Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 giugno 2020, n. 11543

Rapporto di lavoro, Giornalista, Superiore inquadramento,
Differenze retributive e previdenziali

 

Fatti di causa

 

1. R.P., dipendente della Regione Sicilia, ha agito
nei confronti della medesima esponendo di essere iscritto dal 1992 all’Ordine
dei Giornalisti, elenco pubblicisti e di avere svolto, sempre dal 1992,
attività di addetto stampa presso vari Assessorati.

Egli ha quindi chiesto, con ricorso dell’agosto
2006, l’accertamento del diritto ad essere reinquadrato all’interno
dell’Ufficio Stampa della Regione, con qualifica di redattore capo e condanna
della controparte al pagamento delle connesse differenze retributive e
previdenziali, oltre al risarcimento del danno per i comportamenti tenuti
dall’Amministrazione.

Nel giudizio, instaurato nei riguardi anche della
Cassa autonoma di assistenza integrativa dei giornalisti italiani (C.) e
dell’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani (INPGI), si
costituiva quest’ultimo Istituto, formulando domanda nei confronti della
Regione per il pagamento in proprio favore dei contributi obbligatori.

2. La Corte d’Appello di Palermo, confermando la
sentenza del Tribunale della stessa città, ha rigettato tali domande.

La Corte territoriale riteneva infondato l’assunto
secondo cui la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 127, co. 2, L.R. 2/2002
(norma in forza della quale, in sede di prima applicazione delle nuove regole,
ai giornalisti componenti degli uffici stampa presso gli enti locali era da
applicarsi il trattamento di redattore capo, in applicazione del C.C.N.L.
giornalistico, poi dichiarata illegittima da Corte
Cost. 189/2007 per contrasto con la L.
150/2000, che prevedeva la regolamentazione dei rapporti di lavoro presso
gli uffici stampa della P.A. sulla base di specifica contrattazione collettiva
di diritto pubblico) sarebbe stata da riferire soltanto agli “enti
locali” e non alla Regione e ciò sul presupposto, asserito dal ricorrente,
secondo cui la legislazione regionale sarebbe stata valutata dalla Consulta con
riferimento alla potestà normativa di cui all’art. 14 lett. “o” dello
Statuto Regionale (inerente gli enti locali) e non quella di cui alla lettera
“q” (inerente l’ordinamento del personale della Regione).

Secondo la Corte d’Appello nulla avrebbe potuto far
ritenere che la declaratoria di illegittimità costituzionale non riguardasse la
normativa anche in quanto applicabile alla Regione, stante il fatto che la
norma espunta dall’ordinamento, facendo riferimento agli enti di cui all’art. 1
L.R. 10/1991, ricomprendeva al proprio interno anch’essa.

La Corte riteneva altresì infondato l’assunto
secondo cui ai giornalisti avrebbe comunque dovuto applicarsi la contrattazione
collettiva regionale di cui all’art.
127, co. 1, della L.R. 2/2002, destinata a regolamentare i profili e gli
inquadramenti contrattuali presso gli enti controllati dalla Regione, in quanto
la declaratoria di illegittimità del secondo comma avrebbe trascinato con sé
anche la contrattazione collettiva stipulata ai sensi del primo comma.

Inoltre, la Corte affermava che il ricorrente
sarebbe stato onerato della prova di un suo «organico inserimento quale
componente di un ufficio stampa già esistente e costituito presso
l’amministrazione regionale»-, prova che a dire della Corte non sussisteva, non
apparendo adeguata a tal fine la «durevole attività di giornalista curata nel
tempo», trattandosi di mansioni rispetto alle quali non era stato allegato
«l’indefettibile parametro contrattuale» e che dovevano pertanto «intendersi
adempiute nel contesto di una sorta di distacco funzionale» che non aveva
«comportato alcuna variazione della posizione di ruolo e del profilo
professionale di appartenenza».

E’ stata poi respinta anche la domanda dell’INPGI di
pagamento dei contributi affermandosi che, una volta disconosciuto il diritto
del lavoratore all’inquadramento nella categoria professionale dei giornalisti,
non potrebbe riconoscersi alcun il diritto dell’ente previdenziale alla
riscossione di essi.

3. L’INPGI ha proposto ricorso principale avverso la
predetta sentenza con due motivi, cui, nel contesto di un controricorso
sostanzialmente adesivo alle tesi dell’istituto di previdenza, si sono aggiunti
motivi di ricorso incidentale del  P.

La Regione Sicilia e C. sono rimaste intimate.

La causa è stata dapprima avviata a trattazione
camerale, per la quale INPGI ed il  P.
hanno depositato memorie illustrative.

Alla luce del rilievo delle questioni dibattute, si
disponeva la rimessione a pubblica udienza, in cui, udite le conclusioni del
Pubblico Ministero, le parti costituite procedevano a discussione orale.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo l’INPGI afferma, ai sensi
dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 9, co. 5, L. 150/2000 e
l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata.

L’istituto di previdenza, sul presupposto che chi
svolge attività giornalistica debba essere obbligatoriamente iscritto alla
gestione sostitutiva INPGI, anche per l’ormai generalizzata previsione di cui
all’art. 76 L. 388/2000,
rimarcava come Corte Costituzionale 14 giugno
2007, n. 189 avesse dichiarato illegittime le norme della Regione Sicilia
che avevano previsto l’applicazione ex lege di profili demandati dalla
prevalente disciplina statale alla contrattazione collettiva, ma non aveva
espunto dall’ordinamento la contrattazione collettiva, sicché, in particolare,
non poteva disattendersi il contratto collettivo regionale del 24 ottobre 2007,
il quale prendeva le mosse proprio dalla L. 150/2000, ovverosia dalla normativa
statale di riferimento per gli uffici stampa delle Pubbliche Amministrazioni.

Con il secondo motivo INPGI sostiene che vi sarebbe
stata violazione (art. 360 n. 3 c.p.c.)
dell’art. 1 del proprio Statuto, dell’art. 1 del proprio Regolamento di
previdenza, dell’art. 26 L.
67/1987, dell’art. 38 L.
416/1981, come modificato dall’art.
76 L. 388/2000 e ciò per la ricorrenza di tutti i presupposti, oggettivi e
soggettivi, propri dell’iscrizione all’Istituto, i quali avrebbero rilievo, a
dire dell’Istituto, indipendentemente dal contratto applicato e
dall’inquadramento conferito dal datore di lavoro.

2. Il ricorso incidentale del  P. assume la violazione e falsa applicazione
e interpretazione dell’art. 14, lett. q dello Statuto regionale siciliano, in
combinato disposto con l’art. 10
L.R. Sicilia 10/2000, nonché la violazione dell’art. 2 del d. Igs. 267/2000,
dell’art. 10 L. 150/2000,
degli artt. 12 e 15
delle preleggi (primo motivo), nonché infine dell’art. 127, co. 2 L. Regione Sicilia
2/2002 e 72 L.R. Sicilia 41/1985, in combinato disposto con il Contratto
Collettivo per l’individuazione e la regolamentazione dei profili professionali
negli uffici stampa di cui all’art. 58 L.R. Sicilia 33/1996 ed ancora degli artt. 12 e 15 delle
preleggi, oltre all’omesso esame (art. 360 n. 5
c.p.c.) di fatti essenziali (secondo motivo).

Secondo il ricorrente incidentale (primo motivo) l’art. 127, co. 2, L.R. 2/2002
resisterebbe, quanto al personale degli uffici stampa della Regione, alla
declaratoria di illegittimità di cui a Corte Cost.
14 giugno 2007, n. 189, non a caso delimitata nella propria statuizione
alla normativa inerente gli enti locali, categoria cui non apparteneva la
Regione ed il tutto in coerenza con il fatto che il contrasto era stato
rilevato rispetto a materie rientranti nella previsione dell’art. 14 lett.
“o” dello Statuto (ordinamento enti locali) e non per quelle di cui
all’art. 14 lett. “q” (organizzazione uffici dell’Amministrazione
Regionale ed i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze della Regione e
degli enti pubblici non economici sottoposti a vigilanza della stessa).

Inoltre (secondo motivo), il P. sottolinea come la
menzionata contrattazione collettiva del 2007, dando attuazione alla normativa
regionale che non era stata interessata dalla declaratoria di illegittimità
costituzionale, doveva essere ritenuta idonea a regolare la fattispecie.

Con il terzo e riconnesso motivo il ricorrente
incidentale sostiene l’omessa ed errata valutazione di prove documentali e
testimoniali prodotte ed escusse in giudizio (art.
360 n.5 c.p.c.) e violazione dell’art. 115
c.p.c., per non essersi correttamente valutata l’esistenza di un ufficio
stampa, così come lo svolgimento da parte sua delle corrispondenti attività
informative, richiamandosi altresì il disposto dell’art. 127, co. 6, L.R. 2/2002
con il quale si era disposto il mantenimento al personale che le svolgeva degli
incarichi informativi pregressi.

Infine (quarto motivo) il  P. afferma l’erroneità della sentenza
impugnata, sostenendo che essa avrebbe ritenuto insussistente la responsabilità
risarcitoria dell’Amministrazione, la quale aveva invece a suo dire agito
consapevolmente in palese violazione del dettato normativo, negandogli
l’inquadramento economico e giuridico previsto dalla normativa di regolazione
della fattispecie e determinando a suo carico pregiudizi, tra l’altro, anche
sul piano esistenziale.

3. La decisione sui motivi di ricorso (principale e
incidentale), da sviluppare congiuntamente stante la stretta connessione
esistente tra le diverse censure addotte, presuppone la ricostruzione del
complesso sistema normativo entro cui la controversia si inserisce.

L’Ufficio Stampa è, per nozione di comune evidenza,
destinato a fungere da tramite di notizie relative adoperare della P.A. e verso
la generalità del pubblico.

Esso si pone dunque al centro di un delicato snodo
ordinamentale, tra l’esigenza di attività informativa rispetto all’operare
della P.A. e la garanzia di riservatezza che parimenti caratterizza l’attività
interna, tale da impedire che la trasparenza sia ragione di indiscriminata
divulgazione di qualsiasi possibile notizia del formarsi dell’azione
amministrativa.

Trasparenza e riservatezza che, nel loro concorrere,
sono entrambe espressione del principio di buon andamento, in un equilibrio che
la legge, nazionale o regionale, è chiamata a comporre, in attuazione del
principio di legalità che parimenti deriva dal comune formante costituzionale (art. 97 Cost.).

Il tema coinvolge due aspetti, concernenti, l’uno,
le modalità di inserimento dell’Ufficio Stampa nell’ambito dell’organizzazione
amministrativa e, l’altro, consequenziale e connesso, la natura dell’attività
professionale svolta da chi sia addetto al medesimo.

4. Iniziando dai tratti organizzativi, è indubbio
che ci si trovi di fronte ad un ufficio che, per quanto speciale, si inserisce
nell’ambito dell’organizzazione della P.A., sia dal punto di vista strutturale,
sia sotto il profilo gerarchico e ciò non solo sulla base della disciplina
generale di cui alla L. 150/2000, ma anche
secondo la previgente e meno articolata legislazione regionale siciliana.

4.1 Già la L.R. Sicilia 7/1971 (art. 82) nel
prevedere la costituzione di “uffici stampa” ne demandava
organizzazione e regolamentazione ad un’apposita successiva legge di
«organizzazione e regolamentazione».

La L.R. Sicilia 79/1976 (art. 10), istituendo
l’Ufficio Stampa presso la Presidenza della Regione, ne aveva previsto le
dimensioni (non oltre tre giornalisti professionisti) e scarne disposizioni
strutturali (preposizione di un caposervizio che ne coordina l’attività),
contrattuali (applicazione del C.C.N.L. di lavoro dei giornalisti: art. 11, co.
1) e previdenziali (applicazione della previdenza ed assistenza dei
giornalisti: art. 11, co. 2), poi implementate con la espressa sottoposizione
(art. 36 L.R. 145/1980) dell’Ufficio «alle dirette dipendenze» del Presidente
della Regione.

La L.R. Sicilia 41/1985 all’art. 72,
nell’incrementare dapprima a 4 il numero dei componenti dell’Ufficio Stampa
regionale e nel confermare ad essi il trattamento economico del redattore capo,
ha dunque previsto la possibilità di utilizzo dei componenti presso gli
assessorati regionali.

La pur scarna disciplina regionale preesistente è
dunque chiara nel prevedere la necessità di istituzione di un apposito Ufficio
Stampa, costituito da giornalisti iscritti all’albo e con a capo un
coordinatore.

Ma pur sempre un ufficio «alle dirette dipendenze
del Presidente della Regione», con relazione funzionale in cui si esprime,
secondo linee poi riprese in via generale anche dalla L. 150/2000, il coordinamento tra notizie
divulgatali e riservatezza di cui si è detto.

Ancor più a fondo le esigenze sopra menzionate
trovano poi sviluppo nella sopravvenuta legislazione nazionale.

4.2 L’art.
9 della L. 150/2000, nell’introdurre una disciplina organica degli uffici
stampa delle Pubbliche Amministrazioni prevede in particolare che:

– gli Uffici Stampa, come gli altri uffici di
informazione e comunicazione, siano appositamente istituiti, quali «strutture»
definite nell’ambito dell’ordinamento degli uffici e del personale (art. 6, co. 2, prima parte), con
rinvio (art. 6, co. 1) all’art. 12 d. Igs. 29/1993 e,
attraverso esso, all’art. 31 del
medesimo d. Igs. e quindi alla definizione di tale ufficio in pianta
organica;

– i predetti uffici siano costituiti da personale
necessariamente iscritto all’albo nazionale dei giornalisti (art. 9, co. 2, primo inciso);

– il personale addetto sia (art. 9 co. 2, in prosieguo)
dipendente della P.A., anche in posizione di comando o fuori ruolo (con
provenienza quindi da altra Amministrazione), come anche è ammesso il ricorso a
personale estraneo sulla base di «incarichi individuali» ad «esperti di provata
competenza» e con determinazione preventiva di «durata, luogo, oggetto e
compenso della collaborazione» (art.
7, co. 6 d. Igs. 29/1993, ora art. 7, co. 6, d. Igs. 165/2001);

– l’ufficio sia diretto da un coordinatore, con
qualifica di capo ufficio stampa, il quale «sulla base delle direttive
impartite dall’organo di vertice dell’amministrazione» cura i collegamenti con
gli organi di informazione, assicurando «il maggior grado di trasparenza,
chiarezza e tempestività delle comunicazioni da fornire» (comma 3);

– il divieto per gli addetti all’ufficio di
esercitare, per tutta la durata dell’incarico, attività professionali nel
settore del giornalismo, della stampa e delle relazioni pubbliche, salvo
deroghe previste dalla speciale contrattazione collettiva di cui infra (comma
4);

– i profili professionali degli addetti all’ufficio
stampa sono affidati, per la loro «individuazione» e «regolamentazione» ad una
«speciale area di contrattazione collettiva» da svolgere «con l’intervento
delle organizzazioni rappresentative della categoria dei giornalisti» (comma
5).

Il fulcro della normativa si incentra quindi nella
previsione del collegamento con l’esterno come facente capo ad una specifica
figura (il coordinatore o capo ufficio stampa), a sua volta vincolata
all’osservanza delle direttive da impartirsi a cura del vertice stesso della
P.A. interessata, profili attorno ai quali ruota appunto l’equilibrio fra
trasparenza e riservatezza alla cui regolazione le norme sono destinate.

Ciò con un nesso gerarchico destinato
inevitabilmente ad influire sull’intera caratterizzazione dell’ufficio e degli
addetti ad esso.

Non a caso la L.
150/2000 rimanda ad un’apposita contrattazione collettiva la definizione di
specifici profili professionali, destinati ad essere elaborati in coerenza con
la tipologia di prestazioni e con l’inserimento di esse, nei termini sopra
detti, all’interno di una Pubblica Amministrazione.

4.3. Riepilogando, dall’insieme delle discipline
sopra esaminate si delineano alcune caratteristiche dell’ordinamento degli
Uffici Stampa presso la P.A., consistenti: nel riferirsi di tale Ufficio ad una
specifica articolazione organizzativa degli enti pubblici, da istituire
espressamente e specificamente in pianta organica; nell’adibizione ai predetti
Uffici, a soddisfazione dei posti in pianta organica così destinati, di
personale con una pregressa professionalità (iscrizione all’albo dei
giornalisti) al fine dello svolgimento di attività da riportare a profili
professionali specifici, propri dell’attività richiesta ed ora da definirsi in
sede di contrattazione collettiva secondo le regole del pubblico impiego
privatizzato; nell’inserirsi dell’attività in una linea gerarchica interna agli
enti, attraverso la mediazione di un coordinatore-capo ufficio stampa.

Il complesso coordinamento di interessi che, come si
è detto, la legge è chiamata a realizzare, si attua dunque attraverso regole
rigorose che identificano l’Ufficio Stampa come organizzazione a sé stante, da
prevedere in pianta organica sulla base di atti c.d. di macroorganizzazione, in
cui inserire personale munito di uno speciale inquadramento, con profili
professionali parimenti speciali e non attraverso estemporanee o indiscriminate
attribuzioni di funzioni informative, assunte in forza di provvedimenti
singolari comunque denominati, ma appartenenti alla sfera della c.d.
microorganizzazione interna di un qualsivoglia ufficio della P.A.

5. Ciò pone le basi per meglio apprezzare anche il tema
della natura dell’attività professionale svolta in ambito di uffici stampa.

L’inserimento organico nell’ambito della P.A. e la
espressa sottoposizione a direttive (propria dell’art. 9 cit., ma già anche della
legislazione regionale, come si è visto) esprimono infatti caratteristiche
autonome rispetto alla figura del giornalista di cui alla L. 69/1963, caratterizzata dal «diritto
insopprimibile» ad una piena «libertà di informazione e di critica» (art. 2), che invece può
soffrire limitazioni in ragione delle direttive, nell’interesse della
riservatezza dell’Amministrazione, cui soggiace l’attività dell’Ufficio Stampa.

Non diversamente è improponibile l’applicazione
all’addetto all’ufficio stampa pubblico, della disciplina in ordine all’obbligo
di assicurare il «segreto professionale sulla fonte delle notizie» in ragione
di un ipotetico «carattere fiduciario di esse», per la semplice ragione che
l’Ufficio Stampa non può operare ricercando notizie all’interno
dell’Amministrazione che non sia legittimato a trattare sulla base delle
direttive di cui sopra.

Così come è difficilmente declinabile per il
giornalista pubblico l’obbligo di «promuovere lo spirito di collaborazione tra
col leghi, la cooperazione fra giornalisti», di cui all’art. 2 cit. ultima parte.

In sostanza mancano, nell’addetto all’ufficio stampa
pubblico, quei tratti di spiccata autonomia (Cass. 16 gennaio 1993, n. 536)
anche nell’acquisizione delle conoscenze (Cass. 1
febbraio 2016 n. 1853; Cass. 29 agosto 2011 n.
17723; Cass. 22 novembre 2010, n. 23625) e nel diritto di critica che
caratterizzano la figura secondo la connotazione di essa elaborata in sede
giurisprudenziale.

La figura professionale delineata, la cui migliore
definizione, nel rispetto delle linee di fondo insite nella normativa primaria,
è ora rimessa alla contrattazione collettiva dedicata ivi parimenti prevista,
individua quindi una posizione di “addetto all’ufficio stampa
pubblico”, rispetto alla quale la necessaria iscrizione all’albo esprime
soltanto un requisito fondante di professionalità, ma non consente
l’assimilazione alla figura tradizionale del giornalista.

6. Venendo, su tali premesse, ai tratti
intertemporali, non può esservi dubbio che il personale già stabilmente
incardinato presso gli Uffici Stampa al 30.6.2000, secondo le regole
transitorie di cui all’art. 6, co.
2, L. 150/2000 e 127, co. 6,
L.R. 2/2002, dovesse proseguire nell’attività, sulla base di disciplina economica
(su cui v. anche il co. 5-bis, aggiunto dalla recentissima L. 160/2019 all’art. 9) e
previdenziale del rapporto che non mette conto qui approfondire, perché non
oggetto di causa.

Tuttavia, il P., nel contesto del terzo motivo,
fonda il proprio diritto sul disposto dell’art. 127, co. 6, cit., di cui
sottolinea la pertinenza rispetto al personale all’epoca non formalmente
inquadrato come appartenente ai ruoli dell’Ufficio Stampa.

Secondo tale norma, «in sede di predisposizione
degli appositi regolamenti, gli enti di cui all’articolo 1 della legge
regionale 30 aprile 1991, n. 10 confermano, in base alle disposizioni dell’articolo 6, comma 2, della legge 7
giugno 2000, n. 150, le funzioni di comunicazione e di informazione svolte
dal personale a qualsiasi titolo alla data del 30 giugno 2000. Il predetto
personale, di ruolo (o non di ruolo, inciso soppresso in esito ad impugnazione
del Commissario del Governo, n.d.r. frequenta appositi corsi di qualificazione
per la definitiva stabilizzazione della funzione ricoperta».

A propria volta, secondo l’art. 6, co. 2, ivi citato,
«ciascuna amministrazione definisce, nell’ambito del proprio ordinamento degli
uffici e del personale e nei limiti delle risorse disponibili, le strutture e i
servizi finalizzati alle attività di informazione e comunicazione e al loro
coordinamento, confermando, in sede di prima applicazione della presente legge,
le funzioni di comunicazione e di informazione al personale che già le svolge».

La norma regionale, nel testo quale definitivamente
promulgato in esito all’impugnativa del Commissario e dunque vgente senza
l’inciso sopra detto (Corte Costituzionale 1 febbraio 1983, n. 13), va dunque
intesa nel senso che il personale di ruolo della P.A., pur all’epoca non
inquadrato nell’Ufficio Stampa, ma addetto a funzioni informative, avrebbe potuto
essere stabilizzato in quest’ultima funzione, previo svolgimento di
“appositi” corsi, di cui nulla è detto nel ricorso che pure rivendica
il diritto scaturente da essi.

Pertanto, l’effetto di tale coordinato insieme di
disposizioni è soltanto quello di assicurare interinalmente la prosecuzione
delle mansioni in atto, mentre in quegli enti siciliani presso i quali già
esistevano Uffici Stampa con personale di ruolo ad essi specificamente
destinato, l’inserimento di altri addetti in quei ruoli, numericamente definiti
(v. l’art. 72 L.R. 41/1985 cit., con unità progressivamente portate da 4 a 8 e
infine a 24), necessitava del menzionato o di eventuale altro percorso
stabilizzante, della cui attuazione non vi è prova.

In sostanza, anche in tale fase transitoria il
regime dell’inquadramento, nell’insieme di legislazione nazionale e regionale
di riferimento, è rigoroso e nulla autorizza a ritenere che lo svolgimento di
fatto di mansioni informative a cavallo e dopo il 30.6.2000 giustifichi
l’inquadramento di diritto degli interessati presso gli Uffici Stampa.

Né si pongono, in questa causa, questioni di
esercizio di mansioni superiori o di parità di trattamento, che sollecitano
profili diversi, anche di prevalenza (Cass. 22 novembre 2019, n. 30580) o di
raffronto quali-quantitativo, sulla base dell’intera attività svolta dal
singolo interessato, del tutto estranei alla presente controversia.

6.1. Le norme relative agli Uffici Stampa della
Regione (ovverosia i citati artt. 82 L.R. 7/1971, 10 e 11 L.R. 79/1976, 36 L.R.
145/1980 e 72 L.R. 41/1985) sono state infine esplicitamente abrogate nella
loro interezza dall’art. 12 L.R.
16/2017, il quale ha anche previsto una corsia preferenziale per la
stabilizzazione, in misura del 50 % dei posti, a favore di quei soggetti, in
possesso dei richiesti requisiti, che abbiano prestato servizio all’Ufficio di
cui al presente articolo per almeno tre anni, anche non continuativi, negli
ultimi otto a far data dall’entrata in vigore della medesima legge.

Ma tale ultima possibilità, derivando da ius
superveniens rispetto alla pronuncia impugnata e non retroattivo, oltre che
attraverso l’introduzione di una fattispecie stabilizzante del tutto autonoma,
non rientra nell’ambito del presente giudizio (v. anche Cass., S.U., 27 ottobre
2016, n. 21691).

7. Su tali premesse possono quindi affrontarsi le
ulteriori questioni oggetto di causa.

7.1. Rispetto al versante lavoristico, la Corte
territoriale ha svolto un duplice accertamento in fatto, consistente nella
rilevazione dell’assenza di prova rispetto all’inserimento del ricorrente in un
“ufficio stampa” preesistente, riconoscendo poi lo svolgimento di
durevole attività giornalistica e concludendo però che, in assenza di elementi
che imponessero di argomentare diversamente, le predette prestazioni dovessero
intendersi svolte «in una sorta di distacco funzionale, che non ha comportato
alcuna variazione della posizione di ruolo e del profilo professionale di
appartenenza».

Vale a dire, alla luce di quanto sopra detto, che il
lavoratore, pur adibito a svolgere attività informativa propria dell’Ufficio
Stampa era da ritenere a ciò meramente distaccato (ovverosia addetto in una
forma non definitiva di destinazione, provenendo da altro settore della stessa
P.A.), mantenendo nel frattempo il regime giuridico ed i trattamenti propri del
persistente inquadramento formale.

Del resto, la stessa domanda del lavoratore di
ottenere la «novazione dell’inquadramento», con nomina quale componente di
esso, attesta che, al di là dell’attività di fatto svolta, quel particolare
inquadramento in pianta organica non vi era stato formalmente mai stato.

Si è però visto che anche lo svolgimento di attività
di tipo informativo, alla data del 30.6.2000 o successivamente, non determina
di per sé il sorgere del diritto all’inquadramento in quei ruoli, come
sostanzialmente ritenuto dalla Corte territoriale, allorquando essa ha
riportato l’attività svolta ad un mero “distacco funzionale”,
ovverosia allo svolgimento di mansioni proprie dell’Ufficio Stampa, pur senza
un formale inquadramento all’interno di esso.

Ne consegue altresì l’irrilevanza delle questioni
sollecitate rispetto alla contrattazione collettiva regionale del 2007 ed alla
propugnata applicabilità dell’art.
127, co. 1 o 2, L.R. Sicilia 2/2002, non influenti rispetto al ricorrente
perché formalmente inquadrato in ruoli diversi da quelli propri dell’Ufficio
Stampa.

7.2. Quanto ai profili previdenziali, si è già detto
come le professionalità interessate dalla disciplina dell’art. 9 L. 150/2000 e più in
particolare dalla partecipazione ad Uffici Stampa delle Pubbliche
Amministrazioni abbiano una loro autonomia rispetto alla nozione di giornalista
su cui si muovono le norme di disciplina della relativa specifica professione e
del conseguente regime contributivo.

Ne deriva che il mero svolgimento di fatto, pur se
protratto nel tempo, di quelle attività, non potrebbe comunque determinare,
poiché la legge non lo prevede, il sorgere di un diritto all’inquadramento
previdenziale dei lavoratori quali addetti di ruolo agli Uffici Stampa della
Pubblica Amministrazione presso i quali pur il ricorrente possa avere lavorato.

Non diversamente, così come l’ipotesi del comando (o
del fuori ruolo) da altra amministrazione (espressamente prevista dall’art. 9, co. 2, L. 150/2000) non
potrebbe comportare alterazioni nel rapporto c.d. organico (da ultimo, Cass. 29
maggio 2018, n. 13482) e quindi nei profili previdenziali, neppure può essere
l’esercizio di fatto di quelle attività, da parte di personale altrimenti
inquadrato presso la P.A., a determinare (in via di mera ipotesi, non dovendosi
qui stabilire quale sia il regime previdenziale del personale di ruolo degli
Uffici Stampa) una diversa iscrizione previdenziale rispetto a quella
ordinariamente propria dei dipendenti pubblici.

Pertanto, anche il ricorso dell’INPGI va disatteso.

8. E’ infine evidente che l’assenza di comportamenti
illegittimi, quanto all’inquadramento strettamente inteso, da parte della
Regione, manda in ogni caso assorbito il motivo attinente al risarcimento del
danno.

9. La comunanza delle posizioni espresse dall’INPGI
e dal P. giustifica tra loro l’integrale compensazione delle spese, mentre,
rispetto alle altre parti, nulla va disposto, essendo esse rimaste intimate.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale e quello incidentale.
Compensa le spese del giudizio.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 giugno 2020, n. 11543
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