Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 settembre 2020, n. 18692

Personale dipendente dalle aziende di telecomunicazioni,
Domanda di inquadramento nel livello superiore, Eccezione di prescrizione,
Interpretazione delle clausole del contratto collettivo relative alla
classificazione del personale, Capacità connotativa e discriminatoria in
concreto dei profili professionali contenuti nell’accordo, Genericità e
suscettibiltà ad assumere svariate concretizzazioni, Necessaria integrazione
con le declaratorie di carattere generale della categoria

 

Rilevato che

 

1. La Corte di appello di Potenza, in accoglimento
del ricorso incidentale di T.I. s.p.a. ed in riforma della sentenza del giudice
del lavoro di Matera, ha rigettato la domanda proposta da G.B. di inquadramento
nel quinto livello del c.c.n.I. per il personale dipendente dalle aziende di
telecomunicazioni ed ha ritenuto assorbito il ricorso del B. che, in via
principale, aveva impugnato il capo della sentenza che aveva ritenuto fondata
l’eccezione di prescrizione proposta dalla società.

2. La Corte di merito – descritta la qualifica
rivendicata e quella di appartenenza ed individuati i tratti distintivi delle
due qualifiche – ha accertato che le mansioni svolte dal B. era ascrivibili al
livello di inquadramento posseduto in quanto, nello svolgimento delle mansioni
affidategli, il ricorrente era privo di autonomia decisionale ed i compiti
svolti richiedevano la competenza tecnica di un solo operatore, in grado di
eseguire procedure consolidate con gli strumenti necessari, senza alcun
coordinamento di altri operatori e privo di competenze specialistiche.

3. Il giudice di secondo grado ha rilevato infatti
che le operazioni svolte erano di tipo manuale e consistevano nel collegamento
del router alla linea telefonica esterna ed interna: nell’ installazione delle
linee attraverso l’avvio di programmi predefiniti con verifica dell’esito
dell’operazione. Nel caso di fallimento dell’operazione, poi, il lavoratore
provvedeva a contattare il centro di supporto.

4. Ha osservato che, in sostanza, si trattava di
operazioni finalizzate tutte all’unico risultato operativo dell’installazione
della linea presso il cliente finale e non richiedevano compiti specialistici
ad elevata tecnicità poiché comportavano la mera ripetizione di procedure
predeterminate che, ove non andate a buon fine richiedevano l’intervento
aziendale per la risoluzione dei problemi verificatisi.

5. Per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso G.B. che ha articolato due motivi ai quali ha resistito la T.I. s.p.a.
con controricorso. Il procuratore generale ha concluso per il rigetto del
ricorso.

 

Considerato che

 

6. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la
violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e
1363 cod.civ. nell’interpretazione dell’art. 23 del c.c.n.I. del personale
delle imprese esercenti servizi di telecomunicazione.

6.1. Sostiene il ricorrente che erroneamente la
Corte di merito avrebbe proceduto ad un raffronto tra le mansioni svolte e le
declaratorie generali previste dalla contrattazione collettiva invece di
verificare la corrispondenza tra le mansioni accertate e le declaratorie
riportate nei profili specifici di riferimento.

6.2. In sostanza, ad avviso del ricorrente la Corte
avrebbe potuto utilizzare le declaratorie generali solo se non avesse trovato
negli specifici profili dei riferimenti utili.

6.3. In definitiva la sentenza non avrebbe compiuto
un vero e proprio confronto tra i due profili professionali (specialista di
attività tecniche e specialista di attività tecniche integrate) ed avrebbe
raffrontato soltanto le astratte definizioni contenute nelle declaratorie di IV
e di V livello.

6.4. Rileva ancora che la sentenza, anche laddove ha
posto a raffronto i due profili, ha errato nell’individuare il discrimine
esistente tra gli stessi che consisterebbe proprio nell’assistenza al cliente
finale mediante installazione del prodotto che, in aggiunta alle prerogative
proprie dello specialista di attività tecniche, caratterizza quello di attività
tecniche integrate. Sostiene il ricorrente che è la conoscenza delle tecnologie
necessarie ad attivare le linee internet dati e fonica ad integrare la
differenza tra IV e V livello e non, come sostenuto dalla Corte di appello,
l’idoneità a realizzare sistemi integrati che invece è propria del superiore
sesto livello, cui appartiene lo specialista di pianificazione di rete/servizi
di rete.

6.5. In definitiva ritiene il B. che se la Corte
avesse correttamente interpretato le declaratorie non avrebbe potuto che
accertare che l’espressione “competenze di ICT” prevista per il V
livello si riferisce alla capacità di operare su sistemi integrati di fonia
dati e internet e non anche sulla capacità di realizzare gli stessi, che è
propria del profilo ancora superiore.

6.6. Ugualmente, poi, sarebbe errata la sentenza
laddove non ritiene qualificante, ai fini dell’attribuzione del V livello
rivendicato, la configurazione e riconfigurazione software che invece assume
essere attività svolta con procedure ripetitive e standard. Al contrario il
maggiore o minore grado di complessità dell’attività è proprio ciò che
distingue la quinta dalla sesta categoria.

6.6. Ne discende l’errore di sussunzione delle
mansioni accertate (attivazione e riparazione di linee normali e ADSL e
configurazione e riconfigurazione di software) nella qualifica di inquadramento
spettante.

7. La censura è infondata.

7.1. Va rammentato che il procedimento
logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un
lavoratore subordinato si sviluppa in tre fasi successive, consistenti
nell’accertamento in fatto delle attività lavorative concretamente svolte,
nell’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo
di categoria e nel raffronto tra i risultati di tali due indagini. Ai fini
dell’osservanza di tale procedimento, è necessario che, pur senza rigide
formalizzazioni, ciascuno dei suddetti momenti di ricognizione e valutazione
trovi ingresso nel ragionamento decisorio, configurandosi, in caso contrario,
il vizio di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c., per
l’errata applicazione dell’art. 2103 c.c.
(cfr., tra le tante, recentemente Cass. 22/11/2019 n. 30580).

7.2. Nell’interpretare le clausole del contratto
collettivo relative alla classificazione del personale in livelli o categorie,
inoltre, va considerata la capacità connotativa e discriminatoria in concreto
dei profili professionali contenuti nell’accordo. Ove gli stessi siano generici
e suscettibili di assumere svariate concretizzazioni, allora è necessario
integrare le indicazioni con le declaratorie di carattere generale della
categoria, che assumono valore determinante circa l’effettiva portata degli
specifici profili (Cass. 17/01/2011 n. 919).

7.3. Tanto premesso va rilevato che la Corte
territoriale ha esaminato la declaratoria della qualifica rivendicata e quella
di appartenenza individuandone i tratti distintivi con riguardo alle competenze
richieste ed alle attività in concreto svolte. In particolare ha verificato che
la distinzione tra la qualifica rivendicata (quinto livello) e quella di
appartenenza (quarto livello) risiede nell’attribuzione al dipendente
inquadrato nel quinto livello anche degli “interventi di attivazione e
assistenza tecnica di servizi/prodotti presso il cliente finale assicurandone
con le proprie competenze di ICT la piena funzionalità (configurazione e
riconfigurazione dei software)”. In sostanza sono richieste elevate
conoscenze specialistiche e capacità di operare in autonomia e decisionalità
per realizzare un’attività seguendo le norme e le procedure sul campo.
Coerentemente la Corte ha ritenuto che l’installazione di una linea, anche
integrata, non può essere ritenuta un’ attività decisionale autonoma poiché
richiede la competenza tecnica di un solo operatore che agisce secondo una
procedura consolidata utilizzando gli strumenti di cui è munito senza il
coordinamento di altri operatori e senza che sia richiesta un’elevata
competenza specialistica.

7.4. Tanto premesso nella sua ricostruzione la Corte
ha correttamente individuato prima in astratto il contenuto delle mansioni
proprie dell’inquadramento rivendicato e di quello posseduto, ha tratteggiato
le caratteristiche distintive delle due qualifiche verificando poi in concreto
la rispondenza dei compiti svolti alle fattispecie astratte così delineate.

7.5. Così facendo il giudice di appello ha
rispettato il procedimento c.d.

trifasico di individuazione delle mansioni e di
sussunzione di quelle in concreto accertate in quelle astrattamente descritte
senza incorrere, nell’interpretazione delle disposizioni collettive, in nessuna
delle violazioni denunciate. Correttamente ha verificato i tratti
caratteristici delle mansioni per poi verificare nel dettaglio l’esistenza
degli elementi distintivi dei singoli profili. Secondo un procedimento che non
è caratterizzato da rigidità è andato dal generale al particolare di dettaglio
del profilo ricostruendo secondo una logica che non si espone alle critiche
mosse i tratti distintivi propri di ciascuna qualifica.

7.6. Peraltro la censura pur denunciando una
violazione delle regole dell’interpretazione non specifica esattamente in cosa
tale violazione si sarebbe concretizzata ma pretende piuttosto di imporre come
corretta una ricostruzione alternativa a quella operata dal giudice di appello
che resta tuttavia una ricostruzione plausibile e rispettosa delle regole di
interpretazione.

7.7. Va qui ribadito che la parte che, con il
ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di
ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può
limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt.
1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in
concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il
giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure
risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e
quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere
l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni,
sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più
interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto
l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di
legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (cfr. Cass.
28/11/2017 n. 28319 27/06/2018 n. 16987).

8. Il secondo motivo di ricorso, con il quale è denunciato
l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in
relazione all’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc.
civ. – per avere la Corte territoriale fondato il suo giudizio sulle
dichiarazioni rese da alcuni testi che solo in parte sono state però tenute in
considerazione – è inammissibile.

8.1. La nuova formulazione dell’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ., a
seguito delle modifiche apportate dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n.
83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134,
ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione,
relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui
esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia
costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale
a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della
controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il
ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato
omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti
esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato
oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua
“decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi
istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto
decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso
in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di
tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte Cass.
sez. u. 07/04/2014 n. 8053).

8.2. Nella censura il ricorrente più che denunciare
l’omesso esame di un fatto decisivo, deduce che non si sarebbero correttamente
apprezzate le dichiarazioni rese dai testi pur poste a fondamento della
decisione. Si tratta all’evidenza di una diverso apprezzamento del materiale
probatorio la cui valutazione è preclusa a questa Corte perché demandata, in
via esclusiva, al giudice del merito.

9. In conclusione, per le ragioni esposte, il
ricorso deve essere rigettato, restando assorbito l’esame della richiesta di
nuova valutazione delle censure formulate nell’appello (quanto alla misura
delle differenze spettanti in ragione del superiore inquadramento rivendicato
ed all’intervenuta prescrizione di una parte di esse), già ritenute assorbite
dalla Corte di merito per effetto dell’integrale rigetto della domanda
proposta.

10. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e
sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R.,
se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in € 3000,00
per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie
oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R.,
se dovuto.

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