Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 giugno 2020, n. 11539

Lavoro irregolare, Omesso versamento della retribuzione
convenzionale relativa a fruizione di vitto e alloggio, Verbale ispettivo

 

Rilevato che

 

1. Con ricorso depositato presso il Tribunale di
Genova G.C.A., in proprio e quale legale rappresentante di O. srl, proponeva
opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione n. 701/2002 con la quale era stato
ingiunto loro, nelle qualità suddette, il pagamento di euro 350.898,06 per
violazione di alcune norme in materia di lavoro irregolare relativamente a n.
229 prestazioni lavorative.

2. L’adito Tribunale, con la pronuncia n. 472472011,
in parziale accoglimento dell’opposizione annullava l’ordinanza impugnata
relativamente a n. 18 lavoratori, riducendo conseguentemente la sanzione
complessiva.

3. La Corte di appello di Genova, con la sentenza n.
977/2015, in parziale accoglimento del gravame principale proposto da G.C.A.,
in proprio, e da O. srl, annullava l’ordinanza-ingiunzione opposta anche in ordine
alla posizione del lavoratore S.G., riducendo la sanzione corrispondente; in
parziale accoglimento del gravame incidentale proposto dalla Direzione
Territoriale del lavoro di Genova, respingeva le originarie opposizioni
relativamente alle posizioni di n. 10 lavoratori per i quali vi era stato
l’accoglimento in prime cure; confermava, nel resto, la gravata decisione.

4. La Corte territoriale, a fondamento della propria
decisione, rilevava che: a) non sussisteva, nella fattispecie, un giudicato
esterno – che spiegava efficacia riflessa nel presente giudizio – rappresentato
dalla sentenza della stessa Corte di merito n. 845/09 che, pronunciandosi sulla
legittimità di altra cartella esattoriale fondata sullo stesso verbale
ispettivo e riguardante l’omesso versamento della retribuzione convenzionale
relativa a fruizione di vitto e alloggio (mentre l’addebito del giudizio di cui
si discute concerneva la pretesa evasione contributiva relativamente alla
posizione di circa 200 collaboratori inquadrati come lavoratori autonomi
occasionali mentre, invece, erano da ritenere subordinati), aveva escluso la
sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con riguardo alle suddette
posizioni lavorative: ciò sul presupposto che, nell’altro giudizio, non era
stata parte la D.T.L., titolare di un rapporto autonomo e indipendente rispetto
a quello in ordine al quale il giudicato era intervenuto; b) l’eccezione di
tardività dell’ordinanza-ingiunzione per mancata osservanza del termine
prescritto dall’art. 2 della
legge n. 241/90 di 30 giorni, non era fondata; c) avendo riguardo alla
natura estremamente elementare, ripetitiva e determinata nelle sue modalità di
esecuzione, l’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere
direttivo, organizzativo e disciplinare poteva non essere significativo ed
andava fatto ricorso a criteri distintivi sussidiari quali le modalità di
erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario di lavoro, l’assenza
di rischio per il lavoratore, l’individuazione del soggetto tenuto alla
fornitura degli strumenti occorrenti, l’inserimento della prestazione
nell’organizzazione aziendale e il coordinamento con l’attività
imprenditoriale, la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in
capo al prestatore; d) sulla base di questi criteri dovevano considerarsi
lavoratori subordinati: i soggetti addetti alle pulizie delle camere; i
lavoratori addetti al parcheggio; i soggetti addetti alle mansioni di cameriere
da sala e i baristi; i lavoratori addetti alla mansione di lavapiatti o plouge
nonché l’aiuto cuoco, lo chef du rang, l’addetto alla cucina e l’aiuto cuoco, i
portieri, l’addetto alla cassa della piscina e all’assistenza dei bagnanti; la
segretaria addetta al ricevimento, quella addetta alla portineria, la custode;
e) non era da ravvisarsi un rapporto di lavoro subordinato con S.G., non
essendo stati dimostrati i requisiti del carattere subordinato del rapporto di
lavoro; f) dovevano, invece, considerarsi lavoratori subordinati, a differenza
di quanto ritenuto dal primo giudice, anche i collaboratori D., G., C., M., B.,
B., C., D.F., S. e A., che avevano prestato attività lavorativa quali
“extra”, mentre la sentenza di prime cure doveva essere confermata
per la posizione di B.J. e M.P..

5. Avverso la decisione di secondo grado proponevano
ricorso per cassazione G.C.A. e la O. srl affidato a cinque motivi.

6. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
– Direzione Territoriale del lavoro di Genova si costituiva ai soli fini della partecipazione
all’udienza di discussione.

7. Il PG non rassegnava conclusioni scritte.

 

Considerato che

 

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo i ricorrenti denunziano la
violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cc,
anche con riferimento all’art.
5 della legge n. 628 del 1961, ai sensi dell’art.
360 n. 3 cpc, per non avere la Corte territoriale riconosciuto l’efficacia
riflessa del giudicato esterno, rappresentato dalla sentenza di appello n.
845/09 che aveva escluso la sussistenza di un rapporto di lavoro di natura
subordinata per tutte le posizioni lavorative oggetto anche del presente
procedimento, non applicando correttamente i principi espressi in sede di
legittimità in una fattispecie sovrapponibile (Cass. n. 26927/2008) e non
considerando che i verbali di ispezione in materia di previdenza ed assistenza
obbligatoria devono produrre i propri effetti, in relazione ad ogni conseguenza
che possa derivare dai verbali stessi, nei confronti di tutti i soggetti che
avevano concorso alla sua redazione, non essendo concepibile che un atto
potesse essere contemporaneamente fondato ed infondato rispetto ad alcuno
soltanto dei soggetti che lo avevano congiuntamente redatto e che non poteva
essere consentita una disparità di esito nei confronti di diversi organi
pubblici.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e
falsa applicazione dell’art. 2
della legge n. 241 del 1990, ai sensi dell’art.
360 n. 3 cpc, per avere erroneamente ritenuto la Corte di merito che la
suddetta norma non si applicava al procedimento di cui alla legge n. 689/1981, quando invece la mancanza di
una previsione di un termine per irrogare la sanzione amministrativa
nell’ambito della legge n. 689/1981, da un
lato, e la valenza generale del principio di cui al citato articolo 2,
dall’altro, incidente sui modi e tempi di esercizio dei poteri sanzionatori,
avrebbero dovuto indurre all’applicazione del termine di gg. 30 anche alla
fattispecie in esame.

4. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la
violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 cc
e 409 cpc, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, per non avere i giudici di
secondo grado valutato le risultanze istruttorie per dedurre dagli elementi
indiziari la prova della sottoposizione dei lavoratori al potere gerarchico,
direttivo e disciplinare del datore di lavoro e per avere sostituito la nozione
legale di eterodirezione con quella di etero- organizzazione, ritenendo
sufficiente quest’ultima non a provare presuntivamente ma a sostanziare la
subordinazione, e valorizzando , più che la sussistenza del potere direttivo e
gerarchico, l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale con
mansioni elementari. In linea subordinata, evidenziavano che i criteri
applicati nella sentenza impugnata erano illegittimi quanto meno per la
posizione della D.S. per la quale l’elementarietà non era stata nemmeno
affermata e, comunque, pacificamente non era risultata esistente.

5. Con il quarto motivo si deduce la violazione e
falsa applicazione dell’art. 2094 cc e dell’art. 2697 cc, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, perché, con riferimento alle
posizioni di C., C., M. e S.B. alle pulizie delle camere), C., F., L., S. e Z.
(camerieri di sala) e M., era stata ritenuta fondata la sussistenza di un
rapporto di lavoro subordinato, perché svolgevano lo stesso tipo di mansioni di
altri lavoratori, pur dando atto che non era stato possibile effettuare alcuno
specifico accertamento.

6. Con il quinto motivo i ricorrenti si dolgono
della violazione e falsa applicazione dell’art. 115
cpc, anche con riferimento all’art. 22 della legge n. 689 del
1981, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, per
avere erroneamente la Corte territoriale accolto l’appello incidentale relativamente
alle posizioni di D., G., D.F., C., M., senza porre a fondamento della sua
decisione la realtà obiettivamente accertata, bensì il principio di non
contestazione relativamente, però, all’accertamento della fattispecie di fatto
e non per la valutazione delle prove.

7. Il primo motivo non è fondato.

8. Il Collegio è consapevole dell’orientamento di
cui alla citata sentenza di questa Corte (n. 26927 del 2008), tuttavia il
suddetto orientamento può dirsi superato dalla più recente pronuncia (Cass. n.
23045 del 2018) le cui argomentazioni appaiono più condivisibili.

9. In particolare, in tale ultima decisione si è
affermato che, in promo luogo, il potere di applicare sanzioni amministrative
ha quali fatti costitutivi le circostanze indicate dalle norme che le prevedono
e non il verbale di accertamento, che è solo elemento di prova di esse.

10. Sul punto l’art. 10, co. 5 del D.lgs. n. 124 del
2004 è chiaro nel riconoscere che i «verbali di accertamento redatti dal
personale ispettivo sono fonti di prova (…) per l’adozione di eventuali
provvedimenti sanzionatori, amministrativi e civili», sicché sono i fatti
attraverso essi dimostrati e non i verbali in quanto atti a fondare le pretese
della pubblica amministrazione esercitate su tale base.

11. Il dubbio dei ricorrenti, pertanto, che in
relazione ai redattori di uno stesso verbale, l’esito del provvedimento
giurisdizionale possa essere diverso, non è un argomento logico-giuridico
dirimente attesa la natura dei verbali come sopra indicati e la decisività,
invece, della dimostrazione sulla fondatezza della pretesa
sanzionatorio-creditoria che si pone su di un piano successivo attinente al
rapporto e non all’atto.

12. In secondo luogo, è stato precisato che proprio
la natura di fonte di prova del verbale, non determinata tra verbale pretesa
creditoria del singolo Ente impositore, alcun nesso di
pregiudizialità-dipendenza, ricorrendo, invece, soltanto una mera comunanza di
fatti costitutivi dell’uno o dell’altro rapporto e, dunque, una forma di
parziale connessione oggettiva tra controversie.

13. Tale connessione oggettiva non è, però,
sufficiente, in mancanza di una disciplina espressa in senso contrario, a
determinare l’estensione del giudicato dell’uno all’altro soggetto (nel caso di
specie dall’INPS alla Direzione Territoriale del lavoro) stante l’autonomia dei
crediti e pena la violazione, altrimenti dell’art.
2909 cc.

14. In definitiva, quindi, va ribadito il principio
in virtù del quale l’efficacia riflessa del giudicato nei confronti di terzi
rimasti estranei al processo presuppone che tali soggetti non siano titolar di
un rapporto autonomo rispetto a quello su cui è intervenuto il giudicato,
mentre tra potestà accertativa dell’ispettorato del lavoro e diritti ed
obblighi inerenti un rapporto di lavoro subordinato sussiste un reciproco
rapporto di autonomia, che fa qualificare come res inter alios acta, rispetto a
ciascuna delle due posizioni, il giudicato intervenuto nel giudizio inerente
all’altro rapporto (Cass. 20.1.2004 n. 849; Cass. SS. UU. 12.3.2008 n. 6523; Cass n. 23045
del 2018).

15. Il secondo motivo è parimenti infondato.

16. Questa Corte ha specificato che il termine di
durata del procedimento ai sensi dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990
non si applica alla procedura ex lege n. 689 del
1981, né ciò rende illegittimo costituzionalmente l’art. 18 della citata legge n. 689
per contrasto on gli artt. 3, 97 e 111
co. 2 Cost.in quanto,
dovendo intervenire, dopo il verbale di accertamento, sempre una ordinanza di
ingiunzione (ovvero un provvedimento di archiviazione) i vizi di essa e del
procedimento possono essere fatti valere liberamente con l’opposizione ex art. 22 della legge n. 689 del
1981, rinvenendosi in tale sede piena tutela senza alcuna sottrazione al
giudice naturale, onde non è ravvisabile alcuna compressione né dei principi di
uguaglianza e di buon andamento e imparzialità della PA né del principio di
ragionevole durata del processo facendo quest’ultimo chiaro riferimento
all’esercizio della funzione giurisdizionale (cfr. Cass. 21.12.2011 n. 28045).

17. Il terzo ed il quarto motivo, da trattarsi
congiuntamente per connessione logico-giuridica, sono in parte infondati e in
parte inammissibili.

18. In ordine alle asserite violazioni degli artt. 2094 cc e 409
cpc deve osservarsi che, in sede di legittimità, è stato affermato che ogni
attività umana può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di
lavoro autonomo e che l’elemento tipico che contraddistingue il primo dei
suddetti tipi di rapporto è costituito dalla subordinazione, intesa quale
disponibilità del prestatore nei confronti del datore, con assoggettamento del
prestatore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di
lavoro, ed al conseguente inserimento del lavoratore nella organizzazione
aziendale con prestazione delle sole energie lavorative corrispondenti
all’attività di impresa (ex plurimis Cass. n. 9251/2010; Cass. n. 13858/2009).

19. E’ stato, però, precisato, in tali pronunce che
l’esistenza del vincolo va concretamente apprezzata con riguardo alla
specificità dell’incarico conferito; d’altronde, proprio in relazione alle
difficoltà che non di rado si incontrano nella distinzione tra rapporto di
lavoro autonomo e subordinato alla luce dei principi fondamentali ora indicati,
si è asserito che in tali ipotesi è legittimo ricorrere a criteri distintivi
sussidiari, quali la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale
ovvero l’incidenza del rischi economico, l’osservanza di un orario, la forma
della retribuzione, la continuità delle prestazioni, etc. E’ stata di
conseguenza enucleata la regula iuris -che in questa sede va ribadita – secondo
la quale, nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente
elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione (Cass. n. 23846 del 2017), oppure, all’opposto,
nel caso di prestazioni lavorative dotate di notevole elevatezza e di contenuto
intellettuale e creativo, al fine della distinzione tra rapporto di lavoro
autonomo e subordinato, il criterio rappresentato dall’assoggettamento del
prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare può
non risultare, in quel particolare contesto, significativo per la
qualificazione del rapporto di lavoro, ed occorre allora fare ricorso a criteri
distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le
modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario di lavoro,
la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche con
riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti) e la
sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore.

20. A tali principi la Corte di merito si è attenuta
in quanto, sulla premessa della ripetitività delle mansioni, una volta ricevute
le istruzioni iniziali e precisato che non erano state richieste ulteriori
direttive e controlli, è stato dato rilievo alle risultanze istruttorie da cui
emergeva la presenza di un orario fisso, l’utilizzo di una divisa e di
strumenti di lavoro forniti dall’impresa, un compenso fisso non commisurato
alla quantità e qualità del lavoro.

21. E’ da escludersi, poi, sempre sotto il profilo
delle denunciate violazioni di legge, la dedotta violazione del precetto di cui
all’art. 2697 cc che si configura soltanto
nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una
parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella
norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle
acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte
onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un
erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di
legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360
n. 5 cpc (Cass n. 19064 del 2006; Cass. n. 2935 del 2006).

22. Sotto questo profilo, pertanto, devono ritenersi
inammissibili le censure relative agli accertamenti in fatto, da parte dei
giudici di seconde cure, riguardanti in particolare, da un lato, la D.S. (o
D.S. come riportato nel motivo dai ricorrenti che però non hanno dimostrato che
si trattasse di un soggetto diverso da quello esaminato nella gravata sentenza)
per la quale, oltre alla natura elementare e ripetitiva delle prestazioni
svolte, è stato evidenziato che la stessa doveva appunto osservare un orario di
lavoro determinato fissato dal suo direttore, che eventuali ore di
straordinario dovessero essere recuperate, che gli strumenti di lavoro erano
forniti dal datore di lavoro e che l’ufficio amministrativo la gestiva come
dipendente per quanto riguardava le assenze, le malattie e le buste paga e,
dall’altro, gli altri lavoratori indicati nel terzo motivo (addetti alle
pulizie della camere, ai camerieri di sala e tale M.) per i quali è stata
ritenuta la sussistenza degli elementi sussidiari del rapporto di lavoro
subordinato riferibili a tutti gli addetti alle mansioni in questione.

23. E’ opportuno ribadire che la qualificazione
giuridica del rapporto di lavoro effettuata dal giudice di merito è censurabile
in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri
normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto,
mentre l’accertamento degli elementi, che rivelano l’effettiva presenza del
parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze
processuali e che sono idonei a ricondurre le prestazioni ad uno dei modelli,
costituisce apprezzamento di fatto che, se immune da vizi giuridici e
adeguatamente motivato, resta insindacabile in cassazione (Cass. n. 16681 del
2007).

24. Il quinto motivo è, infine, anche esso non
meritevole di accoglimento.

25. In primo luogo, va precisato che la violazione
dell’art. 115 cpc sussiste solo se il giudice
abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma
disposte di sua iniziativa fuor dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche
quando il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia
attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre,
essendo tale attività consentita dall’art. 116 cpc
(Cass. n. 26769 del 2018; Cass. n. 1229 del 2019).

26. In secondo luogo, deve sottolinearsi che,
relativamente ai lavoratori menzionati nel motivo, la Corte territoriale -ai
fini di individuare la natura del rapporto lavorativo – non si è avvalsa del
principio di non contestazione, ma della prova presuntiva ritenendo la
sussistenza di requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla
legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione (Cass. n.
10958 del 2015; Cass. n. 16728 del 2006).

27. Con un accertamento di merito, immune da errori
di diritto, congruo al punto di vista logico e rispettoso dei principi che
regolano la prova per presunzioni, i giudici di seconde cure hanno, infatti,
ritenuto la sussistenza di un rapporto di lavoro di natura subordinata
considerando i periodi lavorativi indicati nell’ordinanza- ingiunzione, le
mansioni svolte, la natura dei contratti lavorativi (per es. stagionali per il
D.F.), sottolineando che ciò che era stato contestato non era la prestazione
lavorativa ma la qualificazione del rapporto e, quindi, deducendo, attraverso
un procedimento logico adeguatamente motivato, che era riconoscibile appunto un
rapporto di lavoro subordinato.

28. Alcuna violazione di legge è, pertanto,
ravvisabile nei termini in cui è stata dedotta con il motivo.

29. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve,
pertanto, essere rigettato.

30. Nulla va disposto in ordine alle spese di lite,
non avendo l’intimato, oltre al deposito della procura difensiva ai soli fini
della partecipazione all’udienza di discussione, svolto ulteriore attività
difensiva.

31. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti
processuali, sempre come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 giugno 2020, n. 11539
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