Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 marzo 2020, n. 6647

Lavoro, Sospensione per cassa integrazione in deroga,
Pagamento delle retribuzioni non percepite

 

Rilevato

 

1. Che la Corte d’appello di Torino, in parziale
riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda di A.K.K. e di
E.G., intesa alla condanna della datrice di lavoro, G.M., al pagamento delle
retribuzioni non percepite per i dedotti periodi di sospensione per cassa
integrazione in deroga, asseritamente non autorizzata; ha confermato la
condanna della M. in relazione alle spese relative alle trattenute sindacali
addebitate dalla datrice di lavoro ad entrambe le lavoratrici nonché la
condanna in favore della G. delle ulteriori somme reclamate a titolo di
differenze sul tfr e di contributo Ebap;

1.1. che il rigetto della domanda avente ad oggetto
il pagamento delle retribuzioni nel periodo di sospensione, unica questione
ancora rilevante, è stata fondata sulla prova documentale offerta dalla datrice
di lavoro di avere posto in essere tutti gli adempimenti di sua pertinenza e di
avere ottenuto l’autorizzazione alla cassa integrazione in deroga; eventuali
profili di doglianza per il ritardo nella corresponsione della integrazione
salariale per il periodo di sospensione, avrebbero, pertanto, dovuto essere
rivolti all’istituto previdenziale erogatore del trattamento;

2. che per la cassazione della decisione hanno
proposto ricorso A.K.K. e E.G. sulla base di due motivi; la parte intimata ha
resistito con tempestivo controricorso;

3. che il PG ha depositato requisitoria scritta con
la quale ha concluso per il rigetto del secondo motivo e l’accoglimento del
primo;

4. che entrambe le parti hanno depositato memoria ai
sensi dell’art. 380 – bis.1. cod. proc. civ.

 

Considerato

 

1. Che con il primo motivo le ricorrenti denunziano
omesso esame di un fatto decisivo costituito dalla circostanza che per i
periodi 1/30 gennaio 2011 e gennaio/maggio 2013, con riferimento ad entrambe le
ricorrenti, non risultava che vi fosse stata autorizzazione alla cassa
integrazione in deroga. Richiamano a sostegno la nota della Regione Piemonte in
data 28.7.2014 dalla quale emergeva che la cassa integrazione in deroga era
stata autorizzata solo per il giorno 31 gennaio 2012, per il periodo
marzo/giugno 2012, novembre/dicembre 2012, maggio /giugno 2013;

2. che con il secondo motivo deducono violazione
dell’art. 7 ter commi 2 e 3 d.l. n. 5 del 2009 conv. in legge n. 33 del 2009 e degli artt. 1262 e sgg. cod. civ.
con riferimento agli “Accordi quadro tra la Regione Piemonte e le parti
sociali piemontesi” per le gestioni 2011, 2012 e 2013 degli ammortizzatori
sociali in deroga. Evidenziano che in base alle richiamate previsioni, anche
nel caso di pagamento diretto da parte dell’INPS del trattamento di
integrazione salariale, il datore di lavoro era tenuto non solo ad inviare le
domande alla Regione Piemonte ma anche a trasmettere mensilmente alla stessa,
entro il giorno 16 del mese successivo a quello di riferimento, attraverso i
sistemi telematici predisposti dai due enti, i dati a consuntivo relativi alla
effettiva fruizione della cassa integrazione; in difetto di tali trasmissioni
la prenotazione delle risorse presso l’INPS per il pagamento dell’integrazione
salariale conseguente all’autorizzazione regionale, veniva meno;

3. che il primo motivo di ricorso è inammissibile.

3.1. La sentenza impugnata, premesso che i periodi
di sospensione per cassa integrazione in deroga, in relazione ai quali le
ricorrenti avevano lamentato il mancato riconoscimento del prescritto
trattamento economico, concernevano il mese di gennaio 2011, il periodo da
marzo a giugno 2012 e da novembre 2012 a giugno 2013 (sentenza, pag. 2),
premesso che con la documentazione prodotta in primo grado la datrice di lavoro
aveva dimostrato di avere presentato in relazione ai periodi di sospensione in
oggetto, nei termini normativamente previsti, le domande alla Regione Piemonte
e, quindi, di avere ottemperato agli adempimenti richiesti dalle fonti
legislativa e pattizia (quest’ultima costituita dall’Accordo Quadro Parti
sociali – Regione Piemonte per la gestione degli ammortizzatori sociali in
deroga relativamente al periodo in controversia), ha ritenuto che il documento
28 luglio 2014 offerto in produzione in seconde cure dalla M. (documento
ammissibile in quanto di formazione successiva alla data di pubblicazione della
sentenza di primo grado e comunque acquisibile ex art.
421 cod. proc. civ.) dimostrasse che la datrice
di lavoro aveva ottenuto dall’ente regionale l’autorizzazione alla cassa
integrazione in deroga;

3.1. che il documento richiamato nella illustrazione
del motivo in esame, vale a dire la nota della Regione Piemonte in data
28.7.2014, è stato, dunque, espressamente preso in considerazione dal giudice
di appello di talché il sindacato sollecitato dalle odierne ricorrenti (che non
prospettano l’errore revocatorio da far valere, ai sensi dell’art. 398 cod. proc. civ.,
dinanzi al giudice che aveva emesso la sentenza qui impugnata) si risolve,
nella sostanza, in una richiesta di rivalutazione del materiale probatorio e,
quindi, di un riesame nel merito della vicenda processuale il quale, come è
noto, non è demandabile al giudice di legittimità, cui spetta la sola facoltà
di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica e formale
delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di
logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio (Cass. n.
27197 del 2011, Cass. n. 6694 del 2009, Cass. n. 5066 del 2007);

4. che il secondo motivo è inammissibile in quanto
non si configurano le denunciate violazioni di norme di legge, per
insussistenza dei requisiti loro propri di verifica di correttezza
dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva delle
norme, né di sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell’ipotesi
normativa, né tanto meno di specificazione delle affermazioni in diritto
contenute nella sentenza impugnata motivatamente assunte in contrasto con le
norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla
giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. n. 16038 del
2013, Cass. n. 3010 del 2012, Cass. n. 24756 del 2007, Cass. n. 12984 del
2006);

4.1. che le norme in relazione alle qual è
prospettato l’errore di diritto della Corte di merito sono estranee alle
ragioni giuridiche alla base del decisum di secondo grado; la questione degli
adempimenti connessi alla trasmissione successiva all’INPS dei richiamati dati
consuntivi, alla base delle norme delle quali si deduce violazione e falsa
applicazione, non è stata, infatti, specificamente affrontata dalla Corte di
merito di talché, onde escludere l’inammissibilità del motivo per novità della
censura, implicando la questione giuridica dedotta la necessità di un
accertamento di fatto, occorreva la allegazione in ricorso dell’avvenuta
rituale deduzione della questione dinanzi al giudice di merito e, per il
principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, l’indicazione
dell’atto del giudizio precedente nel quale era stata sollevata onde dar modo
al giudice di legittimità di controllare “ex actis” la veridicità di
tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa. (Cass. n.
1435 del 2013, Cass. n. 20518 del 2008, Cass. n. 22540 del 2006), oneri non
osservati dalle odierne ricorrenti;

5. che in base alle considerazioni che precedono il
ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

6. che le spese di lite sono regolate secondo
soccombenza;

7. che sussistono i presupposti processuali per il
versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019);

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente
alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.000,00 per compensi
professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del
15% e accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, se dovuto.

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