Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 maggio 2020, n. 8954

Contributi da restituire al lavoratore all’atto della
liquidazione dell’indennità premio di servizio, Pagamento degli interessi e
della svalutazione monetaria, Transazione raggiunta tra le parti, Rinuncia al
pagamento della rivalutazione

 

Rilevato che

 

1. con sentenza del 12 maggio- 18 luglio 2017 numero
152 la Corte d’ Appello di Campobasso riformava la sentenza del Tribunale della
stessa sede e, per l’effetto, accoglieva l’opposizione proposta da M.F. avverso
il decreto ingiuntivo emesso su ricorso dell’INPDAP, (poi INPS) già datore di
lavoro del F., per la restituzione delle somme versate in esecuzione della
sentenza del TAR MOLISE 41/1997, nell’assunto dell’INPS non dovute a seguito della
riforma della sentenza da parte del Consiglio di Stato e della transazione
raggiunta tra le parti in data 23 febbraio 2001 .

2. La Corte territoriale evidenziava che il decreto
ingiuntivo opposto si fondava sulla determina dirigenziale del 23 febbraio 2001
nr. 18, che recepiva la transazione intervenuta tra le parti sulla base della
proposta dell’INPDAP di cui alla nota del 16.2.2001 nr. 649. Detta proposta,
come riconosciuto dal giudice di primo grado, riguardava solo la prima delle
due cause in corso tra le parti e non anche la seconda, definita con sentenza
del Tribunale di Campobasso nr. 531/2000.

3. Tuttavia il F. (ed altri ex dipendenti) aveva(no)
manifestato la volontà di accettare la proposta a condizione di definire anche
la seconda controversia ( decisa con la sentenza nr. 531/2000).

4. Contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale,
non si trattava di un ampliamento dell’oggetto della transazione ma di una
condizione sospensiva. Pertanto con la transazione i dipendenti avevano
rinunciato al pagamento della rivalutazione soltanto per la prima causa
(ricorsi dell’anno 1999).

5. La determina dirigenziale del 23 febbraio 2001
nr. 18 aveva erroneamente ampliato l’oggetto della transazione e doveva,
pertanto, essere disapplicata, con conseguente revoca del decreto opposto.

6. Restavano assorbite le ulteriori questioni, poste
anche in via riconvenzionale.

7. Non vi era alcuna esplicita univoca domanda di
accertamento di un minor credito.

8.Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’INPS,
articolato in tre motivi, cui ha opposto difese M.F. con controricorso.

9. La parte controricorrente ha depositato memoria.

 

Considerato che

 

1. In via preliminare deve essere disattesa la
eccezione di tardività del ricorso sollevata dal controricorrente, fondata
sull’assunto che la consegna dell’atto per la notifica sia avvenuta soltanto il
giorno 19 gennaio 2018, data della spedizione postale.

2. Si osserva al riguardo che la prova dell’
affidamento dell’atto all’ufficio UNEP di Roma l’ultimo giorno utile per la
impugnazione risulta dal timbro apposto dall’ufficio giudiziario. Nella relata
di notifica sottoscritta dall’ufficiale giudiziario è parimenti indicata come
data della richiesta di notifica il giorno 18 gennaio 2018.

3. Con il primo motivo l’Inps ha dedotto— ai sensi
dell’articolo 360 numero 3 codice di procedura
civile— violazione e falsa applicazione degli articoli
1362 e seguenti cod.civ. — anche in relazione all’articolo 2113 cod.civ. nonché degli articoli 5 e 63 D.Lgs 165/2001, in
relazione all’articolo 111 Cost, comma sette,
in correlazione con l’articolo 6
CEDU.

4. Ha premesso in fatto che tra le parti erano
intercorsi due giudizi.

5. Il primo, definito in senso favorevole al F. con
sentenza del TAR MOLISE nr . 41/97, aveva ad oggetto il pagamento degli
interessi e della svalutazione monetaria per il ritardato pagamento della cd.
eccedenza (articolo 6, co.5
D.Lgs. 479/1994) ovvero una parte dei contributi da restituire al
lavoratore all’atto della liquidazione della indennità premio di servizio (in
prosieguo: IPS). In esecuzione della sentenza del TAR l’INPDAP aveva
corrisposto al F. l’importo della svalutazione e degli interessi.
Successivamente il Consiglio di Stato aveva riformato la sentenza, dichiarando
il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e la causa era stata
riproposta dal F. davanti al giudice ordinario.

6. Il secondo giudizio riguardava, invece, il
ricalcolo della IPS, con la inclusione nella base di computo del compenso
incentivante, oltre accessori; la domanda del F. era stata accolta con sentenza
nr. 531/2000.

7. In tale quadro era intervenuta la transazione,
proposta dall’INPDAP, come ritenuto concordemente dai giudici di merito, solo
per il primo giudizio e non per il secondo (definito con sentenza nr.
531/2000).

8. Tanto premesso, l’INPS ha impugnato la sentenza
per aver ritenuto che con la loro risposta i lavoratori non avevano esteso la
transazione al secondo giudizio.

9. Ha riprodotto il testo della proposta, della
accettazione e della determina dirigenziale nr. 18/2001, deducendo che la
volontà del F. era nel senso di definire entrambe le vertenze giudiziali, con
la sua rinuncia alla rivalutazione .

10. Tale interpretazione trovava conferma nella
successiva nota (del 31 maggio 2007), nella quale, in relazione alla sentenza
nr. 531/2000, il lavoratore chiedeva il pagamento dei soli interessi legali e
non anche della rivalutazione.

11. Ha altresì dedotto che la determina nr. 18/2001
non costituiva un atto amministrativo— come ritenuto dal giudice dell’appello –
ma un atto datoriale di gestione del rapporto di lavoro.

12. Il motivo è inammissibile.

13. Invero l’INPS non indica le ragioni della
dedotta violazione degli articoli 1362 e segg.
cod.civ. ma sottopone a questa Corte in via diretta una diversa
interpretazione dell’atto con cui il F. accettava la proposta transattiva
dell’INPDAP; sollecita in tal modo una inammissibile revisione del merito
piuttosto che la verifica di un vizio di violazione di legge.

14. Con il secondo motivo l’INPS ha denunciato— ai
sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.—
violazione e falsa applicazione dell’articolo 653
cod.proc.civ. in relazione ai principi di cui all’articolo 111 Cost., comma sette, in correlazione
con l’articolo 6 CEDU.

15. Ha censurato la statuizione con la quale il
giudice dell’appello, revocato il decreto ingiuntivo, dava atto che non vi era
una «esplicita univoca domanda di accertamento di un minor credito».

16. Ha dedotto che costituisce oggetto del
procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo la domanda di condanna
formulata con il ricorso monitorio, domanda che comprende la condanna del
debitore al pagamento di un importo inferiore a quello ingiunto, previa revoca
dell’ingiunzione.

17. Il motivo è fondato.

18. Questa Corte in una vicenda analoga, relativa ad
altro dipendente INPDAP (Cassazione civile sez. VI 28 maggio 2019 nr. 14486),
ha già evidenziato che per pacifica giurisprudenza di questa Corte ( ex aliis:
Cass. 27/09/2013, n.22281, Cass. n. 20613/2011; n. 9021/2005) l’opposizione a
decreto ingiuntivo instaura un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il
giudice non deve limitarsi ad esaminare se l’ingiunzione sia stata
legittimamente emessa ma deve procedere ad un’autonoma valutazione di tutti gli
elementi offerti sia dal creditore, per dimostrare la fondatezza della pretesa
fatta valere con il ricorso, sia dell’opponente per contestarla; a tal fine,
non è necessario che la parte che chiede l’ingiunzione formuli una specifica ed
espressa domanda per ottenere una pronuncia sul merito della propria pretesa
creditoria, essendo, invece, sufficiente che resista alla proposta opposizione
e chieda la conferma del decreto opposto. Invero, con la notificazione del
ricorso per decreto ingiuntivo il creditore propone domanda di condanna per
l’intero importo ingiunto (cfr. articolo 643
cod.proc.civ.); tale essendo l’oggetto del giudizio, il giudice della
opposizione, ove ritenga il credito solo parzialmente fondato, deve revocare il
decreto ingiuntivo ed emettere condanna per il minor importo, come si evince
anche dal comma due dell’articolo 653 cod. proc.
civ. La Corte territoriale, ritenendo necessaria una domanda dell’opposto
«di accertamento di un minor credito» non si è attenuta al principio sopra
esposto.

19. Pertanto, la sentenza impugnata deve essere
cassata in  accoglimento del secondo
motivo del ricorso, restando assorbito il terzo, con il quale si denuncia
violazione e falsa applicazione degli articoli 91
e 92 cod.proc.civ., dell’articolo 111, comma sette, Cost. e dell’artciolo 6 CEDU in relazione alla
statuizione sulle spese di ctu.

20. La causa va rinviata alla Corte d’Appello di
Bari, che si atterrà nella decisione al principio di diritto qui ribadito e
provvederà, altresì, alla disciplina delle spese del presente grado

 

P.Q.M.

 

accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara
inammissibile il primo, assorbito il terzo.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo
accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Bari.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 maggio 2020, n. 8954
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