultanze processuali e che sono idonei a ricondurre le prestazioni ad
uno dei modelli, costituisce apprezzamento di fatto che, se immune da vizi
giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in Cassazione (v. Cass.
27 luglio 2007, n. 16681; Cass. 23 giugno 2014, n. 14160);

5.4. quanto al vizio dedotto ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., il fatto decisivo non è
rappresentato dalle risultanze istruttorie e dalla relativa valutazione da
parte del giudice del merito, ma da un fatto storico, individuabile secondo le
indicazioni fornite al riguardo da Cass. s. u. 7
aprile 2014, n. 8053;

6. in ordine al secondo motivo, deve rilevarsi
nuovamente la insindacabilità della scelta valutativa e l’erroneo e non
pertinente richiamo alla violazione delle norme enunciate: ed invero, il vizio
di violazione di legge, attenendo nella sostanza, per come dedotto, ad
un’asserita erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze
di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla
tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede
di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione;

6.1. tale vizio non ricorre, avuto altresì riguardo
ai rigorosi limiti in cui lo stesso può rilevare in base al vigente testo dell’art. 360 n. 5 c.p.c., nei sensi di cui alla più
recente giurisprudenza (Cfr. tra le tante, Cass. V
civ. n. 8315 del 04/04/2013);

6.2. peraltro, la decisione ha ritenuto congruo e
corretto il rilevato sforamento dell’orario ordinario operato dal primo
giudice, sulla base della dimostrata prestazione di attività lavorativa con
riferimento ai singoli periodi e, rispetto a tale affermazione, vengono dedotte
violazioni anche sul riparto dell’onere probatorio che non trovano spazio
rispetto a disamina conforme ai principi in materia;

7. la censura proposta nel terzo motivo è stata
ritenuta connotata da novità in appello e tale affermazione non risulta attinta
da specifica doglianza, riproponendo la ricorrente le medesime contestazioni
per la prima volta avanzate in sede di gravame, con conseguenze in termini di
inammissibilità della doglianza che omette di precisare in che modo analoga
deduzione fosse già contenuta nella memoria di costituzione in primo grado;

8. alla stregua delle svolte argomentazioni il
ricorso va respinto;

9. nulla va statuito sulle spese, essendo il K.
rimasto intimato;

10. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115
del 2002;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13,
comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da
parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma Ibis, del citato
D.P.R.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 dicembre 2019, n. 32697
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