Giurisprudenza – TRIBUNALE DI BERGAMO – Ordinanza 09 luglio 2020

Domanda volta all’erogazione del reddito di cittadinanza,
Titolare di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o
titolare di protezione internazionale, Inammissibilità della domanda cartacea
– Carattere discriminatorio, Valutazione in termini di
“essenzialità” della prestazione

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso depositato il 13 gennaio 2020, proponeva
ricorso ex art. 702 bis c.p.c. avanti a questo
Tribunale perché fosse accertato il carattere discriminatorio del comportamento
dell’INPS (consistito nell’avere impedito alla ricorrente di presentare domanda
volta all’erogazione del reddito di cittadinanza, in quanto straniera non
titolare di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o
titolare di protezione internazionale), dando diretta applicazione all’art. 12 della direttiva 2011/98/UE
o previa rimessione della questione di costituzionalità dell’art. 2 c. 1 lett. a) d.l. 4/2019
(convertito con l. 26/2019), nella parte in
cui esclude dalla prestazione del reddito di cittadinanza i titolari di permesso
unico lavoro ex d.lgs. 40/2014 o di permesso
di soggiorno di almeno un anno ex art.
41 d.lgs. 286/1998, con i conseguenti ordini di cessazione della
discriminazione e rimozione degli effetti (ordinando cioè all’INPS di
modificare la procedura di presentazione della domanda on line e condannandolo
al pagamento del reddito di cittadinanza, oltre che al risarcimento del danno
derivante dalla impossibilità di fruire delle prestazioni connesse allo
stesso).

Si costituiva l’INPS, eccependo l’inammissibilità
della domanda e comunque contestandone la fondatezza.

Il Giudice si riservava la decisione.

 

Motivi della decisione

 

In fatto, si rileva che:

a) la ricorrente, (…), ha fatto ingresso in Italia
nel 1996 è iscritta all’anagrafe dal febbraio 2000 ed è titolare del permesso
di soggiorno “attesa occupazione” del 12 gennaio 2017 scaduto il 27 marzo 2019,
di cui ha richiesto il rinnovo (cfr. docc. 3-5, 13 e 14;

b) in data 7 ottobre 2019, la ricorrente ha
presentato via PEC domanda “cartacea” finalizzata ad ottenere il
reddito di cittadinanza; la ricorrente non ha potuto presentare la domanda in
forma telematica, atteso che il sistema informatico consente di dichiarare di
essere cittadino di paese terzo solo spuntando la casella relativa al possesso
del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o alla
titolarità di protezione internazionale (cfr. doc. 8;)

c) in data 23 ottobre 2019, l’INPS ha ritenuto
inammissibile la domanda, in quanto la stessa “va presentata solo ed
esclusivamente online, non è possibile accettare domande cartacee” (cfr.
doc. 9)

La ricorrente, premesso di possedere di tutti i
requisiti previsti dal d.l. 4/2019 (convertito
con l. 26/2019) per beneficiare del reddito di
cittadinanza ad eccezione del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di
lungo periodo, ha richiesto che il Tribunale dichiari il carattere
discriminatorio del comportamento dell’INPS, dando diretta applicazione all’art. 12 della direttiva 2011/98/UE
oppure sollevando la questione di costituzionalità dell’art. 2 c. 1 lett. a) d.l. 4/2019
(convertito con l. 26/2019) , nella parte in
cui esclude dalla prestazione del reddito di cittadinanza i titolari di
permesso unico lavoro ex d.lgs. 40/2014 o di permesso
di soggiorno di almeno un anno ex art.
41 d.lgs. 286/1998.

L’eccezione di inammissibilità della domanda è
infondata.

L’azione esperita dalla ricorrente nelle forme ex art. 28 d.lgs. 150/2011 è
un’azione tipica, specificamente prevista per dare ampia e flessibile tutela
nei confronti di qualunque atto discriminatorio oggettivamente pregiudizievole,
con potere giudiziale di adottare, “anche nei confronti della pubblica
amministrazione, ogni … provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti”.

Nel merito, si osserva preliminarmente che il
Tribunale di Bergamo si è recentemente pronunciato in merito a una questione
analoga (ordinanza dell’1 agosto 2019 nel procedimento n. 107/19 R.G., relativo
al reddito di inclusione), la cui condivisibile motivazione può essere in
questa sede richiamata, con le necessarie puntualizzazioni .

“Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza
di prevedere una misura … utile ad assicurare un livello minimo di
sussistenza”, l’art. 1 d.l.
4/2019 (convertito con l. 26/2019) ha
istituito, “a decorrere dal mese di aprile 2019, il Reddito di cittadinanza
… quale misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del
diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e
all’esclusione sociale, nonché diretta a favorire il diritto all’informazione,
all’istruzione, alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al
sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di
emarginazione nella società e nel mondo del lavoro”. Il reddito di
cittadinanza, prosegue il medesimo art.
1, “costituisce livello essenziale delle prestazioni nei limiti delle
risorse disponibili”.

L’art.
2 c. 1 d.l. 4/2019 riconosce il reddito di cittadinanza “ai nuclei
familiari in possesso cumulativamente, al momento della presentazione della
domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio” di alcuni
requisiti; in particolare, per quanto interessa in questa sede:

a) “con riferimento ai requisiti di
cittadinanza, residenza e soggiorno, il componente richiedente il beneficio
deve essere cumulativamente: 1) in possesso della cittadinanza italiana o di
Paesi facenti parte dell’Unione europea, ovvero suo familiare, …, che sia
titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero
cittadino di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per
soggiornanti di lungo periodo; 2) residente in Italia per almeno 10 anni, di
cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e
per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo”;

b) “con riferimento a requisiti reddituali e
patrimoniali, il nucleo familiare deve possedere: 1) un valore dell’Indicatore
della situazione economica equivalente (ISEE) , …, inferiore a 9.360
euro”, con particolare disciplina “nel caso di nuclei familiari con
minorenni”, determinati valori del patrimonio immobiliare e mobiliare
(punti 2 e 3) e “4) un valore del reddito familiare inferiore ad una
soglia di euro 6.000 annui”, con determinati incrementi e maggiorazioni;

c) infine, il nucleo familiare si deve trovare in
specifiche condizioni “con riferimento al godimento di beni
durevoli”.

Il beneficio in parola è poi connesso alla
sottoscrizione di un “patto per il lavoro” o di un “patto per
l’inclusione sociale”, attraverso i Centri per l’Impiego o i servizi
comunali per il contrasto alla povertà, come disciplinati dall’art. 4 d.l. 4/2019.

Ebbene nel caso in esame è controversa solo la questione
dell’estensione soggettiva del beneficio (atteso che la ricorrente non è
titolare permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo), mentre
risulta agli atti (e comunque non è stato specificamente contestato dall’INPS)
il possesso da parte della ricorrente di tutti gli altri requisiti previsti per
il suo riconoscimento.

Va poi escluso che la circostanza che la ricorrente
abbia presentato la domanda in forma cartacea, anziché in via telematica, possa
rilevare ai fini del riconoscimento della prestazione, laddove ne vengano
accertati i fatti costitutivi. La strutturazione del sistema di ricezione
dell’INPS – cui la resistente fatto accesso, ma senza poter concludere la
procedura per l’esistenza di vincoli informatici – risulta esclusivamente imputabile
all’Istituto stesso.

La questione di legittimità costituzionale dell’art. c. 1 lett. a) d.l. 4/2019
(convertito con l. 26/2019), nella parte in
cui attribuisce il beneficio ai soli cittadini di Paesi terzi in possesso del
permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, di cui la
ricorrente è sprovvista, è pertanto rilevante.

Il reddito di cittadinanza è esplicitamente
qualificato come “livello essenziale delle prestazioni”, pur nei
limiti delle risorse disponibili, ed è teso “a garanzia del diritto al
lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione
sociale”, con misure “sostegno economico e … inserimento sociale
dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del
lavoro”.

Tale beneficio è pertanto evidentemente finalizzato
a dare attuazione ai fondamentali compiti della Repubblica di cui agli artt. 2
e 3 Cost., proponendosi di assicurare, mediante l’intervento della solidarietà
economica, un “livello minimo di sussistenza” e la concreta
possibilità di svolgimento della personalità nelle formazioni sociali (in
primis, quella lavorativa, fondamento della Repubblica), rimuovendo gli
ostacoli di ordine economico e sociale (in primis, le condizioni di povertà ed
emarginazione sociale) che impediscono il pieno sviluppo della persona umana.

In tema di diritti essenziali, la Corte
costituzionale (cfr. sentenza n. 187/2010 e la
giurisprudenza della CGUE richiamata) ha affermato che la valutazione in
termini di “essenzialità” della prestazione deve essere effettuata
“alla luce della configurazione normativa e della funzione sociale che
questa è chiamata a svolgere nel sistema”, verificando se “integri o
meno un rimedio destinato il concreto soddisfacimento dei “bisogni primari”
inerenti alla stessa sfera di tutela della persona umana, che è compito della
Repubblica promuovere e salvaguardare; rimedio costituente, dunque, un diritto
fondamentale, perché garanzia per la stessa sopravvivenza del soggetto. …
Ove, pertanto, si versi in tema di provvidenza destinata a far fronte al
“sostentamento” della persona, qualsiasi discrimine tra cittadini e stranieri
regolarmente soggiornati nel territorio dello Stato, fondato su requisiti
diversi dalle condizioni soggettive, finirebbe per risultare in contrasto con
il principio sancito dall’art. 14
della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, avuto riguardo alla relativa
lettura che … è stata in più circostanze offerta dalla Corte di
Strasburgo”.

Ebbene, se il reddito di cittadinanza è
riconducibile nell’alveo dei diritti essenziali – come appare esserlo, in
ragione delle esplicite qualificazioni e finalità attribuite dalla legge alla
prestazione, sopra richiamate – la scelta di introdurre particolari condizioni
soggettive (in particolare, il possesso del permesso di soggiorno UE di lungo
periodo) appare in contrasto con i principi ex art.
2 e 3 Cost. (anche nelle specifiche forme
della tutela della famiglia e del lavoro ex artt.
31 e 38 Cost.), nonché dell’art. 117 c. 1 Cost., in relazione all’art. 14 CEDU e agli artt. 20 e 21 della Carta dei
Diritti Fonda- mentali dell’Unione Europea in tema di principi di
eguaglianza e di non discriminazione.

In ogni caso, se anche il reddito di cittadinanza
fosse ritenuto una prestazione estranea al nucleo dei diritti essenziali, la
limitazione soggettiva dell’art. 2
c. 1 lett. a) d.l. 4/2019 appare ancora una volta in contrasto con l’art. 3 Cost. per irragionevolezza.

Infatti, se è vero che il legislatore può
legittimamente decidere di circoscrivere la platea dei beneficiari di determinate
prestazioni sociali, l’eventuale limitazione “deve pur sempre rispondere
al principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost.”
e “tale principio può ritenersi rispettato solo qualora esista una
“causa normativa” della differenziazione, che sia ‘giustificata dal
una ragionevole correlazione tra la conduzione a cui è subordinata
l’attribuzione del beneficio e gli altri peculiari requisiti che ne
condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio. … Una simile ragionevole
causa normativa può in astratto consistere nella richiesta di un titolo che
dimostri il carattere non episodico o di breve durata della permanenza sul
territorio dello Stato: anche in questi casi, peraltro, occorre pur sempre che
sussista una ragionevole correlazione tra la richiesta e le situazioni di
bisogno o di disagio, in vista delle quali le singole prestazioni sono state
previste” (cfr. Corte costituzionale, sentenza
n. 166/2018) .

Nel caso in esame, l’esclusione dei cittadini di
Paesi terzi che – come la ricorrente – siano in possesso dei requisiti di
residenza e di un permesso di soggiorno, ma sprovvisti di quello UE di lungo
periodo (il quale, ai sensi dell’art.
9 d.lgs. 286/1998, richiede la disponibilità di un reddito non inferiore
all’assegno sociale, pari nel 2019 e € 5.889, oltre che di un alloggio),
finisce per penalizzare – senza alcuna apprezzabile ragione e anzi in aperto
contrasto con l’intento legislativo – proprio i nuclei familiari più bisognosi
(come del resto evidenziato dai dati statistici allegati dalla ricorrente a
pag. 7 del ricorso, non contestati dall’INPS).

Valgono in tema di apparente contrasto con l’art. 3 Cost. gli argomenti recentemente svolti
dalla Corte di cassazione nell’ordinanza di rimessione n. 16164/19 (cfr. punti
16-21), relativa all’art. 1 c.
125 l. 190/2014; tale disposizione ha escluso dalla prestazione i nati o
gli adottati tra l’1 gennaio 2012 e il 31 dicembre 2017 da genitori cittadini
extracomunitari legalmente residenti in Italia in base ad idoneo permesso di
soggiorno e lavoro e che fruiscono di redditi non superiori a determinate soglie,
ma che siano sprovvisti del permesso di soggiorno UE di lungo periodo.

La Corte di Cassazione ha rilevato che “pare in
contrasto con il principio della ragionevolezza … escludere dalla …
prestazione sociale, rilevante perché a contenuto economico, intere categorie
di soggetti, selezionati non in base all’entità o alla natura del bisogno, ma
ad un criterio privo di ogni collegamento con questo, quale la titolarità del
permesso di lungo soggiorno che presuppone una durata pregressa della residenza
almeno quinquennale, un reddito comunque almeno pari all’importo dell’assegno
sociale, un alloggio idoneo e la conoscenza della lingua italiana:
determinando, con ciò, l’esclusione di chi si trova in situazione di maggior
bisogno rispetto a tale categoria e disparità di trattamento tra situazioni
identiche o analoghe, con conseguente lesione del principio di
eguaglianza”.

Tanto più che la disposizione in quella sede
censurata – al pari quella rilevante nella presente controversia – “non si
raccorda in alcun modo con la previsione contenuta nell’art. 41 del d.lgs. n. 286 del 1998
(disposizione appartenente all’insieme di norme contenute nel t.u. che l’art.
1, comma 4, definisce “norme fondamentali di riforma economico-sociale
della Repubblica”) che riconosce in linea generale parità di trattamento,
rispetto ai cittadini italiani, in materia di assistenza sociale, ai cittadini
extracomunitari titolari di permesso di soggiorno e di lavoro validi per almeno
un anno”.

Va infine considerato, sempre richiamando la Corte
di cassazione, che non rilevano, “in senso contrario, valutazioni relative
alla necessità di limitare l’erogazione di prestazioni di natura economica
eccedenti quelle essenziali in ragione della limitatezza delle risorse
disponibili, posto che ciò non esclude “che le scelte connesse alla
individuazione dei beneficiari – necessariamente da circoscrivere in ragione
della limitatezza delle risorse disponibili – debbano essere operate sempre e
comunque in ossequio al principio di ragionevolezza” come statuito da Corte
Costituzionale n. 40 del 2001 e n. 432 del 2005″.

Quanto infine alla questione relativa
all’applicazione del diritto alla parità di trattamento sancito dall’art. 12  della direttiva 2011/98/UE nel godimento
delle prestazioni di sicurezza sociale ex reg. CE
883/04 in favore di tutti i titolari di permesso unico lavoro, si osserva
che la possibilità o meno di ricondurre il reddito di cittadinanza alle
“prestazioni di disoccupazione” ex art. 3 c. 1 lett. h) reg. CE 883/04
non condiziona la proposizione della questione di legittimità costituzionale;
sul punto si richiama quanto già affermato nell’ordinanza n. 16164/2019 della
Corte di cassazione ai punti 7-12.

Conclusivamente, si deve ritenere rilevante e non
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 c. 1 lett. a) d.l. 4/2019
(convertito con l. 26/2019), in relazione agli
artt. 2, 3, 31, 38 e 117 c. 1 Cost. (quest’ultimo in relazione all’art. 14 CEDU e agli artt. 20 e 21 della Carta dei
Diritti Fondamentali dell’Unione Europea), nella parte in cui esclude dalla
prestazione del reddito di cittadinanza i titolari di permesso unico lavoro ex art. 5 c. 8.1 d.lgs. 286/1998 o
di permesso di soggiorno di almeno un anno ex art. 41 d.lgs. 286/1998.

 

P.Q.M.

 

visti
l’art. 134 Cost

Giurisprudenza – TRIBUNALE DI BERGAMO – Ordinanza 09 luglio 2020
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