Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 dicembre 2019, n. 33006

Rapporto di lavoro subordinato domestico, Competenze
economiche maturate, Insussistenza delle richieste differenze retributive

 

Rilevato che

 

La Corte d’appello di Roma confermava la decisione
del giudice di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta da P.A.M.
nei confronti di S.G., volta al riconoscimento di competenze economiche
maturate nel corso del rapporto di lavoro subordinato domestico intercorso tra
le parti dal 28/12/1989 al 31/3/2012;

il Tribunale, ritenuta accertata la natura
subordinata del rapporto, rilevava che la domanda non meritava accoglimento
perché dall’istruttoria non era emerso l’espletamento di attività lavorativa
per un periodo superiore a quattro ore al giorno, né lo svolgimento di mansioni
inquadrabili nel livello B del CCNL, con conseguente insussistenza delle
chieste differenze retributive;

avverso la sentenza propone ricorso per cassazione
P.A.M. sulla base di due motivi;

S.G. resiste con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata comunicata
alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di
consiglio non partecipata;

 

Considerato che

 

Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi
dell’art. 360 c. 1 n. 3 e 5 c.p.c., errata e/o
omessa valutazione dei mezzi di prova, violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c., 345
c. 3 c.p.c., lamentando la mancata valutazione della documentazione
prodotta in appello, prova nuova indispensabile idonea a eliminare ogni
possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale contenuta nella pronuncia
di secondo grado senza lasciare margini di dubbio e rilevando, inoltre, che il
lavoro svolto non poteva che essere qualificato, per le sue caratteristiche,
come subordinato, instaurato non per semplice affetto, ma per la remunerazione;

con il secondo motivo deduce errata interpretazione
dell’art. 132 n. 4 c.p.c., poiché la Corte
territoriale avrebbe errato nel rigettare il motivo d’appello vertente
sull’insufficienza della motivazione, ritenendo la motivazione della sentenza
di primo grado idonea, anche se “concisa”;

entrambi i motivi sono infondati;

in relazione al primo motivo, va rilevato che la
Corte d’appello, concludendo nel senso della inammissibilità della produzione
documentale per mancanza dell’indispensabilità della medesima ai fini della
decisione, ha esaminato i documenti prodotti in appello al fine di vagliarne la
decisività: la censura, pertanto, riproponendo la rilevanza di tale
documentazione già sottoposta al vaglio del giudice del merito, finisce con il
proporre, sub specie violazione di legge, una rivalutazione del materiale
probatorio su cui si è fondata la decisione (Cass. n. 8758 del 04/04/2017),
mentre ogni rilievo attinente alla subordinazione non risulta pertinente,
poiché la stessa è stata riconosciuta dai giudici del merito, mentre
controversa è la spettanza di maggiori competenze economiche;

il secondo motivo è infondato, poiché correttamente
la Corte d’appello ha escluso la radicale mancanza di motivazione della
sentenza di primo grado, mediante decisione conforme ai principi espressi da
questa Corte di legittimità (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016: “la
mancanza della motivazione (con conseguente nullità della pronuncia per difetto
di un requisito di forma indispensabile) si verifica nei casi di radicale
carenza di essa, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a
rivelare la “ratio decidendi” (cosiddetta motivazione apparente), o
fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente
incomprensibili, e sempre che i relativi vizi emergano dal provvedimento in
sé”;

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va
rigettato, con liquidazione delle spese secondo soccombenza;

ricorrono i presupposti per il versamento, da parte
del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dell’articolo 13 D.P.R.
115 del 2002;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in complessivi €
2.800,00, di cui € 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15
% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 dicembre 2019, n. 33006
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