Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 gennaio 2020, n. 1683

Disposizioni aziendali in materia di sicurezza, Omessa
vigilanza sull’osservanza da parte dei lavoratori del cantiere, Il datore di
lavoro può assolvere all’obbligo attraverso la preposizione di soggetti a ciò
deputati, Individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse,
Soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello
di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di Bergamo del 1° ottobre
2014, con cui C. E. (imputato non ricorrente) e B. G. erano stati condannati
rispettivamente alla pena di mesi cinque di reclusione e di mesi tre di
reclusione per il reato di cui agli artt. 113, 590, commi 1A, 2A e 3, cod. pen., perché, in
cooperazione colposa tra loro, il C., quale amministratore delegato della
I.E.G.A. Costruzioni s.p.a., di direttore tecnico di cantiere e di referente
per la sicurezza sul cantiere edile sito in via Predore n. 6, e il B., in
qualità di preposto della I.E.G.A. e di capocantiere presente in occasione
dell’infortunio, cagionavano lesioni gravi a T. C., dipendente della I. E.G.A.,
il quale, mentre si trovava sul cassone di autocarro Mercedes dotato di gru
dietro la cabina e stava effettuando operazioni di imbracatura di casseforme a
telaio Trio prodotte dalla ditta Peri s.p.a. e, in particolare, aveva appena
imbracato tre casseforme a telaio delle dimensioni di circa 1,20 mt. di
larghezza e 3,30 mt. di altezza e del peso di kg. 195 ciascuna, utilizzando n.
2 fasce in tessuto ed una catena di sollevamento, veniva schiacciato contro la
sponda posteriore dell’automezzo delle casseforme che, durante le operazioni di
sollevamento effettuate dal collega A.A., scivolavano a causa dell’inidonea
modalità di imbracatura mediante l’uso di fasce in tessuto e non tramite ganci
o brache di sollevamento, come previsto dal manuale di istruzione ed uso della
ditta P., così procurando alla persona offesa lacerazione epatica, rottura del
bacinetto renale destro, frattura del gran trocantere e ala sacrale, contusioni
polmonari bilaterali, fratture costali multiple e frattura sternale dalle quali
derivava una malattia di durata superiore a quaranta giorni – colpa generica e
specifica: per il C., violazione dell’art. 18, comma 1, lett. F), D. Lgs.
n. 81 del 2008, per non aver richiesto al T. l’osservanza delle norme di
procedura per il sollevamento delle casseforme in conformità al manuale di
istruzioni ed uso alla ditta P. produttrice delle casseforme; per il B.,
violazione dell’art. 19, comma 1,
lett. A), D. Lgs. n. 81 cit., per avere omesso di sovrintendere e vigilare
sull’osservanza da parte dei lavoratori del cantiere degli obblighi di legge e
delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza previste nel piano
operativo di sicurezza e, in particolare, perché non disponeva e non esigeva
che le operazioni di movimentazione delle casseforme fossero effettuate secondo
le indicazioni del manuale – in Sarnico il 13 aprile 2012).

In base alla ricostruzione dei fatti, il T.
riportava le lesioni, mentre si trovava su un camion dell’impresa per la quale
lavorava a seguito dello scivolamento di alcuni pannelloni di metallo situati
nel cassone del mezzo e che stava movimentando con la gru del veicolo azionata.

Il T. dichiarava di aver seguito tre corsi di
formazione sull’uso della gru, sull’impiego dei “pannelloni” e sulla
sicurezza in cantiere e di aver appreso dal B. e dal C. di dover movimentare i
pannelloni mediante appositi ganci e con delle “manine” attaccate al
pannello. Sottolineava che, come avveniva anche in altri cantieri, il giorno
del fatto erano state adoperate le fasce in luogo dei ganci.

Il Tribunale aveva evidenziato che l’uso delle fasce
non era assolutamente previsto dal manuale di istruzione Peri, disposizione di
particolare rigore determinata dal peso notevole delle casseforme in questione.
Il teste Angeli Antonio, autista, sosteneva che le fasce erano state adoperate
sistematicamente, senza che il capocantiere o altri ne sconsigliasse l’uso o
controllasse lo stato di usura.

La sua indicazione di aver seguito un corso
risentiva di una notevole approssimazione, essendo egli erroneamente convinto
che il manuale di istruzione consentisse le fasce. Dal controllo dei
provvedimenti disciplinari, peraltro, il T. non risultava essere stato
rimproverato per l’uso delle fasce. Il B. effettuava il corso sull’uso dei
ganci solo dopo l’incidente occorso al T.. Egli aveva violato proprio il
compito di sovraintendere ad ogni attività di cantiere. La Corte territoriale
ha rilevato che, dalla documentazione in atti, il T. non risultava aver frequentato
il corso sull’uso di pannelloni, ma solo gli altri due corsi suindicati.

A prescindere dalla non documentata formazione del
T., in ogni caso permaneva il concreto problema della corretta osservanza delle
norme, delle misure di sicurezza e della relativa vigilanza da parte degli
imputati nella loro posizione di garanzia. Le fasce consentivano di svolgere il
lavoro più velocemente e per questo costituivano una dotazione del cantiere,
già impiegata in precedenti occasioni. Il sistema di sicurezza approntato dal
datore di lavoro conteneva delle criticità, dovendo egli dominare ed evitare
l’instaurarsi di prassi di lavoro non corrette.

2. Il B., a mezzo del proprio difensore, ricorre per
Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo due motivi di
impugnazione.

2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in
ordine all’elemento oggettivo del reato.

Si deduce che erroneamente la Corte territoriale ha
fondato il proprio giudizio di responsabilità sulla circostanza dell’abituale
uso nel cantiere delle fasce anziché dei ganci, mentre sarebbe stato necessario
stabilire se l’utilizzo delle fasce aveva provocato l’evento morte. La Corte di
merito erroneamente aveva ritenuto attendibili il T. e il teste Angeli, nella
parte in cui avevano dato atto della prassi dell’uso delle fasce e, in seguito,
li aveva considerati inattendibili nella parte in cui avevano raccontato di
aver partecipato a corsi formativi e di aver deciso autonomamente le modalità
di azione in occasione dell’evento lesivo.

2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con
riferimento al nesso di causalità.

Si rileva che la Corte lombarda ha basato la propria
decisione sul solo accertamento della violazione o meno di norme in materia di
sicurezza sul lavoro e non su un reato di evento. Essa, inoltre, ha omesso di
verificare la causalità nella colpa sotto i profili della concretizzazione del
rischio e dell’evitabilità dell’evento.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è infondato.

Va premesso che, alla luce della normativa prevenzionistica
vigente, sul datore di lavoro grava l’obbligo di valutare tutti i rischi
connessi alle attività lavorative e attraverso tale adempimento pervenire alla
individuazione delle misure cautelari necessarie e quindi alla loro adozione,
non mancando di assicurarsi l’osservanza di tali misure da parte dei
lavoratori.

Nella maggioranza dei casi, tuttavia, la complessità
dei processi aziendali richiede la presenza di dirigenti e di preposti che in
diverso modo coadiuvano il datore di lavoro. I primi attuano le direttive del
datore di lavoro, organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa (art. 2, co. 1, lett. d), d.lgs. n. 81
del 2008); i secondi sovrintendono alla attività lavorativa e garantiscono
l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da
parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa (art. 2, co. 1, lett. e), d.lgs. n. 81
del 2008).

Pertanto, già nel tessuto normativo è prevista la
vigilanza del datore di lavoro attuata attraverso figure dell’organigramma
aziendale che – perché investiti dei relativi poteri e doveri – risultano
garanti della prevenzione a titolo originario. Il datore di lavoro può
assolvere all’obbligo di vigilare sull’osservanza delle misure di prevenzione
adottate attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione
di procedure che assicurino la conoscenza da parte sua delle attività
lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in
modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione scelte a
seguito della valutazione dei rischi (Sez. 4, n. 14915 del 19/02/2019,
Arrigoni, Rv. 275577).

Prendendo atto di tali previsioni, questa Corte ha
già affermato il principio secondo il quale, in tema di prevenzione infortuni
sul lavoro, ai fini dell’individuazione del garante nelle strutture aziendali
complesse, occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla
gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera
di responsabilità del preposto l’infortunio occasionato dalla concreta
esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro
riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa e a
quella del datore di lavoro, invece, l’incidente derivante da scelte gestionali
di fondo (Sez. 4, n. 22606 del 04/04/2017, Minguzzi, Rv. 269972).

Pertanto, anche in relazione all’obbligo di
vigilanza, le modalità di assolvimento vanno rapportate al ruolo che viene in
considerazione; il datore di lavoro deve controllare che il preposto,
nell’esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle
disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli.

Ne consegue che, qualora nell’esercizio
dell’attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi
contra legem, foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del
dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di
formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di
sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il
reato di omicidio colposo o di lesioni colpose aggravato dalla violazione delle
norme antinfortunistiche (Sez. 4, n. 26294 del 14/03/2018, Fassero Gamba, Rv.
272960, in un caso di omicidio colposo; in conformità, in un’ipotesi di lesioni
colpose, Sez. 4, n. 18638 del 16/01/2004, Policarpo, Rv. 228344; principio
risalente a Sez. 4, n. 17941 del 16/11/1989, Raho, Rv. 182857).

2. Ciò posto sui principi operanti in materia di
preposti e di prassi lavorative, va osservato che la presente vicenda concerne
l’infortunio sul lavoro occorso all’operaio T. C., il quale, mentre si trovava
su un camion dell’impresa di appartenenza, subiva lesioni gravi cagionate per
effetto dello scivolamento di alcuni pannelloni di metallo situati nel cassone
del mezzo e che stava movimentando con la gru del veicolo, azionato da Angeli
Antonio, autista, altro dipendente, per essere scaricati a terra. Il lavoratore
era schiacciato contro la sponda posteriore dell’automezzo dalle casseforme
che, durante le operazioni di sollevamento effettuate dal collega Angeli,
scivolavano a causa dell’inidonea modalità di imbracatura mediante l’uso di
fasce in tessuto e non tramite ganci o brache di sollevamento, come previsto
dal manuale di istruzione ed uso della ditta Peri.

La Corte territoriale ha evidenziato che la persona
offesa aveva riferito in dibattimento quanto segue: era stata resa edotta dal
preposto B. Marco o da C. E. delle modalità di spostamento dei pannelloni, i
quali andavano movimentati con appositi ganci e poi con le “manine”
(dette anche agganci o maniglie) attaccate al pannello, consistenti in pinze
che si chiudevano agganciandosi al pannello; il giorno del fatto non aveva
usato le manine, bensì delle fasce, adoperate anche in altri cantieri, per
imbracare due pannelli del peso di kg. 200 ciascuno; per la movimentazione
erano consigliati gli appositi ganci, anche se potevano essere usate le fasce;
non era mai stato ammonito per l’uso delle fasce; quel giorno, aveva usato le
fasce, che consentivano un’operazione più veloce, perché l’autista aveva
fretta, dovendo portare del materiale in un altro cantiere.

La Corte di merito ha altresì chiarito che il
manuale d’uso Peri non prevedeva l’uso di fasce di tessuto, ma esclusivamente
di ganci di sollevamento, per i quali era prevista un’ispezione ad intervalli
regolari, disposizione di particolare rigore introdotta per il peso notevole e
per l’elevato ingombro delle casseforme; si trattava di ganci – con
dichiarazione di conformità CE – collaudati per quelle specifiche casseforme, e
contenenti l’indicazione del limite di carico.

Nella sentenza impugnata sono state evidenziate
altresì l’impiego abituale delle fasce e la conoscenza approssimativa del T. e
dell’Angeli del manuale Peri; il T. non aveva mai seguito un corso per l’uso
delle casseforme. L’affermazione del T. di essere stato più volte redarguito
per la scelta di usare le fasce trovava smentita nella verifica dei
provvedimenti disciplinari adottati dalla ditta, tra i quali non era ricompresa
la sanzione della sospensione dal lavoro, che egli avrebbe subito per
l’inosservanza. Dal rilevante costo delle fasce di tessuto era desumibile che
il loro impiego non poteva dipendere da una mera iniziativa dei dipendenti.

Il B. censura la mancata dimostrazione della
sussistenza del nesso causale.

La Corte bresciana, tuttavia, ha illustrato
l’approssimazione nell’espletamento di un’attività pericolosa e l’utilizzazione
di fasce non consentite, spiegando che esse risultavano del tutto inidonee a
sostenere il peso delle casseforme e a scongiurare eventi lesivi, come quello
poi effettivamente verificatosi ai danni del T.. Ha chiarito le ragioni per le
quali ha considerato inattendibile il T. nella parte in cui affermava di aver
seguito corsi formativi e di aver autonomamente scelto le modalità concrete di
compimento dell’azione lesiva.

Il giudice a quo, pertanto, ha risposto
adeguatamente a tutte le censure in fatto formulate dal B. con l’atto di
appello e ha affrontato in modo completo ed esauriente il tema della causalità.
In ogni caso, la dedotta insussistenza del nesso eziologico non aveva formato
oggetto di specifico motivo di appello.

La Corte territoriale ha riconosciuto mediante
idoneo apparato argomentativo l’esistenza di una prassi contra legem osservata
per le operazioni di sollevamento e di carico delle casseforme. Né l’esistenza
di tale prassi (e della sua conoscibilità da parte dei vertici aziendali)
poteva essere desunta dalle ammissioni della persona offesa e di un altro
lavoratore di aver effettuato in precedenza la medesima manovra pericolosa.

Si è quindi dimostrato che il preposto,
nell’esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, non si era attenuto alle
disposizioni di legge, tollerando una prassi particolarmente pericolosa per gli
addetti e suggerita dalla società, non predisponendo le opportune precauzioni
per scongiurarne l’utilizzo nonché non sorvegliando l’operato dei dipendenti.

2. Per le ragioni che precedono, il ricorso va
rigettato.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali (art.
616 cod. proc. pen.).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 gennaio 2020, n. 1683
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: