Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 agosto 2020, n. 17164

Somministrazione di lavoro a tempo determinato, Sussistenza
di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, Risarcimento del
danno, Clausola contenuta nel contratto di fornitura di lavoro temporaneo,
Non individuata alcuna reale esigenza su cui potesse esercitarsi il controllo
del lavoratore al momento della stipulazione del contratto di lavoro e su cui
espletare il controllo giudiziale

 

Rilevato che

 

1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza n.
2933/2015, pronunciando sull’appello proposto da “C.C. HBC Italia”
s.r.l., confermava la sentenza impugnata nella parte in cui aveva dichiarato la
sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dal
17 maggio 2002 tra la società appellante e V.A., in luogo del rapporto di
somministrazione di lavoro a tempo determinato instaurato tra l’originario
ricorrente e la società di somministrazione di lavoro. Riformava, invece, la
statuizione relativa al risarcimento del danno, riconoscendo, in luogo della
condanna al pagamento di tutte le retribuzioni maturate dalla data di notifica
del ricorso introduttivo del giudizio, l’indennità di cui all’art. 32, comma 5, legge n. 183 del
2010.

2. Per quanto ancora rileva nella presente sede, la
Corte d’appello premetteva che la domanda verteva sulla nullità e/o
illegittimità del contratto commerciale di somministrazione di lavoro a tempo
determinato intercorso tra la società “C.C. HbC Italia” e la società
di somministrazione di lavoro M. s.p.a.. Osservava che il contratto era
disciplinato ratione temporis dalla legge n. 196
del 1997 e, rilevato che l’art.
10, primo comma, di tale legge non aveva abolito il divieto di
interposizione fittizia di manodopera previsto dalla legge
n. 1369 del 1960, rilevava che nella specie il contratto era stato
stipulato fuori dei casi consentiti, con violazione della disposizione di cui
all’art. 1, comma 2, legge n. 196
del 1997 e, come tale, era soggetto alla sanzione di cui all’art. 10, primo comma, della
stessa legge, con costituzione ex tunc di un rapporto di lavoro subordinato a
tempo indeterminato tra il lavoratore e l’impresa utilizzatrice e il diritto
del lavoratore al ripristino della concreta funzionalità del rapporto.

3. Per la cassazione di tale sentenza la società
C.C. HBC Italia proposto ricorso affidato a quattro motivi. V.A., nei cui
confronti la notifica a mezzo posta è stata ritualmente effettuata e
perfezionata per compiuta giacenza del plico notificato, è rimasto intimato.

 

Considerato che

 

1. Il primo motivo denuncia nullità parziale della
sentenza, ai sensi dell’art. 156, comma 2, cod.
proc. civ. (art. 360, primo comma, n. 4 cod.
proc. civ.), contrasto tra la motivazione il dispositivo poiché, in merito
all’indennità ex art. 32 comma 5,
della legge 183 del 2010 in motivazione la sentenza aveva fatto riferimento
a 3,5 mensilità, mentre nel dispositivo aveva riconosciuto una misura
superiore, pari a sei mensilità.

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa
applicazione degli artt. 112 e 156 cod. proc. civ. nonché omesso esame un fatto
decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 cod. proc. civ.).

La società ricorrente si duole del mancato esame del
quarto motivo dell’appello, che aveva ad oggetto la sentenza di primo grado
nella parte in cui aveva affermato che la sanzione di cui all’art. 10 legge n. 196 del 1997
comportava la trasformazione da rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo
indeterminato.

3. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa
applicazione degli artt. 1, 3, 10 legge n. 196 del 1997 e
degli artt. 115, 244
e 245 cod. proc. civ. ed omesso esame di fatto
decisivo per il giudizio (art. 360, primo comma,
nn. 3 e 5 cod. proc. civ.) nella parte in cui la sentenza aveva ritenuto
generica la causale indicata nel contratto di fornitura, mentre essa rispondeva
esattamente a quella indicata nei contratti collettivi applicabili, ossia
all’art. 21 C.C.N.L. di settore.

4. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa
applicazione degli artt. 10,
1 e 3 legge 196 del 1997 e dell’art. 1 legge n. 1369 del 1960,
in quanto il contratto di fornitura sottoscritto tra l’agenzia fornitrice e
l’impresa utilizzatrice, disciplinato dall’art.1 legge 196 del 1997, non
prescrive alcun obbligo di indicare nel contratto i motivi del ricorso alla
fornitura di mano d’opera, previsto soltanto in relazione al contratto di
lavoro cioè a quello sottoscritto tra l’agenzia fornitrice e il lavoratore.

5. Il ricorso è infondato.

6. Quanto al primo motivo, vertente sulla misura
dell’indennità ex art. 32 legge
n. 183 del 2010, va premesso che soltanto il contrasto insanabile tra dispositivo
e motivazione determina la nullità della sentenza, da far valere mediante
impugnazione, in difetto della quale prevale il dispositivo. Tale insanabilità
deve tuttavia escludersi quando sussista una parziale coerenza tra dispositivo
e motivazione, divergenti solo da un punto di vista quantitativo, e la seconda
inoltre sia ancorata ad un elemento obiettivo che inequivocabilmente la
sostenga; in tal caso è configurabile l’ipotesi legale del mero errore
materiale, con la conseguenza che, da un lato, è consentito l’esperimento del
relativo procedimento di correzione e, dall’altro, deve qualificarsi come
inammissibile l’eventuale impugnazione diretta a far valere il contrasto tra
dispositivo e motivazione (Cass. n. 21618 del 2019;
v. pure Cass. nn. 10305 del 2011, 18202 del 2008, 18090 del 2007).

Nel caso in esame, il dispositivo della sentenza
impugnata reca l’indicazione di n.6 mensilità, mentre la motivazione dapprima
riferisce di volere riconoscere n. 3,5, mensilità (primo periodo di pag. 9) e
poi invece di volere attribuire n. 6 mensilità (penultimo periodo della stessa
pagina). Ritiene il Collegio che, in siffatta ipotesi, vi sia una parziale
coerenza tra dispositivo e motivazione e che è configurabile l’ipotesi legale
del mero errore materiale della sentenza nella parte in cui reca un passaggio
argomentativo spurio rispetto a quello, invece coerente con il dispositivo,
relativo al riconoscimento di n. 6 mensilità a titolo di indennità ex art. 32 legge n. 183 del 2010.

7. Quanto al secondo motivo, va innanzitutto
premesso che non sussiste l’ipotesi di omesso esame del quarto motivo di
appello, atteso che lo stesso risulta riportato nella parte della sentenza
dedicata alla sintesi dei motivi di impugnazione (v. pag. 2) e poi lo stesso
risulta trattato nella parte motiva della sentenza (v. pag. 7), dedicata
specificamente a tale questione.

Se è vero che la sentenza reca anche alcuni passaggi
palesemente inconferenti, in quanto evidentemente riferibili ad altra causa,
deve rilevarsi che l’espunzione di tali passaggi non inficia in alcun modo il
decisum, che si fonda sulle restanti ampie argomentazioni in diritto, ben
riferibili alla specifica fattispecie oggetto del presente giudizio.

8. Il terzo motivo è infondato. La clausola
contenuta nel contratto di fornitura di lavoro temporaneo, sulla quale si
incentra la doglianza per asserito parziale esame del suo completo contenuto,
recherebbe, nella sua integralità, la seguente dicitura “aumento
temporaneo delle attività derivanti da richieste di mercato, dall’acquisizione
di commesse, dal lancio di nuovi prodotti o anche indotte dall’attività di
altri settori”.

Al riguardo, la sentenza ha affermato che “nel
contratto stipulato dalla società le ragioni del ricorso alla fornitura di
manodopera non sono state esplicitate in termini concreti e sufficientemente
esaustivi perché non risulta individuata alcuna reale esigenza su cui potesse
esercitarsi il controllo del lavoratore al momento della stipulazione del suo
contratto di lavoro e possa oggi espletarsi il controllo giudiziale” (pag.
6 sent.). Quindi, la sentenza, nel fare riferimento al contratto nella sua
interezza, ha dato conto di averlo interpretato nel suo insieme, anche nelle
parti non specificamente trascritte. Inoltre, nel riferire che non era stata
indicata con sufficiente determinatezza la causale dell’assunzione, la sentenza
ha comunque ritenuto necessarie indicazioni più puntuali quanto alla
effettività della esigenza in concreto, mentre la parte della clausola di cui
si assume il mancato esame, recando la mera specificazione pur sempre astratta
della causale, resterebbe comunque irrilevante rispetto al decisum su cui la
sentenza si fonda.

9. Il quarto motivo è infondato, essendo la sentenza
conforme a diritto.

Come più volte affermato da questa Corte, in tema di
fornitura di lavoro temporaneo, per la validità del contratto intercorso tra
fornitore e utilizzatore, disciplinato dalla I. n.
196 del 1997, non è sufficiente la mera enunciazione, in esso, della
causale prevista da un accordo occorrendo che la stessa sia meglio esplicitata
avuto riguardo al contesto della peculiare situazione dell’impresa
utilizzatrice e delle sue esigenze produttive; dalla genericità della causale
deriva la nullità del suddetto contratto, cui conseguono le sanzioni previste
dall’art. 10 della legge
citata. (Cass. n. 25265 del 2016, v. pure
10631 del 2017, e Cass. n. 23513 del 2017). Già in precedenza era stato
ritenuto che, in tema di lavoro interinale, l’art. 1, secondo comma, della legge
n. 196 del 1997 consente il contratto di fornitura di lavoro temporaneo
solo per le esigenze di carattere temporaneo rientranti nelle categorie
specificate dalla norma, esigenze che il contratto di fornitura non può quindi
omettere di indicare, né può indicare in maniera generica e non esplicativa,
limitandosi a riprodurre il contenuto della previsione normativa; ne consegue
che, ove la clausola sia indicata in termini generici, inidonei ad essere
ricondotti ad una delle causali previste dal legislatore, il contratto è
illegittimo, e, in applicazione del disposto di cui all’art. 10 della legge n. 196 del 1997,
il rapporto si considera a tutti gli effetti instaurato con l’utilizzatore
interponente (Cass. n. 1148 del 2013, 10486
del 2017).

10. Secondo la più recente giurisprudenza di questa
Corte, la violazione delle disposizioni della legge
n. 196 del 1997, ed in particolare dell’art. 1, comma 2, lett. a),
comporta la sostituzione della parte datoriale e, salvo che non ricorri
specifiche ragioni che consentano l’apposizione di un termine, l’instaurazione
di rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’utilizzatore interponente,
senza che assuma rilievo che al rapporto con l’interposto fosse a termine,
atteso che la medesima sanzione è prevista per la meno grave violazione
dell’obbligo di stipulare il contratto con forma scritta e che, sul piano
sistematico, una diversa conclusione, porterebbe alla inammissibile situazione
per cui la violazione del divieto di interposizione di manodopera consentirebbe
all’interponente di beneficiare di una prestazione a termine altrimenti
preclusa (Cass. n. 21837 del 2012). La
legittimità del contratto di fornitura costituisce il presupposto per la
stipulazione di un legittimo contratto per prestazioni di lavoro temporaneo. Ne
consegue che l’illegittimità del contratto di fornitura comporta le conseguenze
previste dalla legge sul divieto di intermediazione e interposizione nelle
prestazioni di lavoro e, quindi, l’instaurazione del rapporto di lavoro con il
fruitore della prestazione, cioè con il datore di lavoro effettivo; inoltre,
alla conversione soggettiva del rapporto si aggiunge la conversione dello
stesso da lavoro a tempo determinato in lavoro a tempo indeterminato, per
intrinseca carenza dei requisiti richiesti dal d.lgs.
368 del 2001 ai fini della legittimità del lavoro a tempo determinato tra
l’utilizzatore ed il lavoratore (Cass. n. 1148 del
2013).

11. Il ricorso va dunque rigettato.

12. Nulla va disposto quanto alle spese del presente
giudizio, essendo A.V. rimasto intimato.

13. Va dato atto della sussistenza dei presupposti
processuali (nella specie, il rigetto del ricorso) per il versamento, da parte
della società ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R.
30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
-bis dello stesso art. 13, se
dovuto (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 – quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis, dello stesso articolo 13,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 agosto 2020, n. 17164
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