Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 luglio 2020, n. 14364

Differenze retributive per superiore inquadramento,
Erogazione del trattamento retributivo non conforme alle tabelle salariali del
CCNL o non corrispondenti all’orario di lavoro prestato, Diversità dei
presupposti di fatto delle due domande, Mancanza di esplicita domanda

Rilevato che

1. L.F. conveniva in giudizio dinanzi al Giudice del
lavoro del Tribunale di Roma la società A.O. s.r.l. per chiederne la condanna
al pagamento della complessiva somma di euro 56.178,00 a titolo di differenze
retributive.

1.1. La convenuta si costituiva contestando la data
inizio del rapporto e il diritto al superiore inquadramento. Deduceva che il
ricorrente era stato retribuito correttamente in base al quinto livello, anche
per la 13.a e la 14.a mensilità, e che nulla era dovuto per lavoro
straordinario e festivo, non avendo mai il ricorrente lavorato nei giorni
festivi. Contestava i conteggi di cui al ricorso.

2. Il Giudice adito riteneva corretto l’inquadramento
attribuito dal datore di lavoro e l’inizio del rapporto dalla data della
formale assunzione. Riteneva incontestato l’orario di lavoro dedotto del
ricorso, con l’effettuazione di quattro ore di straordinario settimanale, e non
provati il lavoro festivo, la mancata fruizione delle ferie e dei permessi.
Condannava quindi la resistente a pagare la somma complessiva di euro
36.201,32, quali differenze spettanti secondo i conteggi riformulati dal
ricorrente alla stregua delle indicazioni fornite dal medesimo giudice.

3. La società A. Olimpico proponeva appello
deducendo il vizio di ultrapetizione per non avere il primo giudice considerato
che la domanda del ricorrente si fondava essenzialmente sul diritto al
superiore inquadramento.

Lamentava inoltre che non era stato concesso un
termine alla resistente per replicare ai nuovi conteggi depositati dal
ricorrente. Concludeva per il rigetto del ricorso o, in subordine, per
l’espletamento di una c.t.u. contabile.

4. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 3286
del 2015, accogliendo l’appello della A.O. s.r.I., in riforma della impugnata
sentenza, rigettava integralmente la domanda, ritenendo fondata l’eccezione
concernente il vizio di ultrapetizione.

4.1. La Corte di appello premetteva che nel ricorso
introduttivo il F. aveva dedotto di avere lavorato per la società resistente
dal marzo 1991, con regolarizzazione dal novembre 1991, al 30 ottobre 2009 con
inquadramento del quinto livello del C.C.N.L. commercio; di avere svolto
mansioni riconducibili al superiore inquadramento nel quarto livello; di non
avere percepito la 13a mensilità; di avere percepito la 14a in misura non
corretta; di avere lavorato nelle giornate festive senza percepire l’esatta
retribuzione; di avere effettuato lavoro straordinario festivo non esattamente
retribuito; che le ferie non erano state esattamente retribuite. Aveva quindi
chiesto il riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro
subordinato per il periodo menzionato nel ricorso, il diritto all’inquadramento
nel quarto livello del C.C.N.L. commercio e la condanna della convenuta per i
titoli suddetti al pagamento la somma rivendicata.

Premetteva altresì che il primo giudice aveva
ritenuto non dimostrati la retrodatazione del rapporto di lavoro, il diritto al
superiore inquadramento, l’esistenza di crediti per ferie, permessi, lavoro
festivi, mentre per i residui titoli, corrispondenti al lavoro straordinario,
alla 13a e alla 14a mensilità e a differenze stipendiali, aveva riconosciuto un
credito per complessivi euro 36.201,32.

4.2. Rispetto a tale ultima statuizione la Corte di
appello riteneva fondata la censura della società appellante, poiché il decisum
si fondava su un fatto costitutivo diverso da quello dedotto in giudizio e non
ricompreso, neppure implicitamente, nel ricorso di primo grado.

Osservava che il ricorrente aveva posto a fondamento
della propria domanda di condanna, oltre alla mancata regolarizzazione del
rapporto fino alla data del 31 ottobre 1991 (capo sul quale si era formato il
giudicato interno), una sola causa petendi, ossia l’errato inquadramento del
quinto livello C.C.N.L. commercio in luogo della qualifica superiore di quarto
livello, corrispondente alle mansioni concretamente espletate, e che dunque
solo in relazione a tale causa petendi era stata prospettata la non corretta
corresponsione della retribuzione mensile, della 13a e della 14a mensilità, dei
compensi per il lavoro festivo e per il lavoro straordinario e per ferie.
Precisava che il TFR era stato corrisposto secondo la durata del rapporto di
lavoro formalizzato secondo l’inquadramento nel quinto livello.

4.3. Riteneva altresì che l’ulteriore deduzione del
lavoratore – secondo cui il percepito risultante dalle buste paga prodotte non
corrispondeva agli importi dovuti in base alle tabelle retributive
dell’inquadramento in quinto livello e che lo straordinario feriale di cui agli
importi erogati busta paga per lo stesso titolo, pari a 16 ore mensili, non
corrispondeva all’orario concretamente svolto – integrava un’autonoma, diversa
domanda che il medesimo ricorrente avrebbe dovuto proporre subordinatamente a
quella principale e che non era stata proposta la richiesta di differenze
retributive connesse all’erogazione del trattamento retributivo non conforme
alle tabelle salariali del C.C.N.L. commercio o non corrispondenti all’orario
di lavoro prestato.

5. Per la cassazione di tale sentenza L.F. ha
proposto ricorso affidato a tre motivi. Ha resistito con controricorso A.O.
s.r.l. in liquidazione, che preliminarmente ha eccepito l’inammissibilità del
ricorso in quanto notificato in data 18.12.2015 al procuratore costituito per
il giudizio di appello, notificazione avvenuta in epoca posteriore alla data di
cancellazione della società dal registro della imprese, avvenuta il 27.11.2015.

 

Considerato che

 

1. L’eccezione preliminare sollevata da parte
resistente è infondata, trattandosi di evento non dichiarato o notificato alle
altre parti e stante il principio di ultrattività del mandato alle liti, per
cui è ammissibile la notificazione dell’impugnazione presso il procuratore
costituito per il giudizio di appello ai sensi dell’art.
330, primo comma, cod. proc. civ., senza neppure che rilevi la conoscenza
aliunde di uno degli eventi previsti dall’art. 299
cod. proc. civ. da parte del notificante (Cass. n. 20964 del 2018 e 26495 del 2014).

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia
violazione falsa applicazione dell’art.112 cod.
proc. civ. e dell’articolo 1362 cod. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.), nonché omesso
esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti (art. 360, primo comma, n.
5 cod. proc. civ.).

2.1. In particolare, assume che “la sentenza
d’appello impugnata ha erroneamente ritenuto che la domanda del ricorrente non
fosse fondata sui fatti seguenti: 1. che quanto percepito e risultante dalle
buste paga prodotte non corrispondeva agli importi dovuti in base alle tabelle
retributive per l’inquadramento nel quinto livello (ovvero quello
effettivamente riconosciuto al lavoratore e non quello superiore richiesto): 2.
che per lo straordinario feriale gli importi erogati in busta paga per
straordinario, pari a 16 ore mensili, non corrispondeva all’orario
concretamente svolto”.

2.2. Il ricorrente trascrive il contenuto di ricorso
introduttivo ex art. 414 cod. proc. civ.,
evidenziando che la rivendicazione testualmente era riferita anche alle
differenze dovute “sulla base della vigente contrattazione collettiva di
settore sopra richiamata applicabile alla fattispecie, le tabelle retributive e
dell’indennità di contingenza, nonché per le disposizioni di legge e se del
caso anche in applicazione del disposto degli articoli
36 Cost., art. 2099 c.c. e 432 c.p.c….”.

2.3. Censura la sentenza per erronea interpretazione
degli atti processuali delle parti, con riguardo ai criteri di ermeneutica
contrattuale ed in particolare all’art. 1362 cod.
civ., che valorizza l’intenzione delle parti e che, pur essendo dettato in
materia di contratti, ha portata generale. In particolare, fa osservare come
dai capitoli in fatto trascritti potesse rilevarsi: a) l’uso dell’avverbio
“esattamente”, riferito a ciascuno dei titoli della rivendicazione,
allo scopo di allegare il fatto che il trattamento ricevuto non corrispondeva a
quello cui il dipendente aveva diritto; b) quanto al lavoro straordinario,
l’indicazione analitica dell’orario di lavoro svolto, che portava ad una
quantità di prestazione straordinaria certamente superiore alle 16 ore mensili
retribuite.

2.4. Argomenta che, se la domanda fosse stata
limitata al solo riconoscimento delle differenze retributive per svolgimento di
mansioni superiori, non sarebbe stato allegato e chiesto di provare la mancata
fruizione delle ferie e la consistenza oraria giornaliera della prestazione di
lavoro, ma sarebbe stato depositato un calcolo meramente differenziale tra il
percepito e quanto rivendicato per il superiore inquadramento.

3. Con il secondo motivo si denuncia nullità della
sentenza per omessa pronuncia (art. 360, primo
comma, n. 4 cod. proc. civ.), in quanto il giudice di appello, alla stregua
dell’interpretazione accolta, aveva omesso di pronunciare sulla domanda
esplicitamente formulata con il ricorso di primo grado, come precisamente
rilevato con il primo motivo.

4. Con il terzo motivo si denuncia violazione falsa
applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.),
poiché il principio di corrispondenza fra chiesto pronunciato può ritenersi
violato solo ove il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti,
alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione. La Corte
di appello aveva errato nell’applicare tale principio al caso di specie,
ritenendo che tale principio fosse stato violato dal giudice di primo grado.

5. E’ da ritenere fondato il primo motivo, nel cui
accoglimento resta assorbito l’esame dei restanti.

6. Nell’interpretazione degli atti processuali delle
parti occorre fare riferimento ai criteri di ermeneutica di cui all’art. 1362 e segg. cod. civ., che valorizzano
l’intenzione delle parti e che, pur essendo dettati in materia di contratti,
hanno portata generale (Cass. n. 4205 del 2014). In tale caso la parte che
censuri il significato attribuito dal giudice di merito è tenuto ad indicare
nel ricorso, a pena d’inammissibilità, le considerazioni del giudice in
contrasto con i criteri ermeneutici e il testo dell’atto processuale oggetto di
erronea interpretazione (Cass. n. 6226 del 2014). Nell’esame e
all’interpretazione degli atti processuali, tra cui le istanze e deduzioni delle
parti, il giudice, non condizionato dalle formali parole utilizzate dalla
parte, deve tener conto della situazione dedotta in causa e della volontà
effettiva – deducibile anche per implicito dalle eventuali precisazioni fornite
nel corso del giudizio – nonché delle finalità che la parte intende perseguire,
e poiché per fondamentale principio logico la volontà è inscritta in ogni parte
dell’atto, e per interpretare la domanda giudiziale si applicano gli artt. 1362, secondo comma, e 1363 cod. civ., dapprima deve esser valutato
l’atto in ogni sua parte per ricostruire la volontà che è alla base di esso, e
poi devono essere valutati la domanda nel suo complesso ed il comportamento
della parte. (v. Cass. n. 8140 del 2004).

6.1. Nel caso in esame, l’odierno ricorrente ha
innanzitutto assolto – come si evince dal tenore del primo motivo di ricorso in
sintesi sopra riportato – gli oneri primari cui è condizionata l’ammissibilità
del motivo di impugnazione, indicando – tra l’altro – i passi dell’atto
introduttivo attraverso i quali si sarebbe potuto risalire alla effettiva
volontà della parte. Ha poi evidenziato che dalla correlazione tra fatti
allegati e rivendicazioni economiche poteva evincersi che era stato comunque
censurato il divario tra quanto percepito in busta paga e quanto invece preteso
per i singoli titoli. Ha pure fatto rilevare come alcuni dei titoli della
rivendicazione avessero una propria specificità e non discendessero comunque
dal riconoscimento della qualifica superiore.

7. E’ ben vero che la domanda di differenze
retributive con riferimento ad una rivendicata qualifica superiore non è
implicitamente comprensiva della domanda di liquidazione del trattamento
economico corrispondente alla qualifica già riconosciuta dal datore di lavoro,
essendo diversi i presupposti di fatto delle due domande, per cui il giudice di
merito che rigetti la domanda di inquadramento superiore, ritenendo corretta la
qualifica attribuita dal datore di lavoro, non è tenuto, in mancanza di
esplicita domanda in tal senso, a liquidare le differenze retributive in
relazione a tale ultima qualifica (cfr. Cass. 14006 del 2001, 1301 del 1997). Tuttavia, non risulta che la
sentenza si sia attenuta ai canoni interpretativi sopra indicati laddove ha
tratto, dall’assenza di una espressa richiesta subordinata, la  conclusione che l’unica rivendicazione fosse
(oltre alla retrodatazione del rapporto) quella del riconoscimento del
superiore inquadramento, omettendo di verificare se i titoli indicati
nell’atto, o anche solo alcuni di essi, per come articolati nell’atto
introduttivo e nei conteggi allegati, non fossero unicamente riferibili alla
causa petendi relativa al riconoscimento del superiore inquadramento e
richiedessero invece un autonomo vaglio in caso di ritenuta infondatezza della
domanda di inquadramento superiore.

8. La sentenza va dunque cassata per un nuovo esame
del merito alla luce dei principi di cui al superiore punto 6. Si designa,
quale giudice di rinvio, la Corte di appello di Roma in diversa composizione,
la quale provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri. Cassa
la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le
spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 luglio 2020, n. 14364
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