Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 marzo 2020, n. 6321

Infortunio sul lavoro, Direttore dei lavori, Assenza di
impegno e di concrete iniziative ai fini del controllo delle attività di
cantiere e della sicurezza dei lavori, Responsabilità del committente nei
riguardi dei terzi, Ipotesi di culpa in eligendo, Compimento dell’opera o del
servizio affidati ad un’impresa appaitatrice priva della capacità e dei mezzi
tecnici indispensabili, Situazioni di pericolo per i terzi

Rilevato che, con sentenza resa in data 6/6/2018, la
Corte d’appello di Perugia ha confermato la decisione con la quale il giudice
di primo grado, per quel che ancora rileva in questa sede, ha rigettato la
domanda proposta da R.C., M.C., M.C., M.G., G.C., R.C., A.A. e P.A., questi
ultimi quali eredi di S.C., nei confronti di M.M. e del Condominio di via dei
F. in Perugia, diretta alla condanna di questi ultimi al risarcimento dei danni
subiti dagli attori in conseguenza del decesso del proprio congiunto, N.C.,
avvenuto nel corso dell’esecuzione dei lavori di manutenzione del Condominio di
via dei F. in Perugia e da quest’ultimo affidati in appalto alla Ditta M.C.,
con la nomina di M.M. quale direttore dei lavori;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte
territoriale ha evidenziato come nessuno dei due convenuti potesse ritenersi
responsabile del decesso di N.C., non avendo il direttore dei lavori mai
assunto alcun impegno (né alcuna concreta iniziativa) ai fini del controllo
delle attività di cantiere e della sicurezza dei lavori in esso organizzati, né
avendo, il condominio committente, mai esercitato alcuna forma di ingerenza
nell’organizzazione e nello svolgimento dei lavori eseguiti dalla ditta
appaltatrice, risultata pienamente idonea all’esecuzione delle lavorazioni
affidatele, senza rilievo di alcun profilo di culpa in eligendo da parte del
condominio committente;

che, avverso la sentenza d’appello, R.C., M.C.,
M.C., G.C., M.G., R.C., A.A., quale erede di S.C., censurano la sentenza
impugnata sulla base di due motivi d’impugnazione;

che M.M. e il Condominio di via dei F. in Perugia
resistono con controricorso;

che, a seguito della fissazione della camera di
consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., i ricorrenti e M. M. hanno
presentato memoria;

considerato che, con il primo motivo, i ricorrenti
censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2, lett c), del d.lgs. n.
494/96, dell’art. 3 del
d.lgs. n. 626/94 (sostituito dall’art. 15 del d.lgs. n. 81/2008 e
dagli artt. 90 e 91 del d.lgs. n. 101/2008) (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte
territoriale erroneamente escluso la responsabilità del direttore dei lavori
per il decesso del loro congiunto, omettendo di valorizzare il significato
delle disposizioni legislative richiamate dirette a imporre, al direttore dei
lavori, numerosi obblighi di controllo, di accertamento e di intervento nella
materia della sicurezza dell’attività lavorativa svolta in esecuzione del
contratto di appalto;

che il motivo è inammissibile;

che, al riguardo, varrà preliminarmente rilevare
come gli odierni ricorrenti abbiano del tutto trascurato di individuare i
termini della motivazione sottoposta a impugnazione (in nessun modo evocata
nell’articolazione della doglianza illustrata), omettendo altresì di assolvere
con compiutezza agli oneri di puntuale e completa allegazione del ricorso
imposti dall’art. 366 n. 6 c.p.c., avendo gli
stessi ricorrenti enunciato le censure in iure con riferimento a risultanze
istruttorie di cui non risultano ritualmente riprodotti gli estremi e i
contenuti;

che, peraltro, osserva il Collegio come il giudice
d’appello, nell’escludere la responsabilità del direttore dei lavori per il
decesso del lavoratore per cui è causa (non avendo lo stesso mai assunto, né
dato corso, ad alcun impegno ai fini del controllo delle attività di cantiere e
della sicurezza dei lavori in esso organizzati), si sia correttamente allineato
al consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del
quale il direttore dei lavori esercita, per conto del committente, i medesimi
poteri di controllo sull’attuazione dell’appalto che questi ritiene di non
poter svolgere di persona, sicché ha il dovere, attesa la connotazione tecnica
della sua obbligazione, di vigilare affinché l’opera sia eseguita in maniera
conforme al progetto, al capitolato e alle regole della buona tecnica, senza
che da tale attività derivi la sua corresponsabilità con l’appaltatore per i
difetti dell’opera derivanti da vizi progettuali, salvo egli sia stato
espressamente incaricato dal committente di svolgere anche l’attività,
aggiuntiva rispetto a quella oggetto della sua normale prestazione, di
verificare la fattibilità e l’esattezza tecnica del progetto (Sez. 2, Sentenza n.
18285 del 19/09/2016, Rv. 641077 – 01);

che, pertanto, ferma l’ordinaria responsabilità del
direttore dei lavori al controllo, nell’interesse del committente, della sola
esatta esecuzione delle obbligazioni assunte dall’appaltatore nei confronti del
primo, del tutto correttamente il giudice a quo ha precisato come un’eventuale
estensione delle responsabilità del direttore dei lavori in relazione agli
infortuni sul lavoro verificatisi nel corso dell’esecuzione dell’opera
appaltata (oltre l’attività limitata alla sorveglianza tecnica attinente
l’esecuzione del progetto nell’interesse del committente), in tanto può essere
configurata, in quanto al direttore dei lavori siano state espressamente
attribuite ulteriori prerogative dirette a sovrintendere i lavori, con
possibilità di impartire ordini alle maestranze, o quando, con i suoi
comportamenti concludenti, si sia materialmente ingerito nell’esecuzione dei
lavori (cfr. da ultimo, Cass. pen., Sez. 3, Sentenza n. 19646 del 08/01/2019,
Rv. 275746 – 01);

che, nel caso di specie, il giudice d’appello ha
espressamente attestato come nessuna dimostrazione fosse stata concretamente
fornita, né della ridetta estensione delle prerogative del direttore dei
lavori, né di alcuna ingerenza dello stesso nell’ambito dell’organizzazione del
lavoro, in tal modo pervenendo all’assoluzione dello stesso da ogni
responsabilità risarcitoria nei confronti dei congiunti del lavoratore deceduto
nel pieno rispetto dei principi di diritto più sopra richiamati;

che, con il secondo motivo, i ricorrenti censurano
la sentenza impugnata per violazione dell’art. 3 co. 8, del d.lgs. n. 696/94,
dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 2049 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere il giudice
d’appello aver erroneamente escluso la responsabilità del condominio
committente, in contrasto, da un lato, con il dato della comprovata ingerenza
di detto condominio nell’organizzazione dei lavori eseguiti dalla ditta
appaltatrice, e, dall’altro con il chiaro dettato delle norme richiamate nella
parte in cui estendono al committente la responsabilità per i danni provocati
dall’appaltatore;

che il motivo è inammissibile;

che, preliminarmente, varrà ribadire, anche con
riguardo al motivo in esame, come i ricorrenti abbiano del tutto trascurato di
individuare i termini della motivazione sottoposta a impugnazione, omettendo di
dedicare alcuna notazione all’argomentazione decisiva enunciata dalla corte
(circa la derivazione dell’infortunio da una non corretta formazione dei
lavoratori, addebitabile all’impresa appaltatrice) e risolvendo la censura
avanzata nella formulazione di enunciazioni meramente astratte rispetto ai
contenuti della motivazione evocata;

che, peraltro, varrà altresì rilevare come la corte
territoriale, nell’escludere la responsabilità del condominio committente per
il decesso del lavoratore della ditta appaltatrice per non essere incorso in
alcuna forma di culpa in eligendo, e per non aver mai esercitato alcuna forma
di ingerenza nell’organizzazione e nello svolgimento dei lavori eseguiti dalla
ditta appaltatrice, si sia correttamente allineata all’insegnamento della
giurisprudenza di questa Corte di legittimità, là dove sottolinea come, in tema
di appalto, una responsabilità del committente nei riguardi dei terzi risulta
configurabile esclusivamente quando si versi nell’ipotesi di culpa in eligendo,
che ricorre qualora il compimento dell’opera o del servizio siano stati
affidati ad un’impresa appaitatrice priva della capacità e dei mezzi tecnici
indispensabili per eseguire la prestazione oggetto del contratto senza che si
determinino situazioni di pericolo per i terzi, ovvero risulti provato che il
fatto lesivo è stato commesso dall’appaltatore in esecuzione di un ordine
impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente
stesso, il quale, esorbitando dalla mera sorveglianza sull’opera oggetto del
contratto, abbia in tal modo esercitato una concreta ingerenza sull’attività
dell’appaltatore, al punto da ridurlo al ruolo di mero esecutore (v. Sez. L, Sentenza n. 11757 del 27/05/2011, Rv. 617454 –
01);

che, sotto altro profilo, varrà considerare come,
attraverso la censura in esame (nella parte in cui contesta il dato di fatto
della mancata ingerenza del condominio committente nell’ambito dell’esecuzione
dei lavori eseguiti dalla ditta appaltatrice), i ricorrenti – lungi dal
denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della
fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate – alleghino
un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta
a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta
interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione
del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità,
unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L,
Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171),
neppure coinvolgendo, la prospettazione critica dei ricorrenti, l’eventuale
falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea
sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente
gli stessi nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di
causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;

che, nel caso di specie, al di là del formale
richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio
di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure
sollevate dagli odierni ricorrenti deve piuttosto individuarsi nella negata
congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto
rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti
di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti;

che si tratta, come appare manifesto, di
un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea
ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata
valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica
censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il
provvedimento impugnato;

che, ciò posto, il motivo d’impugnazione così
formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte
censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione,
un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella
ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva
pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti
dall’art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo
della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di
fatti decisivi controversi tra le parti;

che, sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata
l’inammissibilità  del ricorso, cui segue
la condanna dei ricorrenti al rimborso, in favore di entrambi i
controricorrenti, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di
cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti
processuali per il pagamento del doppio contributo, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002;

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i
ricorrenti al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del
giudizio di legittimità, liquidate, in favore di M. M., in euro 5.200,00, oltre
alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro
200,00, e agli accessori come per legge e, in favore del Condominio di via dei
F., in euro 4.100,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli
esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma
dell’art. 1-bis, dello stesso articolo
13.

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