Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 febbraio 2020, n. 3628

Licenziamento collettivo per riduzione di personale,
Violazione dei criteri di scelta, Limitazione della platea dei lavoratori
interessati dagli esuberi, Progetto di ristrutturazione aziendale riferito in
modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda,
Platea dei lavoratori limitata agli addetti ad un determinato reparto o
settore, solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, Onere del datore
provare il fatto

 

Fatti di causa

 

Con sentenza in data 5 luglio 2018, la Corte
d’appello di Firenze rigettava il reclamo della F.lli E. s.p.a. (operante nel
settore della movimentazione di autovetture) avverso la sentenza di primo
grado, di reiezione della sua opposizione all’ordinanza ai sensi dell’art. 1, comma 49 I. 92/2012, che
aveva accertato l’illegittimità (per violazione dei criteri di scelta) del
licenziamento intimato con effetto dal 30 luglio 2016 al dipendente M.P.,
all’esito della procedura collettiva avviata dalla società datrice con
comunicazione del 17 maggio 2016.

A motivo della decisione, la Corte territoriale
riteneva, come già il Tribunale, l’illegittimità del licenziamento per la
limitazione della platea dei lavoratori interessati dagli esuberi (individuati
dall’accordo della società datrice con le organizzazioni sindacali del 25
luglio 2016 in numero di quarantasette nel settore handling e
predelivery-inspection e di tre nel settore officina, in quanto esternalizzati)
esclusivamente, in particolare riferimento al primo, a quelli impiegati presso
il piazzale dell’unità operativa di Livorno. E ciò sulla sola base del criterio
convenzionale dell’esigenza tecnico-organizzativa dell’attività svolta nel
settore da dismettere: senza una specifica descrizione, in alcun atto della
procedura collettiva avviata, delle lavorazioni svolte nella sede di Livorno né
riferimento all’infungibilità di tale personale operaio rispetto al restante
della stessa sede, addetto ad altri settori estranei alla riorganizzazione.

Chiarita la differenza, equivocata dalla società
reclamante, tra fungibilità (comportante, per l’interscambiabilità dei
lavoratori di un settore colpito dalla riorganizzazione con quelli di altri
settori o reparti non interessati, l’ampliamento della platea dei lavoratori
interessati dagli esuberi) e repechage (riguardante la ricollocazione del
lavoratore in altro settore aziendale, incompatibile con il licenziamento
collettivo), la Corte fiorentina accertava che – stante l’assenza di alcuna
precisazione in sede sindacale delle peculiarità delle mansioni lavorative
degli addetti all’handling e al pre-delivery-inspection né delle differenti
attività conservate negli altri settori aziendali – la mancata dimostrazione, a
carico datoriale, dell’infungibilità della posizione professionale del
lavoratore con quella di addetti ad altri settori (in applicazione di un
criterio “fotografia”), ne avesse precluso il ricorso a quello
ulteriore dell’anzianità, a norma dell’art. 5 I. 223/1991, favorevole
al primo a confronto con gli altri colleghi indicati.

Con atto notificato il 24 agosto 2018, la società
ricorreva per cassazione con sei motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui il lavoratore resisteva con
controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,
1363 c.c. nell’interpretazione dell’accordo
sindacale del 25 luglio 2016, in relazione agli accordi sindacali del 23 giugno
e 21 luglio 2016, per la mancata considerazione di riduzione della platea degli
esuberi ai lavoratori prestanti attività effettiva nel settore handling e
pre-delivery-inspection, in funzione della limitazione dell’impatto sociale dei
licenziamenti con la ricollocazione dei lavoratori ad esso addetti alte
dipendenze delle società affidatarie dei servizi esternalizzati (accordo
sindacale del 23 giugno 2016) e della continuità occupazionale in caso di
successivo cambio di appalto (accordo sindacale del 21 luglio 2016), in
contrasto con i canoni interpretativi di letteralità e di ratio.

2. Con il secondo, essa deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 1362, 1363 c.c. nell’interpretazione dell’accordo
sindacale del 25 luglio 2016, in contrasto con i canoni ermeneutici letterale,
teleologico e sistematico, per omessa considerazione della precisazione nel
suindicato accordo del congiunto esame anche dei “profili
professionali”, così intendendo alludere evidentemente alla valutazione di
infungibilità e alla volontà con esso di sanare integralmente “ogni
eventuale vizio formale o di contenuto”, nonché del collegamento
funzionale tra la detta valutazione di infungibilità e la limitazione della
platea dei lavoratori licenziandi.

3. Con il terzo, la ricorrente deduce violazione e
falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 c.c. nell’interpretazione dell’accordo
sindacale del 25 luglio 2016, in relazione agli accordi sindacali del 23 giugno
e 21 luglio 2016, per la determinazione del criterio di scelta convenzionale,
senza pertanto necessità di ricorso a quello legale, nell’effettiva adibizione
dei lavoratori ai reparti di handling e pre-delivery-inspection, in funzione
dei collaterali accordi di continuità occupazionale.

4. Con il quarto, essa deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 4,
quinto e dodicesimo comma, 5, primo comma I. 223/1991, in assenza di
previsione di alcun onere di motivazione dell’accordo sindacale in ordine
all’infungibilità delle professionalità dei lavoratori e per l’espressa
affermazione delle parti sociali dell’efficacia sanante dell’accordo di
eventuali vizi della comunicazione di avvio della procedura di licenziamento
collettivo.

5. Con il quinto, la ricorrente deduce violazione e
falsa applicazione degli artt.
4, quinto comma, 5, primo comma I. 223/1991, per l’insindacabilità in sede
giurisdizionale della valutazione di (in)fungibilità del personale licenziando
e di delimitazione della platea dei lavoratori interessati concordemente
compiuta tra le parti in sede sindacale.

6. Con il sesto, essa deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 5, primo
comma I. 223/1991, per la suvvalenza dei criteri di scelta legali rispetto
a quelli convenzionali, insindacabili in via giurisdizionale laddove non in
contrasto con i principi di non discriminazione, razionalità e obiettività, con
la conseguente legittimità di un criterio, come quello in esame, concernente le
esigenze tecnico, produttive ed organizzative; pure difettando, nel caso di
specie, l’interesse del lavoratore all’impugnazione del licenziamento
collettivo per violazione dei criteri di scelta, qualora quello applicato non
sia generico né discrezionale, essendo stati con lui licenziati altri quattro
lavoratori con superiore anzianità o carichi di famiglia e due con analoghi
carichi di famiglia e anzianità.

7. I primi cinque motivi possono essere
congiuntamente esaminati, per la loro evidente connessione. Essi riguardano,
infatti, l’individuazione della platea dei lavoratori da licenziare in
riferimento alla (in)fungibilità delle loro mansioni nonché l’efficacia sanante
dell’accordo raggiunto tra le parti sociali in esito all’esame congiunto, ai
sensi dell’art. 4, comma
quinto e dodicesimo (come novellato dalla I.
92/2012) I. 223/1991, sotto gli illustrati
profili di interpretazione dell’accordo sindacale del 25 luglio 2016 anche in
relazione a quelli del 23 giugno e 21 luglio 2016 e del limite di sindacato
giudiziale, alla luce delle suindicate norme di legge denunciate.

7.1. Essi sono infondati.

7.2. Occorre avviarne lo scrutinio dal consolidato
principio ripetutamente affermato da questa Corte, e che si intende qui
ribadire, secondo cui, in tema di licenziamento collettivo per riduzione di
personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in
modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda,
la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti ad un
determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali,
in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale„ ed è onere del datore
provare il fatto che determina l’oggettiva limitazione di queste esigenze e
giustificare il più ristretto spazio nel quale la scelta è stata effettuata: con
la conseguenza che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori
solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il
possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà
organizzative (Cass, 3 maggio 2011, n. 9711; Cass. 12 gennaio 2015, n. 203; Cass. 1 agosto
2017, n. 19105; Cass. 24 giugno 2019, n. 16834).

Sicché, un tale criterio è sicuramente legittimo,
purché l’individuazione della platea dei lavoratori interessati non coincida
automaticamente con quelli addetti all’unità produttiva da sopprimere, senza
ulteriore specificazione relativa alle mansioni effettivamente svolte e alla
loro comparabilità con quelle dei lavoratori degli altri settori o unità
dell’impresa: non essendo contraria a buona fede la decisione aziendale di
limitare agli addetti della predetta unità la platea dei lavoratori da
licenziare, ove risulti l’effettiva impossibilità di utile collocazione
nell’assetto organizzativo dell’impresa (Cass. 25
settembre 2018, n. 22672).

7.3. Ebbene, la Corte territoriale ha esattamente
richiamato i su enunciati principi di diritto (all’ultimo capoverso di pg. 8 e
al primo di pg. 9 della sentenza) e correttamente chiarito (al penultimo
capoverso di pg. 9 della sentenza) la distinzione tra fungibilità delle
mansioni e repechage: nel senso che la prima, consistendo
nell’interscambiabilità dei lavoratori di un settore colpito dalla
riorganizzazione con quelli di altri settori o reparti non interessati,
comporta l’ampliamento della platea dei lavoratori interessati dagli esuberi;
il secondo, incompatibile con il licenziamento collettivo, riguarda invece la
ricollocazione del lavoratore in altro settore aziendale.

7.4. Al riguardo, appare allora evidente
l’irrilevanza degli accordi di ricollocazione dei lavoratori addetti ai reparti
di handling e pre-delivery-inspection alle dipendenze delle società affidatarie
dei servizi esternalizzati (accordo sindacale del 23 giugno 2016) e della
continuità occupazionale in caso di successivo cambio di appalto (accordo
sindacale del 21 luglio 2016): essi non attengono infatti alla previa
determinazione della platea dei lavoratori licenziandi, non contenendo
riferimenti ad alcun criterio obiettivamente selettivo tra le professionalità e
le mansioni del personale delle diverse unità operative aziendali (in quanto
neppure indicato nella comunicazione di apertura, ai sensi dell’art. 4, terzo comma I. 223/1991),
regolando piuttosto un momento successivo della procedura di licenziamento
collettivo, in funzione agevolativa della risoluzione del rapporto di lavoro
con F.lli E. s.p.a., e proprio di quei dipendenti addetti all’unità produttiva
sopprimenda, nella prospettiva di una loro rinuncia all’impugnazione del
licenziamento.

7.5. Né, in mancanza di alcun passaggio nell’accordo
sindacale del 25 luglio 2016 (che si limita a registrare la consensuale
convergenza e il reciproco darsi atto delle parti “che l’esame congiunto è
stato condotto attraverso una compiuta, effettiva ed approfondita disamina, con
elencazione esemplificativa e non esaustiva … dei profili professionali interessati
dalla mobilità in relazione all’organico aziendale”: così il suo estratto
trascritto al p.to 42 di pg. 8 del ricorso), che abbia rappresentato una
valutazione di fungibilità delle mansioni, può essere ragionevolmente inferito
che essa sia stata effettivamente compiuta per il mero richiamo ai
“profili professionali”, riguardanti i compiti rientranti
nell’inquadramento dei lavoratori e non le loro mansioni effettive, che sole ne
consentono una comparazione concreta al fine di apprezzare la fungibilità dei
lavoratori di un settore colpito dalla riorganizzazione con quelli di altri
settori o reparti non interessati: così da poter verificare il possesso di
professionalità nei primi equivalente a quella dei secondi, in funzione di
un’utile collocazione nell’assetto organizzativo dell’impresa.

Ciò ha ritenuto la Corte territoriale (“vai la
pena di rilevare … come non risulti mai chiaramente comunicato dal datore di
lavoro quali e quanti fossero gli operai addetti ai due settori esternalizzati.
Ed infatti, … nella comunicazione di apertura l’azienda aveva indicato
esclusivamente il numero ed il livello professionale del personale operaio in
esubero senza altra migliore specificazione”: ultimo capoverso di pg. 6
della sentenza; ” … in nessun atto della procedura si fa riferimento
all’infungibilità di tale personale operaio rispetto al restante personale
operaio della sede di Livorno addetto ad altri settori rimasti estranei alla
riorganizzazione”: primo capoverso di pg. 7 della sentenza; “Orbene,
nel caso di specie … in sede sindacale non venne fatta alcuna precisazione
circa le peculiarità delle mansioni lavorative degli addetti all’handling e del
PDI, né delle peculiarità delle attività, differenti, conservate negli altri
settori aziendali”: primo capoverso di pg. 10 della sentenza), con
accertamento in fatto, ad essa esclusivamente riservato quale giudice di
merito, insindacabile in sede di legittimità, congruamente e correttamente
argomentato (alla luce del ragionamento svolto dal primo capoverso di pg. 7 al quarto
di pg. 11 della sentenza).

7.6. Se così è, deve essere esclusa l’efficacia
sanante dell’accordo sindacale raggiunto tra le parti in esito all’esame
congiunto, ai sensi dell’art. 4,
comma quinto e dodicesimo (come novellato dalla I.
92/2012) I. 223/1991.

Occorre infatti, ribadire, secondo consolidato
indirizzo di questa Corte meritevole di continuità, che in tema di collocamento
in mobilità e licenziamento collettivo, la comunicazione di avvio della
procedura ai sensi dell’art. 4,
terzo comma I. 223/1991 ha sia la finalità di far partecipare le
organizzazioni sindacali alla successiva trattativa per la riduzione del
personale, sia di rendere trasparente il processo decisionale datoriale nei
confronti dei lavoratori potenzialmente destinati ad essere estromessi
dall’azienda. Sicché, il lavoratore è legittimato a far valere l’incompletezza
della comunicazione quale vizio del licenziamento e che il successivo, posto
che la mancata indicazione nella comunicazione di avvio della procedura di
tutti gli elementi in essa previsti invalida la procedura e determina
l’inefficacia dei licenziamenti; né un tale vizio è ex se sanato dal
raggiungimento di un successivo accordo sindacale, atteso che il giudice di
merito può accertare che il sindacato partecipò alla trattativa, sfociata
nell’intesa, senza piena consapevolezza dei dati di fatto, spettandogli
l’obbligo della verifica in sede di merito dell’effettiva completezza della
comunicazione (Cass. 11 luglio 2007, n. 15479;
Cass. 6 aprile 2012, n. 5582; Cass. 12 ottobre 2015, n. 20436; Cass. 29 marzo
2018, n. 7837).

E l’accertamento in fatto della Corte territoriale,
sopra richiamato, esclude proprio che l’accordo tra le parti abbia avuto
l’effetto di “sanare, ad ogni effetto di legge, … gli eventuali vizi
della comunicazione di cui al comma 2 del presente articolo” (secondo la
nuova formulazione dell’art. 4,
dodicesimo comma I. 223/1991, come novellato dalla I. 92/2012).

8. Dalle superiori argomentazioni, assorbenti il
sesto motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 5, primo comma I. 223/1991
per la prevalenza dei criteri di scelta convenzionali rispetto a quelli legali,
discende il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio
secondo il regime di soccombenza e il raddoppio del contributo unificato, ove
spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle
indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna la società alla
rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che
liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre
rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del
comma 1 bis, dello stesso art. 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 febbraio 2020, n. 3628
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