Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 giugno 2020, n. 12032

Addebito disciplinare, Fruizione abusiva dei permessi
previsti dall’art. 33, co. 3,
della legge n. 104/92, lnsufficienza della prova, Relazione dell’agenzia
investigativa lacunosa

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza in data 26 luglio 2018, la Corte
d’Appello di Bologna, confermando la decisione resa in sede di opposizione dal
locale Tribunale, ha respinto il reclamo avverso l’ordinanza che aveva ritenuto
l’insufficienza della prova in ordine all’addebito disciplinare ascritto a G.D.
dalla P. S.p.A. inerente la fruizione abusiva dei permessi previsti dall’art. 33, co. 3, della legge n.
104/92; la Corte ha, quindi, confermato le tutele apprestate ai sensi del
novellato art. 18, comma 4, L.
n. 300/70, disponendo la reintegrazione nel posto di lavoro della
lavoratrice e la corresponsione di un’indennità risarcitoria pari a dodici
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

In particolare, il giudice di secondo grado, nel
reputare congrua la motivazione del Tribunale, ha ritenuto che la relazione
dell’agenzia investigativa da cui l’azienda aveva ‘ evinto che la lavoratrice
non aveva prestato effettiva assistenza alla madre disabile durante il periodo
di fruizione dei permessi, fornisse un quadro assolutamente lacunoso delle
attività svolte dalla D., talché non poteva reputarsi dimostrato che la
dipendente avesse svolto attività incompatibili con l’assistenza.

1.1. Avverso tale pronunzia propone ricorso la P.
S.p.A., affidandolo a quattro motivi.

1.2. Resiste, con controricorso, G.D..

 

Considerato in diritto

 

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la
violazione degli artt. 2697 cod. civ., 115 e 116 cod. proc.
civ., e 33 L. 104/92
in relazione all’art. 360, co. 1, nn. 3 e 5 cod.
proc. civ. per avere la Corte d’Appello ritenuto le risultanze
dell’investigazione, così come da essa accertate, prova inidonea, travisando,
altresì, le risultanze testimoniali inerenti il comportamento della D. durante
i permessi.

1.1. Con il secondo motivo si deduce ancora la
violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., e 33 L. 104/92 in relazione
all’art. 360, co. 1, n. 3 e 5 cod. proc. civ.
per aver la Corte d’Appello disatteso la prova costituita dalle ammissioni
della D. in ordine al comportamento tenuto durante i permessi, avendo la stessa
affermato di essere sempre rimasta “a disposizione della madre”.

1.2. Con il terzo motivo si deduce ancora la
violazione degli artt. 2697 cod. civ., 115 e 116 cod. proc.
civ., e 33 L. 104/92
in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 per
avere la Corte escluso che le risultanze d’investigazione, così come da essa
accertate, e le ammissioni, costituissero prova idonea ad invertire l’onere
della prova.

2. I tre motivi, tutti, peraltro, promiscuamente
articolati, da esaminarsi congiuntamente per l’intima connessione, non possono
trovare accoglimento.

2.1. Va premesso, con riguardo all’ancoramento delle
censure all’art. 360 co. 1, n. 5 cod. proc. civ.,
che non può prescindersi dalla previsione d’inammissibilità del ricorso per
cassazione, ai sensi dell’art. 348 ter, comma 5,
c.p.c., che esclude che possa essere impugnata ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. la sentenza di
appello “che conferma la decisione di primo grado”.

Relativamente, poi, alla denunziata violazione dell’art. 2697 cod. civ., va rilevato che, per
consolidata giurisprudenza di legittimità, (ex plurimis, Sez. III, n.
15107/2013) la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. è configurabile soltanto
nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una
parte diversa da quella che ne risulta onerata secondo le regole dettate da
quella norma e che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, gravando sulla
ricorrente la prova della legittima irrogazione della sanzione espulsiva in
ragione della infrazione perpetrata.

Per quanto concerne la dedotta lesione degli artt. 115 e 116 cod.
proc. civ., va ribadito che in tema di ricorso per cassazione una questione
di violazione e falsa applicazione degli artt. 115
e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea
valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma,
rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base
della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di
fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente
apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena
prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti,
invece, a valutazione (cfr., ex plurimis, Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960).

2.2. Va, poi, evidenziato che la ricorrente, pur
denunciando, apparentemente, una violazione di legge, chiede, in realtà, alla
Corte di pronunciarsi sulla valutazione di fatto compiuta dal giudice in ordine
alle prove offerte dalla società con riguardo alla sussistenza dell’infrazione
e le argomentazioni da essa sostenute si limitano a criticare sotto vari
profili la valutazione compiuta dalla Corte d’Appello, con doglianze intrise di
circostanze fattuali mediante un pervasivo rinvio ad attività asseritamente
compiute nelle fasi precedenti ed attinenti ad aspetti di mero fatto tentandosi
di portare di nuovo all’attenzione del giudice di legittimità una valutazione di
merito, inerente il contenuto dell’accertamento operato in sede investigativa e
ritenuto inadeguato da parte della Corte territoriale, e, cioè, l’indagine
concernente il compimento dell’infrazione da parte della lavoratrice nel non
attendere alla assistenza alla propria madre in relazione ai permessi
accordatile.

In particolare, in ordine alla deduzione secondo cui
le risultanze istruttorie avrebbero dovuto comportare un’inversione dell’onere
della prova che, quindi, avrebbe dovuto gravare sulla lavoratrice, va
sottolineato che la Corte fornisce, invece, congrua ed adeguata motivazione
circa la perdurante permanenza, in capo al datore di lavoro, dell’onus probandi
in ordine alla legittimità del licenziamento intimato, conformemente alla
regola generale ed alla consolidata giurisprudenza di legittimità in tema di
procedimento disciplinare.

Va poi evidenziato che, pur veicolandosi la censura
sotto il profilo dell’art. 360 co 1 n. 3 cod. proc.
civ., in realtà si mira ad ottenere una diversa valutazione degli
accadimenti, così come ricostruiti, e che la Corte, la quale si sofferma a
lungo sulla ricostruzione spazio – temporale delle attività compiute dalla
dipendente, ha reputato lacunosamente accertati dall’Agenzia investigativa,
onde condurre a ritenere sussistente la legittimità del licenziamento intimato.

In particolare, la Corte ha escluso che la
“pochezza” delle risultanze investigative potesse integrare un quadro
indiziario di una certa significatività nell’ambito di un ragionamento
presuntivo ex art. 2729 cod. civ. essendo
piuttosto emerso che la D. svolgeva una serie di attività a vantaggio
dell’anziana madre non implicanti necessariamente la permanenza presso
l’abitazione della stessa, alla luce delle risultanze istruttorie acquisite,
per la configurabilità delle deduzioni di parte reclamante in termini di mere
illazioni e congetture prive di riscontro, escludendo la ipotizzabilità di
qualsivoglia inversione dell’onere della prova.

La Corte ha anche valutato la vicenda alla luce
della giurisprudenza di legittimità in tema di sussistenza di uno stretto nesso
causale fra fruizione dei permessi ex lege 104
e assistenza atteso che in essa si fa sempre riferimento ad ipotesi, ritenute
difformi rispetto a quella di specie, in cui vi è sempre la prova diretta o
indiretta dell’assenza di assistenza e/o dello svolgimento da parte
dell’utilizzatore dei permessi di attività incompatibili con la prestazione
della stessa (Cfr. fra le più recenti, Cass. n. 19850 del 2019, ma, negli
stessi termini, Cass. n.4984/2014, Cass. n. 8784/2015; Cass.
n. 5574/2016, Cass. n. 5574/2016; Cass. n. 9217/2016, cui si possono aggiungere,
fra le altre, Cass. n. 17968/2016).

Questa Corte ha poi affermato, in tema di congedo
straordinario ex art. 42, comma 5,
del d.lgs. n. 151 del 2001, che l’assistenza che legittima il beneficio in
favore del lavoratore, pur non potendo intendersi esclusiva al punto da
impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati alle personali
esigenze di vita, deve comunque garantire al familiare disabile in situazione
di gravità di cui all’art. 3,
comma 3, della I. n. 104 del 1992 un intervento assistenziale di carattere
permanente, continuativo e globale (Cass. n.
19580/2019 cit.).

Nondimeno, essa ha precisato che soltanto ove venga
a mancare del tutto il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al
disabile, si è in presenza di un uso improprio o di un abuso del diritto ovvero
di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei
confronti del datore di lavoro che dell’ente assicurativo che genera la
responsabilità del dipendente (ancora Cass. n.
19580/2019 cit.).

La Corte, d’altro canto, nel dar conto della
giurisprudenza di legittimità che richiede che i permessi vengano fruiti in
coerenza con la loro funzione ed in presenza di un nesso causale con l’attività
di assistenza, ha fatto corretta applicazione delle regole di giudizio che
presiedono a tale ambito escludendo il difetto di buona fede ed il disvalore
sociale connesso all’abusivo esercizio del permesso atteso che, secondo il suo
giudizio, l’atteggiamento della lavoratrice non è stato quello di profittare
del permesso per attendere ad attività di proprio esclusivo interesse.

3. Va infine rimarcato che, premesso che attiene
alla violazione di legge la deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del
provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di
legge, implicando necessariamente una attività interpretativa della stessa,
nella specie, la piana lettura delle modalità di formulazione delle censure ed
il riferimento ad una diversa valutazione dei mezzi istruttori, di spettanza
esclusiva del giudice di merito, induce ad escludere, ictu oculi, la deduzione
di una erronea sussunzione nelle disposizioni normative mentovate della
fattispecie considerata, apparendo, invece, chiarissima l’istanza volta ad
ottenere una inammissibile rivalutazione del merito della vicenda.

4. Per quanto riguarda, poi, il quarto motivo di
ricorso, con cui si deduce la violazione degli artt.
2697 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, co. 1 n. 5 cod. proc. civ per aver la
Corte omesso di esaminare i tempi di svolgimento di attività incompatibili con
l’assistenza, oltre a ribadirsi l’inammissibilità della censura ex art. 348 ter, va rilevato che, comunque, si
tratta di una valutazione di fatto totalmente sottratta al sindacato di
legittimità, in quanto, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ.,
disposto dall’art. 54 co 1, lett.
b), del DL che ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello
o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di “omesso
esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti”, con la conseguenza che, al di i fuori
dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane
circoscritto alla V sola verifica della esistenza del requisito motivazionale
nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in
negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in
materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza
della motivazione quale requisito essenziale del o provvedimento
giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile
contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono
nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4),
c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del
prescritto requisito di validità ( fra le più recenti, Cass. n. 23940 del
2017).

4.1. D’altro canto, come chiarito dalla
giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. unite 7
aprile 2014, n. 8053) deve trattarsi di un fatto storico, principale o
secondario, decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra
le parti, non integrando di per sé l’omesso esame di elementi istruttori il
vizio di omesso esame quando il fatto storico, rilevante in causa, sia stato
comunque preso in considerazione dal giudice come è avvenuto nel caso di
specie, nel quale, anzi, la Corte ha esaminato, ampiamente e con motivazione
immune da vizi logici, tutti gli accadimenti temporali anche relativamente agli
intervalli di tempo di non espletamento materiale dell’assistenza;

5. Alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi,
il ricorso deve essere respinto.

5.1. Le spese seguono la soccombenza e vanno
liquidate come in dispositivo.

5.2. Sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1 -bis dell’articolo 13 comma 1
quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente
alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite,
che liquida in complessivi euro 5000,00 per compensi e 200,00 per esborsi,
oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1 – bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

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