Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 maggio 2020, n. 9094

Inefficacia della cessione di ramo d’azienda, Ingiunzione di
pagamento della retribuzione, Inadempimento della società cedente all’obbligo
giudizialmente accertato di ripristino del rapporto di lavoro, Detrazione
dell’aliunde perceptum, Non sussiste, Instaurazione di un diverso ed autonomo
rapporto di lavoro, in via di mero fatto, con il cessionario, Pagamento delle
retribuzioni da parte del cessionario non produce effetto estintivo dell’obbligazione
retributiva gravante sul cedente

 

Rilevato che

 

1. La Corte di appello di Napoli ha confermato la
sentenza del Tribunale della stessa città che aveva, a sua volta, rigettato
l’opposizione proposta da T.I. s.p.a. avverso il decreto con il quale A.M.
aveva ingiunto il pagamento della somma di € 1.835,15 a titolo di retribuzione
per il mese di giugno 2013.

2. La Corte territoriale ha accertato che il decreto
ingiuntivo era stato emesso per effetto dell’avvenuto accertamento della
inefficacia della cessione di ramo d’azienda da parte del Tribunale,
statuizione confermata sia in appello che in Cassazione e passata in giudicato
di tal che ha ritenuto oramai superata la questione posta della idoneità della
sentenza di primo grado dichiarativa dell’inefficacia della cessione con ordine
alla società cedente di ripristinare il rapporto di lavoro a costituire titolo
per il rilascio del decreto ingiuntivo.

3. Quanto alla denunciata illegittima trasmutazione
del titolo in base al quale era stato chiesto il pagamento delle somme
riportate nel decreto opposto ha osservato, in primo luogo, che la stessa
società aveva qualificato l’azione esperita dal lavoratore come risarcitoria e
che correttamente il Tribunale aveva accertato che il credito dell’appellata
traeva origine dall’inadempimento della società all’obbligo giudizialmente
accertato di ripristino del rapporto di lavoro.

4. Con riguardo alla detrazione dell’aliunde
perceptum, poi, la Corte ha rilevato che a fronte dell’offerta della
prestazione da parte del lavoratore la società, sia in primo che in secondo
grado, aveva formulato una generica eccezione senza fornire al riguardo alcuna
specifica allegazione.

5. Per la cassazione della sentenza propone ricorso
T.I. s.p.a. che articola tre motivi ai quali resiste con controricorso A.M. che
deposita anche memoria ai sensi dell’art. 380 bis
1 cod. proc. civ..

 

Considerato che

 

6. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la
nullità della sentenza per violazione dell’art. 112
cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 primo
comma n. 4 cod. proc. civ. per avere escluso che il giudice di primo grado,
qualificando la domanda di pagamento delle retribuzioni in domanda di
risarcimento del danno, ne avrebbe mutato il contenuto incorrendo nella
denunciata violazione procedimentale.

7. Con il secondo motivo di ricorso poi è denunciata
la violazione e falsa applicazione degli artt. 1206,
1207, 1217, 1223, 1256, 1453 e 1463 cod. civ.
nella parte in cui la sentenza ha escluso che dovesse essere dedotta dal
risarcimento liquidato, a titolo di aliunde perceptum, l’indennità di mobilità
percepita quale dipendente della cessionaria TNT.

8. Con il terzo motivo di ricorso è denunciata la
violazione e falsa applicazione degli artt. 210
e 213 cod. proc. civ. per avere la Corte di
appello ritenuto di non ammettere le richieste istruttorie tese a dimostrare
l’esistenza dell’aliunde perceptum e percipiendum così incorrendo nella denunciata
violazione anche degli artt. 1223 e 1227 cod. civ..

9. Il ricorso non può essere accolto.

9.1. Va ricordato che le sezioni Unite di questa
Corte sono di recente intervenute in un caso di declaratoria di nullità
dell’interposizione di manodopera per violazione di norme imperative con
conseguente esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e – con
un’ interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 29 del d.lgs n. 276 del 2003,
che non contiene alcuna previsione in ordine alle conseguenze del mancato
ripristino del rapporto di lavoro per rifiuto illegittimo del datore di lavoro
e della regola sinallagmatica della corrispettività, in relazione agli artt. 3, 36 e 41 Cost. – hanno affermato che nell’ipotesi in
cui, per fatto imputabile al datore di lavoro, non sia possibile ripristinare
il predetto rapporto, è obbligo per quest’ultimo di corrispondere le
retribuzioni al lavoratore a partire dalla messa in mora, decorrente dal
momento dell’offerta della prestazione lavorativa (cfr. Cass. Sez. Un.
07/02/2018 n. 2990).

Successivamente a tale pronuncia questa Corte, con
specifico riferimento alla fattispecie di cessione di ramo di azienda
dichiarata inefficace ha poi affermato che, ove su domanda del lavoratore
ceduto venga giudizialmente accertato che non ricorrono i presupposti di cui
all’art. 2112 cod.civ., il pagamento delle
retribuzioni da parte del cessionario, che abbia utilizzato la prestazione del
lavoratore successivamente a detto accertamento ed alla messa a disposizione
delle energie lavorative in favore dell’alienante da parte del lavoratore, non
produce effetto estintivo, in tutto o in parte, dell’obbligazione retributiva
gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione
lavorativa (cfr. Cass. 03/07/2019 n. 17784, 07/08/2019 n. 21158 e 07/08/2019 n. 21160).
L’invalidità della cessione, infatti, determina l’istaurazione di un diverso ed
autonomo rapporto di lavoro, in via di mero fatto, con il cessionario.

9.2. Tanto premesso ritiene il Collegio che non vi
siano ragioni per discostarsi da tali principi e, conseguentemente, il secondo
ed il terzo motivo devono essere rigettati restandone assorbito l’esame del
primo motivo.

10. In conclusione il ricorso deve essere rigettato.
Quanto alle spese il l’esistenza, all’epoca della proposizione del ricorso, di
orientamenti giurisprudenziali non uniformi ed il solo recente consolidamento
della giurisprudenza nel senso qui condiviso giustificano la compensazione tra
le parti delle spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R.,
se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese
del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento
da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R.,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 maggio 2020, n. 9094
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