Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 marzo 2020, n. 6640

Contratti a termine, Reclutamento nel settore scolastico,
Reiterazione delle supplenze annuali, Violazione

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’Appello di Roma, riuniti gli appelli
proposti rispettivamente da L.B. e dal Ministero dell’Istruzione, Università e
Ricerca, ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Viterbo che
aveva dichiarato la nullità dei termini apposti ai contratti intercorsi fra le
parti ed aveva condannato il Ministero al solo risarcimento del danno,
liquidato sulla base dei parametri indicati nell’art. 8 della legge n. 604/1966.

2. La Corte territoriale, ricostruito il quadro
normativo ed evidenziata la specialità della disciplina del reclutamento nel
settore scolastico, ha ritenuto violata la direttiva
1999/70/CE nella sola ipotesi della reiterazione delle supplenze annuali di
cui all’art. 4, comma 1, della
legge n. 124/1999, perché destinate a soddisfare esigenze permanenti, a
differenza delle altre tipologie di incarico giustificate da ragioni oggettive.

3. Ha rilevato che la B. era stata assunta senza
soluzione di continuità per sei anni scolastici consecutivi sulla base di
contratti annuali e pertanto: ha confermato la dichiarazione di illegittimità
dei termini; ha ritenuto infondata la domanda di conversione dei rapporti; ha
riliquidato il danno sulla base dei parametri indicati, non dall’art. 8 della legge n. 604/1966,
bensì dell’art. 32 della legge n.
183/2010.

4. Per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso il MIUR sulla base di un unico motivo, articolato in più punti, al
quale ha opposto difese con controricorso L.B.

5. La causa, inizialmente avviata alla trattazione
camerale dinanzi alla Sezione Sesta, è stata rimessa a questa Sezione con
ordinanza n. 27815 del 22 novembre 2017, sul rilievo che la controricorrente
nella memoria: aveva posto il problema della permanenza del diritto al
risarcimento del danno anche in ipotesi di intervenuta stabilizzazione; aveva
segnalato che la questione era stata oggetto del rinvio pregiudiziale alla
Corte di Giustizia da parte della Corte di Appello di Trento con ordinanza del
3-17 giugno 2017; aveva sollecitato questa Corte a disporre, a sua volta,
rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.

6. La controricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con l’unico motivo del ricorso, articolato in più
punti, il Ministero denuncia la «violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del d.lgs. 6 settembre 2001
n. 368 e dell’art. 4 della
legge 3 maggio 1999 n. 124, nonché dell’art. 5 comma 4 bis d.lgs. n.
368/2001 anche in combinato con l’art. 1 del d.m. 13 giugno 2007 del
Ministro della Pubblica Istruzione nonché dell’art. 36 d.lgs. n. 165/2001
e della direttiva 99/70/CE» e, ribadita la
specialità del sistema di reclutamento e di conferimento delle supplenze in
ambito scolastico, ne sostiene la piena conformità alla normativa euronitaria,
evidenziando che tutte le tipologie di rapporti a tempo determinato rispondono
a ragioni oggettive che giustificano il rinnovo del contratto. Aggiunge il
Ministero che le richiamate esigenze non possono essere garantite mediante la
costituzione di una stabile riserva di personale scolastico in quanto
l’amministrazione, per ragioni di contenimento della spesa pubblica e per
garantire l’equilibrio del bilancio dello Stato, non può immettere in ruolo
personale che potrebbe rivelarsi non necessario.

I principi affermati da questa Corte

2. Questa Corte con le sentenze pronunciate
all’udienza del 18/10/2016 (dal n. 22552 al n.
22557) e con numerose altre decisioni successive conformi, ha affrontato tutte
le questioni che oggi vengono in rilievo e, dopo avere ricostruito il quadro
normativo e dato atto del contenuto delle pronunce rese dalla Corte di
Giustizia (sentenza 26 novembre 2014, Mascolo e
altri, relativa alle cause riunite C-22/13; C-61/13; C-62/13; C-63/13; C-418/13),
dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 187 del
20.7.2016) e dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 5072 del 15.3.2016), nella sentenza n. 22552/2016 (punti da 118 a 125) ha
affermato i principi di diritto che seguono:

A) la disciplina del reclutamento del personale a
termine del settore scolastico, contenuta nel d.lgs.
n. 297 del 1994, non è stata abrogata dal d.lgs.
n. 368 del 2001, essendone stata disposta la salvezza dall’art. 70, comma 8, del d.lgs.
n. 165 del 2001, che ad essa attribuisce un connotato di specialità;

B) per effetto della dichiarazione di illegittimità
costituzionale dell’art. 4 commi
1 e 11 della legge 3.5.1999 n. 124 e in applicazione della Direttiva 1999/70/CE 1999 è illegittima, a far
tempo dal 10.07.2001, la reiterazione dei contratti a termine stipulati ai
sensi dell’art. 4 commi 1 e 11 della legge 3.5.1999
n. 124, prima dell’entrata in vigore della legge
13 luglio 2015 n. 107, rispettivamente con il personale docente e con
quello amministrativo, tecnico ed ausiliario, per la copertura di cattedre e
posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano
prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, sempre che abbiano avuto
durata complessiva, anche non continuativa, superiore a trentasei mesi;

C) ai sensi dell’art. 36 (originario comma 2,
ora comma 5) del D. Lgs. 165/2001, la violazione di disposizioni imperative
riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche
amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a
tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando
ogni responsabilità e sanzione;

D) nelle ipotesi di reiterazione dei contratti a
termine stipulati ai sensi dell’art.
4 comma 1 della legge 3.5.1999 n. 124, realizzatesi prima dell’entrata in
vigore della legge 13 luglio 2015 n. 107, con
il personale docente, per la copertura di cattedre a posti vacanti e
disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali
per l’intero anno scolastico, deve essere qualificata misura proporzionata,
effettiva, sufficientemente energica ed idonea a sanzionare debitamente l’abuso
ed a “cancellare le conseguenze della violazione del diritto
dell’Unione” la misura della stabilizzazione prevista nella citata legge 107 del 2015, attraverso il piano
straordinario destinato alla copertura di tutti i posti comuni e di sostegno
dell’organico di diritto, relativamente al personale docente, sia nel caso di
concreta assegnazione del posto di ruolo sia in quello in cui vi sia certezza
di fruire, in tempi certi e ravvicinati, di un accesso privilegiato al pubblico
impiego, nel tempo compreso fino al totale scorrimento delle graduatorie ad
esaurimento, secondo quanto previsto dal comma 109 dell’art. 1 della legge n. 107 del 2015;

E) nelle predette ipotesi di reiterazione,
realizzatesi dal 10.07.2001 e prima dell’entrata in vigore della legge 13 luglio 2015 n. 107, rispettivamente con
il personale docente e con quello amministrativo, tecnico ed ausiliario, per la
copertura di cattedre e posti vacanti e disponibili entro la data del 31
dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico,
deve essere qualificata misura proporzionata, effettiva, sufficientemente
energica ed idonea a sanzionare debitamente l’abuso ed a “cancellare le
conseguenze della violazione del diritto dell’Unione” la stabilizzazione
acquisita dai docenti e dal personale ausiliario, tecnico ed amministrativo,
attraverso l’operare dei pregressi strumenti selettivi- concorsuali;

F) nelle predette ipotesi di reiterazione,
realizzatesi prima dell’entrata in vigore della legge
13 luglio 2015 n. 107, rispettivamente con il personale docente e con
quello ausiliario, tecnico ed amministrativo, per la copertura di cattedre e
posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano
prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, deve affermarsi, in
continuità con i principi affermati dalle SS.UU di questa Corte nella sentenza 5072 del 2016, che
l’avvenuta immissione in ruolo non esclude la proponibilità di domanda per
risarcimento dei danni ulteriori e diversi rispetto a quelli esclusi
dall’immissione in ruolo stessa, con la precisazione che l’onere di allegazione
e di prova grava sul lavoratore, in tal caso non beneficiato dalla agevolazione
probatoria di cui alla menzionata sentenza;

G) nelle predette ipotesi di reiterazione di
contratti a termine stipulati ai sensi dell’art. 4
c. 1 L. 124/1999, avveratasi a far data da 10.07.2001, ai docenti ed al
personale amministrativo, tecnico ed ausiliario che non sia stato stabilizzato
e che non abbia (come dianzi precisato) alcuna certezza di stabilizzazione, va
riconosciuto il diritto al risarcimento del danno nella misura e secondo i
principi affermati nella già richiamata sentenza delle SSUU di questa Corte n. 5072 del 2016;

H) nelle ipotesi di reiterazione di contratti a
termine in relazione ai posti individuati per le supplenze su “organico di
fatto” e per le supplenze temporanee non è in sé configurabile alcun abuso
ai sensi dell’Accordo Quadro allegato alla Direttiva, fermo restando il diritto
del lavoratore di allegare e provare il ricorso improprio o distorto a siffatta
tipologia di supplenze, prospettando non già la sola reiterazione ma le
sintomatiche condizioni concrete della medesima.

3. Nella già richiamata sentenza
n. 22552/2016 questa Corte ha dichiarato (p. 104) manifestamente infondata
la questione di legittimità costituzionale prospettata con riferimento alla
diversità di trattamento rispetto al personale docente riservata dalla legge n. 107 del 2015 al personale tecnico ed
amministrativo (ATA), al quale non è stato esteso il piano straordinario di
assunzioni, riservato al solo personale docente (art. 1, comma 95).

4. Inoltre (p. 110), ha disatteso la richiesta di
avvio, ai sensi dell’art. 267
del TFUE, della procedura di rinvio pregiudiziale dinanzi alla CGUE,
formulata sulla dedotta contrarietà con la clausola 5, punti 1 e 2, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo
determinato allegato alla Direttiva 1999/70/CE 1999, e della clausola 4
dello stesso accordo quadro, e sull’ipotizzato contrasto del principio di
uguaglianza e non discriminazione del diritto UE, del trattamento previsto nel
nostro ordinamento rispettivamente per i contratti di lavoro a tempo
determinato stipulati con la pubblica amministrazione, in particolare nel
Comparto Scuola, e per i contratti a termine stipulati con gli enti pubblici
economici e con i datori di lavoro privati, “là dove il legislatore
nazionale avrebbe escluso i primi dalla tutela rappresentata dalla costituzione
di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in caso di applicazione delle
regole interne di recepimento della suindicata direttiva
1999/70/CE, emanate in attuazione dell’art.
117, primo comma, Cost., senza prevedere alcuna sanzione effettiva,
proporzionale, preventiva, dissuasiva neanche sotto il profilo del risarcimento
del danno”.

5. Tanto perché: la sentenza della CGUE 14 settembre
2016, in cause riunite C 184/15 e C 197/15 era riferita ad una fattispecie
nella quale al divieto di conversione si accompagnava l’assenza di altra misura
effettiva per evitare e sanzionare gli abusi (p. 105); il criterio di
parametrazione del danno al valore del posto di lavoro a tempo indeterminato
postula che si faccia riferimento ad un evento, la conversione del rapporto,
che contrasta con gli artt. 3 e 97 della Costituzione (p. 109); rientra nella
competenza dello Stato italiano determinare le modalità di reclutamento del
personale delle pubbliche amministrazioni, cosa che è stata fatta dal
legislatore ordinario dando attuazione all’art. 97,
quarto comma, Cost., che sancisce il principio fondamentale secondo cui
l’instaurazione del rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche
amministrazioni avviene, di regola, mediante pubblico concorso (p.112); tale
elemento è del tutto estraneo alla disciplina del lavoro svolto alle dipendenze
di datori di lavoro privati e questo rappresenta uno dei fattori di maggiore
diversificazione di tale rapporto rispetto al rapporto di lavoro (anche
contrattualizzato) alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (Corte cost. sentenze n. 146 del 2008, n. 82 del 2003, n. 275 del 2001), sicché la
mancata previsione della stabilizzazione del rapporto di lavoro pubblico, per
effetto della conversione dei rapporti a termine irregolari in rapporti a tempo
indeterminato, non può dare luogo ad alcuna ingiustificata discriminazione,
contrastante con il principio di eguaglianza (p. 113); l’eventuale sussistenza
di un’ingiustificata diseguaglianza e/o discriminazione presuppone un giudizio
comparativo tra situazioni fra loro confrontabili, ciò vale sia per quanto
riguarda l’art. 3 Cost. sia per quel che
concerne il principio fondamentale di non discriminazione del diritto UE
(p.114); la stessa CGUE, con giurisprudenza costante, ha precisato che la
clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro medesimo non sancisce un obbligo
generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione in contratti a tempo
indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato, così come non
stabilisce le condizioni precise in presenza delle quali si può fare uso di
questi ultimi, lasciando agli Stati membri un certo margine di discrezionalità
in materia (p. 115).

6. Infine nella richiamata sentenza n. 22552 del 2016 questa Corte ha
disatteso anche la richiesta di avvio della procedura di rinvio pregiudiziale
per la parte riguardante la mancata previsione di “alcuna sanzione
effettiva, proporzionale, preventiva, dissuasiva sotto il profilo del
risarcimento del danno”, in quanto la CGUE ha già ripetutamente esaminato
tale questione e alle relative pronunce è stato dato seguito nella decisione
assunta in quella controversia (p.116).

L’ordinanza della Corte di Appello di Trento in data
13 luglio 2017 ai sensi dell’art.
267 TFUE

7. Con ordinanza del 13 luglio 2017, nel
procedimento Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – MIUR
– contro Fabio R., Conservatorio di Musica F.A. Bonporti, la Corte di Appello
di Trento ha domandato, ai sensi dell’art. 267 del TFUE, alla Corte
di Giustizia di pronunciarsi in via pregiudiziale sull’interpretazione della
clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato,
concluso il 18 marzo 1999, allegato alla direttiva
1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999 relativa all’accordo quadro
CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, e, in particolare, sulla
questione “Se la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro (…) debba
essere interpretata nel senso che osta all’applicazione dell’articolo 1, commi 95, 131 e 132 della
legge n. 107/2015, che prevedono la stabilizzazione degli insegnanti a
termine per il futuro, senza effetto retroattivo e senza risarcimento del
danno, quali misure proporzionate, sufficientemente energiche e dissuasive per
garantire la piena efficacia delle norme dell’accordo quadro in relazione alla
violazione dello stesso per l’abusiva reiterazione di contratti a termine per
il periodo anteriore a quello in cui le misure, di cui alle norme indicate,
sono destinate a produrre effetti”.

La Corte di Appello di Trento aveva dubitato della
conformità dell’orientamento giurisprudenziale espresso da questa Corte nelle
sentenze dell’ottobre del 2016 all’accordo 5 quadro e ai principi affermati
dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 26
novembre 2014, Mascolo e a. (C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13,
EU:C:2014:2401).

In particolare, aveva evidenziato che questa Corte,
basandosi sulla giurisprudenza della Corte Costituzionale, aveva statuito che
le disposizioni transitorie di cui all’articolo 1, comma 95, della legge n.
107/2015 sull’assunzione in via straordinaria dei docenti utilmente
inseriti nelle graduatorie, davano attuazione alle regole enucleate dalla Corte
nella sentenza del 26 novembre 2014, Mascolo e a.
(C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, EU:C:2014:2401). La sentenza
della Corte di Giustizia dell’8 maggio 2019 Causa C- 494/17, Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – MIUR contro Fabio R. e
Conservatorio di Musica F.A. Bonporti

8. La Corte di Giustizia con la sentenza dell’8
maggio 2019 Causa C- 494/17 (anche R., di seguito) ha statuito che “La
clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato,
concluso il 18 marzo 1999, allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio,
del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a
tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una
normativa nazionale che, così come applicata dagli organi giurisdizionali
supremi, esclude – per docenti del settore pubblico che hanno beneficiato della
trasformazione del loro rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto
di lavoro a tempo indeterminato con un effetto retroattivo limitato – qualsiasi
diritto al risarcimento pecuniario in ragione dell’utilizzo abusivo di una
successione di contratti a tempo determinato, allorché una siffatta
trasformazione non è né incerta, né imprevedibile, né aleatoria e la
limitazione del riconoscimento dell’anzianità maturata in forza della suddetta
successione di contratti di lavoro a tempo determinato costituisce una misura
proporzionata per sanzionare tale abuso, circostanze che spetta al giudice del
rinvio verificare”.

8.1. Richiamando in più punti le sentenze Santoro,
C-494/16, Sciotto C- 331/2017, Fiammingo e a, C-362/13, C-363/13 e C-407/13,
Mascolo e a., C- 22/2013, da C-61/13 a C- 63/13 e
C-418/13), la Corte ha evidenziato (p. 30) che nella sentenza Mascolo era
stato affermato che la normativa nazionale anteriore alla legge 13 luglio 2015 n. 107 non conteneva alcuna
sanzione di carattere sufficientemente energico e dissuasivo idoneo a garantire
la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell’ accordo quadro e
che “l’unica possibilità per i docenti di cui trattavasi in quella causa
di ottenere la trasformazione del loro rapporto di lavoro a tempo determinato
in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dipendeva dalla loro immissione
in ruolo, ottenuta in ragione del loro avanzamento nella graduatoria permanente
e, pertanto, da circostanze che dovevano essere ritenute aleatorie ed
imprevedibili, essendo determinate della durata complessiva dei contratti di
lavoro a tempo determinato nonché dei posti che erano nel frattempo divenuti
vacanti”, precisando (p.31) che le affermazioni contenute nella sentenza
Mascolo erano fondate sul fatto che il termine di immissione in ruolo dei
docenti “era tanto variabile quanto incerto”.

8.2. La Corte di Giustizia ha sottolineato (p.32) la
diversità del quadro normativo che connotava la fattispecie sottoposta al suo
esame dalla Corte di Appello di Trento, diversità che ha colto nel fatto che :
“il legislatore nazionale, al fine di garantire la transizione verso un
nuovo sistema comportante misure destinate a prevenire e a sanzionare il
ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato, ha adottato un piano
straordinario di assunzioni che prevede la trasformazione, nel corso dell’anno
scolastico 2015/2016, di tutti i rapporti di lavoro a tempo determinato con
docenti «precari», attraverso il progressivo e definitivo esaurimento delle
graduatorie e degli elenchi dai quali l’amministrazione attingeva per
l’assunzione di docenti a tempo determinato” e nella circostanza,
rappresentata dal Governo italiano (p.33), che “proseguivano, in
parallelo, e fino al loro esaurimento, i procedimenti di immissione in ruolo in
corso per i docenti che si trovavano già inseriti in cima alle graduatorie l’articolo 1, comma 95, della legge n.
107/2015 prevede, a tal riguardo, che il piano straordinario di assunzioni
è attuato …..per la copertura di tutti i posti (…) rimasti vacanti e
disponibili all’esito delle operazioni di immissione in ruolo effettuate per il
medesimo anno scolastico ai sensi dell’articolo 399 del [ decreto legislativo n. 297/1994 ], vale a dire le
immissioni in ruolo sulla base dell’avanzamento nella graduatoria
permanente”.

8.3. Sulla scorta di tali considerazioni la Corte di
Giustizia ha ritenuto che (p. 34) “sembra quindi, ferme restando le verifiche
incombenti al giudice del rinvio, che le assunzioni straordinarie e i
procedimenti ai sensi dell’articolo
399 del decreto legislativo n. 297/1994, come quello che ha portato
all’immissione in ruolo del sig. R., riguardano la stessa categoria di
personale docente, e che, pertanto, il rapporto di lavoro a tempo determinato
del sig. R. doveva essere oggetto di trasformazione al più tardi alla fine
dell’anno scolastico 2015/2016 o sulla base della conclusione di un
procedimento di immissione in ruolo già in corso, oppure in forza del piano
straordinario di assunzioni” ed ha ritenuto (punto 35) che “questa
circostanza, a ritenerla appurata, consente di affermare che la situazione del
sig. R. si colloca, a motivo della riforma istituita dalla legge n. 107/2015, in un contesto notevolmente
diverso, da un punto di vista di fatto e di diritto, rispetto a quello oggetto
della sentenza del 26 novembre 2014, Mascolo e a.
(C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, EU:C:2014:2401)”.

Al riguardo ha osservato che (p.36) “infatti
contrariamente alla situazione dei docenti di cui trattavasi nella causa decisa
con la suddetta sentenza (Mascolo, ndr) la trasformazione dei rapporto di
lavoro non era incerta e non aveva carattere imprevedibile e aleatorio, dato
che era stata resa obbligatoria dalla legge n.
107/2015”.

8.4. Nella sentenza R. la Corte di Giustizia,
citando la sentenza Santoro C-494/16 (p. 47) e la sentenza Motter C-466/17
(p.48), in ordine alla compatibilità del limitato effetto retroattivo della
trasformazione del rapporto di lavoro, di cui aveva beneficiato il R., con la
clausola 5 punto 1 dell’Accordo quadro, e al trattamento differenziato fruito
dai lavoratori privati in caso di ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo
determinato (trasformazione del rapporto a tempo indeterminato dalla data di
stipula del primo contratto di lavoro) ha ritenuto (p.49) che “non si può
escludere che la limitazione dell’efficacia retroattiva della trasformazione
del rapporto di lavoro di cui ha beneficiato il sig. R. possa essere
giustificata, almeno in parte, a motivo delle peculiarità del settore
pubblico”.

Ha, tuttavia, sottolineato (p. 50) che nel caso di
specie “il riconoscimento dell’anzianità che è stato accordato al sig. R.
resta nettamente inferiore al periodo di occupazione in forza di contratti di
lavoro a tempo determinato” ed ha affermato (p.51) che “Se è vero che
uno Stato membro può legittimamente, nell’attuazione della clausola 5, punto 1,
dell’accordo quadro, prendere in considerazione esigenze di un settore
specifico come quello dell’insegnamento, tale facoltà non può essere intesa nel
senso di consentirgli di esimersi dall’osservanza dell’obbligo di prevedere una
misura adeguata per sanzionare debitamente il ricorso abusivo a una successione
di contratti di lavoro a tempo determinato (sentenza
del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13,
EU:C:2014:2401, punto 118). Una tale misura deve rivestire, in particolare,
come ricordato al punto 28 della presente sentenza, un carattere
proporzionato”.

8.5. La Corte di Giustizia ha, quindi, rimesso (p.52)
“al giudice nazionale di valutare se, tenuto conto, da un lato, della
possibile giustificazione della limitazione del riconoscimento dell’anzianità
acquisita in forza di contratti di lavoro a tempo determinato e, dall’altro,
della durata particolarmente lunga dell’abuso di cui è stato vittima il sig.
R., il riconoscimento della sua anzianità retroattivo al 10 gennaio 2014
costituisca una misura di carattere proporzionato al fine di sanzionare
debitamente detto abuso e di cancellare le conseguenze della violazione del
diritto dell’Unione ai sensi della giurisprudenza citata al punto 28 della
presente sentenza”.

Ricadute della sentenza della Corte di Giustizia 8
maggio 2019 causa C-494/17 sui principi affermati da questa Corte nelle
sentenze del 18.10.2016 e nelle altre successive conformi

9. Nella sentenza R. l’ordinamento giuridico
italiano è stato scrutinato con specifico riferimento alle disposizioni della legge n. 107 del 2015 relative al piano
straordinario di assunzioni previsto per il personale docente
“precario” e sono state evidenziate le novità introdotte da tale
legge nell’ordinamento rispetto al quadro normativo preesistente ed esaminato
nella sentenza “Mascolo”.

I principi e gli strumenti interpretativi offerti
dalla Corte di Giustizia nella sentenza innanzi richiamati guidano questa Corte
nella soluzione della causa in esame, nella quale viene in rilievo la questione
dell’adeguatezza della misura rappresentata dall’avvenuta trasformazione dei
rapporti di lavoro subordinato a termine della controricorrente in un rapporto
di lavoro a tempo indeterminato e, dunque, della conformità del diritto
interno, quanto al personale, che come la B. riveste la qualifica di docente,
alla clausola 5, punto 1, dell’accordo
quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, allegato alla
direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa
all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato.

9.1. Va osservato che la Corte di Giustizia, con
riguardo all’ assenza di risarcimento nel caso di trasformazione del rapporto
di lavoro, ha rammentato (punto 38) che gli Stati membri dispongono di un ampio
margine di discrezionalità nella scelta delle misure atte a realizzare gli
obiettivi della loro politica sociale e che (p. 39) “come emerge dalla
clausola 5, punto 2, dell’accordo quadro, gli Stati membri hanno la facoltà,
nell’ambito delle misure volte a prevenire il ricorso abusivo a una successione
di contratti di lavoro a tempo determinato, di trasformare i rapporti di lavoro
a tempo determinato in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, dato che la
stabilità dell’impiego derivante da questi ultimi costituisce l’elemento
portante della tutela dei lavoratori”.

9.2. Ha anche ricordato (p. 40) che “una
normativa recante una norma imperativa ai sensi della quale, in caso di ricorso
abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato, questi ultimi sono
trasformati in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, è tale da
costituire una misura che sanziona in modo efficace un abuso di questo tipo e,
quindi, da soddisfare i criteri ricordati ai punti 27 e 28 della presente
sentenza”.

Inoltre, in linea di continuità con la sua
giurisprudenza, ha ribadito (punto 41) che “La giurisprudenza non
richiede, tuttavia, un cumulo di misure” e che (p. 42) “né il
principio del risarcimento integrale del danno subito né il principio di
proporzionalità impongono il versamento di danni punitivi. Tanto sul rilievo
(p. 43) che “tali principi impongono agli Stati membri di prevedere
un’adeguata riparazione, che deve andare oltre il risarcimento puramente
simbolico, senza tuttavia oltrepassare la compensazione integrale”.

9.3. Con riguardo alla doglianza relativa alla
disparità di trattamento rispetto ai lavoratori che hanno ottenuto una condanna
del loro datore di lavoro a causa del ricorso abusivo a contratti a tempo
determinato prima dell’entrata in vigore della legge
n. 107/2015 e che avrebbero potuto, in forza della normativa anteriore,
cumulare un risarcimento e il beneficio di un’assunzione con contratto di
lavoro a tempo indeterminato, la Corte di Giustizia ha osservato (punto 44) che
“la disparità di trattamento tra due categorie di lavoratori a tempo
determinato risultante da una riforma della normativa applicabile non rientra
nell’ambito del principio di non discriminazione sancito alla clausola 4
dell’accordo quadro (v. sentenza del 21 novembre 2018, Viejobueno Ibàriez e de
la Vara GonzMez, C-245/17, EU:C:2018:934, punti 50 e 51)”.

9.4. Ha, quindi, concluso che (p.45) “l’accordo
quadro non impone agli Stati membri di prevedere, in caso di ricorso abusivo a
contratti di lavoro a tempo determinato, un diritto al risarcimento del danno
che si aggiunga alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato
in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato”.

10. Ebbene, avuto riguardo ai principi affermati
dalla Corte di Giustizia nella sentenza R. deve essere oggi ribadito (punto 84
della sentenza di questa Corte n. 22552 del 2016)
che l’immissione in ruolo scelta dal legislatore italiano del 2015 rappresenta
una delle misure alternative, idonee a sanzionare e a cancellare l’illecito
comunitario, individuate dalla Corte di Giustizia, che si è compendiato nella
indebita reiterazione da parte della P.A. datrice di lavoro di contratti a
tempo determinato.

10.1. Devono essere al riguardo richiamate le
considerazioni svolte da questa Corte nella più volte richiamata sentenza n. 22552 del 2016 sul rilievo da
attribuire (p.n. 79), con riguardo alle posizioni coinvolte nella disciplina
del nuovo regime, “alle disposizioni transitorie contenute nell’art. 1 c. 95 della L. 107/2015, che hanno
autorizzato il MIUR, per l’anno 2015/2016, ad attuare un piano straordinario di
assunzioni a tempo indeterminato di personale docente per le istituzioni
scolastiche di ogni ordine e grado, per la copertura di tutti i posti comuni e
di sostegno dell’organico di diritto, rimasti vacanti e disponibili all’esito
delle immissioni in ruolo effettuate per il medesimo anno scolastico ai sensi
dell’art. 399 del T.U. di cui
al D. Lgs. 297/1994, al termine delle quali sono soppresse le graduatorie
dei concorsi per titoli ed esami banditi anteriormente al 2012” ed alla
circostanza che (punto n. 80) “il c. 97 della legge in esame stabilisce
che si tratta di un concorso “riservato” ai soggetti iscritti, alla
data di entrata in vigore della legge, (a) nelle graduatorie del concorso
pubblico per titoli ed esami a posti e cattedre bandito con decreto
direttoriale del Miur n. 82/2012 e (b) nelle graduatorie ad esaurimento del
personale docente di cui all’articolo
1, comma 605, lettera c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e
successive modificazioni (la disposizione è conforme all’art. 97 c. 4 ultima
parte, ex multis, Corte Cost., sentenze nn. 134/2014; 217/2012; 89/2003;
320/1997; 205/1996, dianzi richiamate)”.

10.2. Nella sentenza di questa Corte n. 22552 del 2016 (pp. nn. 81 e 82) è stato
precisato che la strada satisfattiva della immissione in ruolo con previsione
rigorosa dei tempi, costituisce ad un tempo una sanzione e, dal punto di vista
del beneficiario, una riparazione “in linea di principio la più
ragionevole e soddisfacente tanto per lo Stato che vede assicurata la
indispensabile provvista di docenti stabili- quanto per il richiedente , in
quanto gli attribuisce il bene della vita, la cui certezza di acquisizione era
stata lesa dalla condotta inadempiente realizzata dalla Amministrazione”,
ed è stato considerato (p. n. 83) che la stabilizzazione è “ben più
satisfattiva di quella per equivalente che sarebbe spettata al personale
scolastico assunto con una serie ripetuta e non consentita di contratti a
termine sulla scorta del “diritto vivente” costituito dai principi
affermati dalle SSUU di questa Corte nella
sentenza n. 5072/2016 …” ed ai quali la sentenza n. 22552 ha dato
continuità.

11. Inoltre, deve oggi essere ribadito il principio
secondo cui anche l’immissione in ruolo effettuata sulla base del sistema di
avanzamento reso possibile dalle previgenti regole sul reclutamento rispetta i
principi di equivalenza ed effettività (p. n. 85 della sentenza n. 22552 del 2016) poiché “il
soggetto leso dall’abusivo ricorso ai contratti a termine ha, comunque,
ottenuto, per il (tardivo, imprevedibile né atteso) funzionamento del sistema
di reiterate assunzioni, il medesimo “bene della vita” per il
riconoscimento del quale ha agito in giudizio: ed in tal guisa l’abuso
perpetrato e l’illecito commessi sono stati, rispettivamente, oggettivamente
represso e tendenzialmente riparato”.

11.1. Con riguardo alla evidenziata repressione
dell’abuso e dell’illecito vanno richiamate, ancora una volta le considerazioni
già svolte da questa Corte nella sentenza n. 22552
del 2016 (p. n. 26) sulla definitiva perdita di efficacia per entrambe le
categorie di personale (docente e ATA), delle graduatorie ad esaurimento
effettivamente esaurite (art. 1 c.
105 legge n. 107 del 2015), alla cadenza triennale dei concorsi, da indire
su base regionale tenendo conto del fabbisogno espresso dalle istituzioni
scolastiche nel piano dell’offerta formativa, alla efficacia egualmente
triennale delle graduatorie concorsuali (art. 1 c. 113 legge n. 107 del 2015),
alla previsione (art. 1 c. 131
legge n. 107 del 2015) di un limite alla reiterazione delle supplenze, che
a decorrere dal 10 settembre 2016 non possono superare la durata complessiva di
trentasei mesi, anche non continuativi.

Al riguardo va precisato, quanto alla disposizione
contenuta nel richiamato art. 1 c.
131 della legge n. 107 del 2015, che l’art. 4-bis c. 1 del d.l. 12 luglio
2018 n. 87, convertito con modificazioni dalla legge
9 agosto 2018 n. 96, che ne ha previsto l’abrogazione, non è applicabile
“ratione temporis” alla fattispecie in esame.

11.2. L’ equivalenza e l’effettività dell’immissione
in ruolo ottenuta secondo il sistema di avanzamento previsto dalle previgenti
regole di reclutamento ovvero in forza del piano straordinario di assunzioni
sono state, d’altra parte, riconosciute anche dalla Corte di Giustizia nella
sentenza R. (pp. nn. 34-37).

12. Deve aggiungersi che, come già statuito nella sentenza n. 22522 del 2016 (pp. nn. da 86 87),
nelle ipotesi di reiterazione di contratti a tempo determinato, realizzatesi
prima dell’entrata in vigore della legge 13 luglio
2015 n. 107, rispettivamente con il personale docente e con quello
amministrativo, tecnico e ausiliario, per la copertura di posti vacanti e
disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali
per l’intero anno scolastico, l’avvenuta stabilizzazione non preclude affatto
la proponibilità della domanda per il risarcimento dei danni diversi e
ulteriori rispetto a quelli esclusi dalla immissione nei ruoli, alla luce dei
principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 5072 del 2016 e dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 187 del 2016
(p.n. 18.2).

12.1. In tal caso l’onere di allegazione e di prova
dei danni ulteriori grava sul lavoratore, non beneficiato in caso di
stabilizzazione dall’agevolazione probatoria di cui alla citata sentenza delle
Sezioni Unite, ma lo stesso non risulta insormontabile né difficoltoso, perché
il sistema delle graduatorie ad esaurimento offre dati oggettivi (posizione
ricoperta nella graduatoria, vacanze di organico, termini previsti, anche se
non rispettati, dal T.U. per l’indizione dei concorsi e per le operazioni di
immissione in ruolo) dai quali agevolmente desumere, se allegati, la
mortificazione della chance di accedere all’impiego stabile.

13. Infine, con riguardo alle osservazioni esposte
nella sentenza della Corte di Giustizia nella sentenza dell’8 maggio 2019 causa
C-494/17 in ordine alla compatibilità del limitato effetto retroattivo della
trasformazione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo
indeterminato con la clausola 5 punto 1 dell’Accordo quadro, si impone
un’ulteriore considerazione di massimo rilievo.

13.1. Questa Corte è stata chiamata a pronunciare
(udienza del 15 ottobre 2019 causa n. r.g. 2220/2017) sulla conformità alla
clausola 4 dell’Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato
allegato alla direttiva 1999/70/CE) della
disciplina interna (di fonte legale e di negoziazione collettiva) relativa alla
ricostruzione della carriera del personale docente della scuola, nei casi in
cui l’immissione in ruolo sia stata preceduta da rapporti a termine, disciplina
che fa discendere effetti giuridici ed economici dall’anzianità di servizio,
che condiziona sia la progressione stipendiale sia, in genere, lo svolgimento
del rapporto. Nel settore scolastico, infatti, l’anzianità assume un ruolo di
particolare rilievo ogniqualvolta vengano in gioco valutazioni comparative dei
docenti.

13.2. Ebbene, nel rispetto del dovere di
conformazione del diritto interno a quello dell’Unione, questa Corte, ritenuta
preclusa l’interpretazione conforme, ha affermato che “In tema di
riconoscimento dell’anzianità di servizio dei docenti a tempo determinato poi
definitivamente immessi nei ruoli dell’amministrazione scolastica, l’art. 485 del d.lgs. n. 297 del
1994 deve essere disapplicato, in quanto si pone in contrasto con la
clausola 4 dell’Accordo quadro
allegato alla direttiva 1999/70/CE, nei casi in cui l’anzianità risultante
dall’applicazione dei criteri dallo stesso indicati, unitamente a quello
fissato dall’art. 489 dello
stesso decreto, come integrato dall’art. 11, comma 14, della I. n. 124
del 1999, risulti essere inferiore a quella riconoscibile al docente
comparabile assunto “ah origine” a tempo indeterminato; il giudice
del merito, per accertare la sussistenza di tale discriminazione, dovrà
comparare il trattamento riservato all’assunto a tempo determinato poi immesso
in ruolo, con quello del docente ab origine a tempo indeterminato, senza valorizzare,
pertanto, le interruzioni fra un rapporto e l’altro, né applicare la regola
dell’equivalenza fissata dal richiamato art. 489, e, in caso di
disapplicazione, computare l’anzianità da riconoscere ad ogni effetto al
docente assunto a tempo determinato, poi immesso in ruolo, sulla base dei
medesimi criteri che valgono per l’assunto a tempo indeterminato”.

Pertanto anche sul versante degli effetti della
stabilizzazione sulla anzianità di servizio il diritto interno risulta conforme
alla clausola 5, punto 1, dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE.

13.3. Conclusivamente vanno ribaditi i principi di
diritto indicati nel punto 2, lettere da a) ad h), di questa sentenza (pp. nn
118-125 della sentenza di questa Corte n. 22552
del 2016) ed in particolare quelli di cui alle lettere E ed F
sull’effettività e sull’adeguatezza della misura della stabilizzazione, anche
se ottenuta attraverso l’operare dei pregressi strumenti selettivi concorsuali,
misura alla quale si aggiunge il risarcimento del danno, se allegato e provato
da chi agisce in giudizio.

Conseguenze di fattispecie

14. Risulta dalla sentenza impugnata che la
controricorrente, docente, è stata assunta su posti di organico di diritto in
virtù di ripetuti contratti a termine, che hanno avuto una durata superiore a
trentasei mesi.

Nella memoria ex art.
380 bis cod. proc. civ. la B. ha dichiarato, e la circostanza non è stata
contestata dal Ministero, di essere stata immessa in ruolo secondo il
meccanismo del doppio canale (cfr. pag. 5 memoria depositata dalla
controricorrente ex art. 380 bis cod. proc. civ.)
e di ciò ha dato atto l’ordinanza n. 27815/2017 richiamata nello storico di
lite. La controricorrente, pertanto, ha ottenuto, per tale via, il bene della
vita che aveva rivendicato in giudizio, formulando, in via principale, la
domanda di conversione del rapporto, sicché non rileva, per quanto innanzi
osservato, la circostanza che la stabilizzazione sia avvenuta per mezzo di
interventi diversi da quelli previsti nella legge
107/2015, né assume rilievo la questione, prospettata nella memoria
depositata ex art. 378 cod. proc. civ.
dell’applicabilità ai docenti della scuola dell’infanzia, quale è la B., del
piano straordinario di immissione in ruolo che la legge n. 107/2015, art. 1, commi
95 e seguenti, ha autorizzato «per le istituzioni scolastiche statali di ogni
ordine e grado, per la copertura di tutti i posti comuni e di sostegno
dell’organico di diritto, rimasti vacanti e disponibili all’esito delle
operazioni di immissione in ruolo effettuate per il medesimo anno scolastico ai
sensi dell’articolo 399 del
testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297».

14.1. La circostanza di fatto, dedotta, come già
evidenziato, dalla stessa controricorrente per fondarvi la richiesta di rinvio
pregiudiziale alla Corte di Giustizia, non può ritenersi estranea al giudizio
di legittimità in quanto intimamente correlata alla questione di diritto della
risarcibilità del danno nelle ipotesi di intervenuta stabilizzazione ed allo
ius superveniens costituito dalla più volte richiamata sentenza della CGUE R.,
che ha efficacia immediata nell’ordinamento nazionale, oltre che dalla L. n. 107 del 2015.

15. Il ricorso va, pertanto accolto e a ciò consegue
la cassazione della decisione impugnata.

Non risulta, infatti, dalla sentenza impugnata, dal
controricorso, nonché dal ricorso, che la controricorrente abbia,
nell’originaria domanda, allegato l’esistenza di danni ulteriori e diversi
rispetto a quelli “risarciti” dall’immissione in ruolo, la cui prova
grava sul lavoratore e che comunque non potrebbero identificarsi con quelli
“da mancata conversione e quindi da perdita del posto di lavoro”,
secondo quanto affermato nella predetta decisione delle SS.UU. n. 5072 del 2016.

Non essendo, pertanto, necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa, ai sensi dell’art.
384, c. 2, cod. proc. civ. può essere decisa nel merito con il rigetto
della domanda proposta nei confronti dell’odierno ricorrente.

16. La complessità della questione giuridica,
risolta sulla base della pronuncia della Corte di Giustizia intervenuta in corso
di causa, giustifica l’integrale compensazione fra le parti delle spese
dell’intero processo.

Non sussistono le condizioni processuali previste
dall’art. 13, comma 1 quater, del
d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla legge
n. 228/2012.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e
decidendo nel merito rigetta l’originaria domanda.

Compensa integralmente fra le parti le spese
dell’intero processo.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 marzo 2020, n. 6640
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: