Prassi – FONDAZIONE STUDI CDL – Approfondimento 15 ottobre 2020

Piani welfare premiali e criteri di erogazione dei benefit,
La Risoluzione n. 55/E 2020 dell’Agenzia delle
Entrate

 

PREMESSA

Le disposizioni normative in materia di welfare
aziendale sono volte ad incentivare il ricorso alle forme di sostegno ritenute
maggiormente meritevoli di tutela, ai fini del soddisfacimento di esigenze
sociali. Grande impulso, in tal senso, è stato dato dal legislatore sia con la legge n. 208/2015, che ha introdotto la
disciplina riguardante i premi di risultato, sia con interventi mirati ad
estendere il campo di applicazione oggettivo della disciplina di cui all’art. 51 del D.P.R. n. 917/1986
nella parte relativa alle retribuzioni non monetarie espresse in beni e servizi
che, in tutto o in parte, non concorrono a formare il reddito di lavoro
dipendente.

In merito a tale tematica, con la recente Risoluzione n. 55/2020 del 25 settembre scorso,
l’Agenzia delle Entrate ha fornito importanti chiarimenti proprio sui
regolamenti per il riconoscimento di credito da utilizzare in “welfare
aziendale”. In particolare, è stato preso in esame un piano welfare a carattere
premiale e incentivante per l’accrescimento della motivazione dei dipendenti,
attivato con due distinti regolamenti aziendali che, al raggiungimento di un
obiettivo minimo di fatturato per l’annualità 2019, riconoscono ai citati dipendenti
un credito welfare per l’anno 2020 da utilizzare attraverso una specifica
piattaforma web, che consentirebbe ai destinatari la fruizione di utilità
analiticamente individuate.

Seppure la citata Risoluzione rappresenti un parere
dell’Amministrazione finanziaria in riferimento ad una specifica fattispecie,
dal quale non scaturisce nessuna efficacia vincolante per la stessa (NOTA 1),
si ritiene opportuno valutarne i principali contenuti, nonché le criticità,
quali interessanti spunti di riflessione per comprendere i criteri di
valutazione della validità del singolo piano di welfare.

 

1. LA FUNZIONE DEL REGOLAMENTO DI UN PIANO DI
WELFARE

 

Il regolamento aziendale, anche a seguito alle
modifiche apportate all’art. 51 del
Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) dalle leggi di Bilancio del
2016 e del 2017, è diventato, insieme ai contratti e agli accordi
aziendali, uno degli strumenti attraverso i quali è possibile introdurre
un piano di welfare aziendale usufruendo dei relativi benefici fiscali e contributivi.

In base alla nuova formulazione della lettera f) dell’articolo 51, c. 2 del
TUIR, così come modificato dalla legge n.
208/2015, non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente
“l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro
volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di
regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di
dipendenti e ai familiari indicati nell’articolo 12 per le finalità di cui
al comma 1 dell’articolo 100”.

Tale modifica, rispetto alla precedente previsione,
ha dunque disposto l’esclusione, dal reddito di lavoro dipendente, delle opere
e dei servizi di cui al comma 1
dell’articolo 100, anche nelle ipotesi in cui siano riconosciuti sulla base
di contratti, accordi o regolamenti aziendali e non solo quando siano
volontariamente erogati dal datore di lavoro, uniformandone per tale aspetto la
disciplina a quella prevista dalle successive lettere f-bis), f-ter),
f-quater).

 

2. IL CONCETTO DI CATEGORIA

 

All’interno della Risoluzione
n. 55/E, l’Amministrazione finanziaria, ribadendo quanto già più volte
precisato (NOTA 2), ha sottolineato che il legislatore, a prescindere
dall’utilizzo dell’espressione “alla generalità dei dipendenti” ovvero a
“categorie di dipendenti”, non riconosce l’applicazione delle disposizioni
tassativamente elencate nel comma 2
dell’art. 51 del TUIR ogni volta che le somme oppure i servizi ivi indicati
siano rivolti ad personam, ovvero costituiscano dei vantaggi solo per alcuni e
ben individuati lavoratori.

L’espressione “categorie di dipendenti”, utilizzata
dal legislatore, non va intesa soltanto con riferimento alle categorie previste
nel codice civile (impiegati, operai, etc.), bensì a tutti i dipendenti di un
certo “tipo” o di un certo “livello” o “qualifica” (ad esempio tutti gli operai
del turno di notte) (NOTA 3), ovvero a un gruppo omogeneo di dipendenti. In
ragione di tali valutazioni, peraltro richiamate dalla stessa Agenzia delle
Entrate anche nelle note circolari n. 28/E del
2016 e 5/E del 2018, nel concetto di
generalità o categorie di dipendenti è ricompresa la messa a disposizione
dei benefit, nei confronti di un gruppo omogeneo di dipendenti, a prescindere
dalla circostanza che in concreto soltanto alcuni di essi ne usufruiscano.

Da ultimo si rammenta che, nel particolare contesto
dei premi di risultato agevolabili con detassazione al 10%, può configurarsi
quale “categoria di dipendenti” anche l’insieme di lavoratori che, avendo
convertito in tutto o in parte il premio di risultato in una quantità minima di
welfare, ricevono, anche da una fonte diversa rispetto all’accordo territoriale
o aziendale che disciplina lo stesso premio di risultato, una “quantità” di
welfare aggiuntivo rispetto al valore premiale, pure in ragione del risparmio
contributivo di cui a seguito di tale scelta beneficia il datore di lavoro
(NOTA 4).

 

3. WELFARE PREMIALE

 

L’Amministrazione finanziaria ha precisato che la
ratio sottesa alle disposizioni, di cui ai commi 2 e 3, ultimo periodo, dell’articolo 51 del TUIR, permane anche
nell’ipotesi in cui beni e servizi siano erogati a titolo premiale, ovvero per
gratificare i lavoratori del raggiungimento di un obiettivo aziendale. In tale
casistica, infatti, l’Agenzia ritiene prevalente l’aspetto di fidelizzazione,
che non viene meno anche qualora si propenda per graduare l’erogazione,
sempreché tale ripartizione non trovi giustificazione nella valutazione
dell’attività lavorativa del dipendente, sia singolarmente che in gruppo. Questa
interpretazione, peraltro, è contraria all’iniziale orientamento dell’AdE
riferito alla possibilità di predisporre piani di welfare legati alla
premialità, indifferentemente offerti alla generalità o a categorie omogenee di
dipendenti, che si ritrova inequivocabilmente nell’interpello 904-791/2017
(NOTA 5).

In merito a tale fattispecie è stato, altresì,
chiarito che risulta coerente con la disciplina, di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 51 del TUIR, il piano
welfare che premi i lavoratori dell’azienda che abbia incrementato il proprio
fatturato, con una graduazione dell’erogazione dei benefit in base alla
Retribuzione Annuale Lorda. Tuttavia, fermo restando il divieto di benefit
erogati in sostituzione di somme che compongono la retribuzione fissa o
variabile dei lavoratori, è stato evidenziato che non appare in linea con le
medesime disposizioni una ripartizione dei benefit riconosciuti ai dipendenti
effettuata in base alle presenze oppure alle assenze dei lavoratori in azienda.

Quest’ultima interpretazione non può essere tuttavia
condivisa in quanto la presenza del lavoratore nulla attiene alla qualità della
sua performance, ma sembra paradossalmente più connessa proprio a quell’aspetto
di fidelizzazione che la stessa Agenzia richiama come ratio giustificatrice ai
fini dell’erogazione dei benefit a titolo premiale con riconoscimento del
regime di non concorrenza reddituale garantito dall’attuale formulazione del
TUIR.

Si consideri, inoltre, che, in riferimento ai casi
in cui l’azienda volesse ripartire i premi a seconda delle presenze dei
lavoratori, l’AdE precisa, altresì, che è possibile attribuire un premio di
risultato differenziato, graduato in ragione della Retribuzione Annua Lorda dei
lavoratori dipendenti o in ragione dell’appartenenza del lavoratore ad un
determinato settore aziendale o anche in base ai giorni di assenza registrati
nel corso del periodo di maturazione del premio (NOTA 6).

 

4. DEDUCIBILITÀ DEI COSTI SOSTENUTI

 

Sul tema della deducibilità da parte del datore di
lavoro, l’Agenzia delle Entrate, confermando quanto precisato più volte dalla
Fondazione Studi Consulenti del Lavoro (NOTA 7), puntualizza che, per quanto
concerne la deducibilità, ai fini IRES, dei costi sostenuti dall’azienda per
l’attuazione di un piano welfare, nessuna criticità si rileva all’applicazione
dell’articolo 95 del TUIR,
laddove le utilità ricomprese nel piano e offerte ai dipendenti vengano
riconosciute in ragione di contratto, accordo o regolamento aziendale che
configuri l’adempimento di un obbligo negoziale.

Al riguardo, si rammenta, che la stessa
Amministrazione finanziaria, già nel corso del 2016, aveva precisato che,
relativamente alle fattispecie di cui alle lettere f), f-bis), f- ter) ed
f-quater) del comma 2 dell’articolo
51 del TUIR, “l’erogazione dei benefit in conformità a disposizioni di
contratto, di accordo o di regolamento che configuri l’adempimento di un
obbligo negoziale determina la deducibilità integrale dei relativi costi da
parte del datore di lavoro ai sensi dell’articolo 95 del TUIR, e non nel
solo limite del cinque per mille, secondo quanto previsto dall’articolo 100 del medesimo testo
unico” (NOTA 8).

Affinché un regolamento configuri l’adempimento di
un obbligo negoziale, lo stesso deve essere, quindi, non revocabile né
modificabile autonomamente da parte del datore di lavoro. Solo in tale ultima
ipotesi, infatti, l’atto nella sostanza sarebbe qualificabile come volontario,
con la limitazione della percentuale di deducibilità stabilita dall’articolo 100 del TUIR.

Ai sensi di quest’articolo, infatti, quando il
regolamento viene considerato come atto volontario del datore di lavoro, le
spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti
o categorie di dipendenti volontariamente, sostenute per specifiche finalità di
educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto,
sono deducibili per un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille
dell’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante
dalla dichiarazione dei redditi.

Viceversa, l’erogazione dei benefit in conformità a
disposizioni di contratto, di accordo o di regolamento, che configuri
l’adempimento di un obbligo negoziale, determina la deducibilità integrale dei
relativi costi da parte del datore di lavoro ai sensi dell’articolo 95 del TUIR. In
particolare, ai fini della detraibilità integrale da parte del datore di lavoro
dei costi per i servizi welfare concessi ai dipendenti, è necessario che
l’assegnazione degli stessi sia riconducibile ad un’obbligazione negoziale a
carico del datore di lavoro che non consenta allo stesso, per un determinato
periodo di tempo, di modificare o cessare unilateralmente e discrezionalmente
gli impegni assunti, senza che da questo non possa derivare nessun successivo
obbligo nei confronti dei lavoratori coinvolti, né tantomeno dei diritti di
qualsiasi natura in capo a questi ultimi. In tal caso, i lavoratori coinvolti
nel piano di welfare acquisiscono la titolarità di un diritto soggettivo dal
quale scaturisce un obbligo per il datore di lavoro, con tutte le conseguenze
di legge. Questa impostazione era stata inoltre confermata anche dalla risposta a interpello, n. 10 del 25 gennaio 2019,
in cui l’Amministrazione finanziaria aveva ulteriormente ribadito che “affinché
un regolamento configuri l’adempimento di un obbligo negoziale, lo stesso deve
essere, quindi, non revocabile né modificabile autonomamente da parte del datore
di lavoro. In tal caso, infatti, l’atto nella sostanza sarebbe qualificabile
come volontario”.

 

5. PREVIDENZA COMPLEMENTARE E CASSE SANITARIE

 

Il piano di welfare a carattere premiale, illustrato
dalla società istante nella Risoluzione n. 55/E
2020, contiene fra i benefit disponibili ai lavoratori beneficiari del
piano la possibilità di versare contribuzione aggiuntiva, anche in favore dei
familiari fiscalmente a carico, al Fondo di previdenza complementare chiuso di derivazione
contrattuale, nonché a Fondi aperti così come illustrati dall’art. 12 del D.Lgs. n. 252/2005.
Tale particolare tipo di benefit riveste, all’interno del piano, la funzione di
“benefit di chiusura”. Infatti, l’istante nella prima parte della Risoluzione
specifica, in caso di mancato utilizzo del credito welfare da parte dei
lavoratori entro il 30 novembre 2020, che questo sarà versato automaticamente
alla posizione individuale di previdenza complementare o, alternativamente,
azzerato.

In riferimento al regime fiscale dei premi di
previdenza complementare, va ricordato come i contributi a tale tipologia di
previdenza costituiscano oneri deducibili ai sensi dell’art. 10, lett. e-bis) del TUIR, non
concorrendo alla formazione del reddito imponibile entro il massimale stabilito
dalla legge su base annua, considerando sia i premi a carico del datore di
lavoro, sia quelli del lavoratore. Il limite di deducibilità dal reddito è
fissato in 5.164,57 euro per anno (inclusi i premi a carico di datore di lavoro
e lavoratore, ma non l’eventuale devoluzione, parziale o completa, del
trattamento di fine rapporto), ai sensi dell’art. 8, commi 4 e 6 del D.Lgs. n.
252/2005. Tale limite annuale viene aumentato, per i primi anni di
contribuzione, di un importo non superiore a 2.582,29 euro per i lavoratori di
prima occupazione (con primo versamento a contribuzione sociale obbligatoria
successiva all’1.1.2007, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 252/2005). Come illustrato dalla stessa
Amministrazione finanziaria, al par. 2.8 della circolare
n. 70/E del 2007, i lavoratori di prima occupazione, trascorsi i primi
cinque anni di iscrizione a uno o più fondi, nel caso in cui non avessero
esaurito il plafond di deducibilità annuale, potranno sommare la capienza non
oggetto di deduzione rispetto al plafond nei cinque anni, recuperandola nei 20
anni successivi per un massimo di 25.822,85 euro, con un limite di deduzione
annuo di 7.746,86 euro.

Anche nel caso del premio versato come contribuzione
aggiuntiva ai fondi di previdenza complementare, per effetto di esplicita opzione
del lavoratore beneficiario di un credito welfare o, ancora, per effetto della
clausola di chiusura del piano in esame, l’Agenzia ha confermato che tale
versamento risulterà deducibile a condizione che siano rispettati i limiti
annuali sopra ricordati. Nella Risoluzione in commento viene ricordato anche
che il versamento dei contributi al fondo pensione sarà effettuato direttamente
dal datore di lavoro ed esposto nella Certificazione Unica rilasciata al
dipendente (in particolare i punti da 411 a 427 rispetto al modello della CU
2020, non rientrando nelle opere e servizi per piani di welfare esposti ai
punti 701 e seguenti); conseguentemente, il dipendente non sarà tenuto ad
alcuna comunicazione al proprio fondo di previdenza complementare in relazione
al credito welfare destinato a tale finalità, salvo nel caso che questo ecceda
la quota di deducibilità annua. In questa circostanza, infatti, si osserverà
l’adempimento a carico dei lavoratori di segnalare al fondo, entro il 31
dicembre dell’anno di versamento del premio, l’esatto ammontare dei contributi
versati in eccedenza nell’anno rispetto al limite annuo di deducibilità che la
normativa individua in 5.164,57 o 7.746,86 euro, come sopra anticipati.

Può essere utile ricordare che, nel caso oggetto della
Risoluzione, non si applicherà l’ulteriore limite di deducibilità di 3.000 euro
su base annua previsto dalla L. n. 232/2016,
che ha introdotto il c. 184-bis
nell’art. 1 della L. 208/2015. La norma del 2016, modificativa della legge
di Bilancio, che aveva fissato stabilmente i premi di risultato nel nostro
ordinamento, prevede l’ampliamento dei limiti di deducibilità solo in caso di
conversione del premio di risultato in contributi alle forme di previdenza
complementare ex D.Lgs. 252/2005, alle casse
sanitarie registrate presso l’anagrafe del Ministero della Salute o, ancora, in
azionariato, facendo sì che, ai fini delle imposte sui redditi, tale
conversione del premio di risultato non configurerà reddito imponibile ai fini
fiscali. Ciò resta valido anche se una o più delle tre fattispecie reddituali
in esame ecceda nel complesso i tradizionali limiti di esenzione fiscale
presenti nel nostro ordinamento (5.164,57 per la previdenza complementare, come
sopra esposto; 3.615,2 per l’assistenza sanitaria integrativa, erogata a mezzo
di casse mutualistiche iscritte presso l’anagrafe del Ministero della Salute;
2.065,83 euro nel caso di azioni conferite liberamente ai dipendenti,
contrariamente a quanto previsto, invece, per i cd. piani di stock options).
Per incentivare ancora di più il ricorso ai fondi pensione, il legislatore ha
altresì previsto che, oltre all’innalzamento di deducibilità, per il lavoratore
che scelga di convertire il proprio premio di risultato detassabile in un
contributo al fondo di previdenza complementare al momento della fruizione
della prestazione erogata dal fondo (capitale, rendita, Rita o anche riscatto e
anticipazione), la quota derivata dalla contribuzione, effetto di una originale
conversione dal premio detassabile, non sarà comunque assoggettabile a imposte
(sul punto cfr. circolare dell’Agenzia delle
Entrate n. 5/E del 2018, parr. 2.2 e 2.3). Questo particolare caso è stato,
fra gli altri, oggetto di analisi da parte della Amministrazione finanziaria
all’interno della risposta a interpello n.
212/2019, la quale aveva anche accertato che il momento impositivo
rilevante, per verificare il rispetto dei limiti di deducibilità per la
contribuzione alla previdenza complementare, doveva situarsi nel periodo
d’imposta in cui il datore di lavoro effettua il relativo versamento al fondo
di previdenza o cassa sanitaria sulla posizione del dipendente. Una fattispecie
che, tuttavia, non riguarda in alcun modo quanto trattato dalla Risoluzione n. 55/E del 2020, in quanto l’istante
non ha sottoposto all’Agenzia l’esame di un piano di welfare frutto di
conversione del premio di risultato detassabile al 10%, ma piuttosto le opzioni
di fruizione di un piano di cd. “welfare puro” che non consente, dunque,
l’ampliamento, per un limite di ulteriori 3.000 euro, della deducibilità annua
dei contributi di previdenza complementare. Nel caso in esame potrà, inoltre,
tornare utile anche il chiarimento fornito dalla Covip nel settembre 2019, nel
contesto del premio di risultato di un lavoratore che aveva chiesto che lo
stesso venisse destinato non all’attuale forma di previdenza complementare
accessibile per comparto al datore di lavoro, ma alla precedente cui era
iscritto durante il pregresso rapporto di lavoro e a cui aveva mantenuto
l’iscrizione anche dopo la cessazione di quel rapporto. La Covip, in quel caso,
aveva ritenuto legittima tale richiesta rimandando al tenore letterale
dell’accordo collettivo che disciplinava il premio di risultato. La Risoluzione n. 55, a pag. 14, riporta che la
destinazione del credito welfare può avvenire al fondo negoziale o a un fondo
aperto, non prevedendo dunque il versamento a forme previdenziali complementari
derivate da rapporti pregressi. In ultimo, va ricordato anche che il
versamento, nell’ambito del piano welfare oggetto della Risoluzione, alla forma
di previdenza complementare negoziale o aperta farà sorgere, in capo al datore
di lavoro, l’obbligo di versare la contribuzione di solidarietà al 10%, secondo
quanto disposto dall’art. 12
c. 4 lett. f della L. n. 153/1969 come modificata dal D.Lgs. n. 314/1997, in quanto tale contribuzione,
pur se opzionata dal lavoratore, appare a carico del datore di lavoro (NOTA 9).

 

6. QUALI ALTERNATIVE IN QUESTO MOMENTO EMERGENZIALE?

 

Alla luce della crisi sanitaria e delle rinnovate
esigenze dei lavoratori, si ritiene utile evidenziare come, all’interno dei
piani welfare, si possano prevedere delle componenti che non riguardano
esclusivamente la sfera economica, in quanto attengono alla parte organizzativa
del lavoro, e sono volte a sostenere i lavoratori nella ricerca e nel
mantenimento del work-life balance. Con tale termine si intende un concetto
ampio che indica la capacità di conciliare in modo equilibrato il lavoro,
inteso come carriera e ambizioni professionali, con la vita privata, ovvero la
famiglia, lo svago e più in generale il tempo libero. In tal senso, gli
accorgimenti in favore dei lavoratori possono essere molteplici. Ad esempio, le
imprese possono prevedere forme di smart working, così come disciplinato dalla legge n. 81/2017 e più volte ampliato dai singoli
interventi del legislatore di emergenza (da ultimo nella legge di conversione
del D.L. 104/2020, n.
126/2020), oppure l’utilizzo dello strumento della banca ore o della
flessibilità dell’orario di lavoro in entrata e in uscita, o ancora attraverso
servizi mirati al soddisfacimento delle esigenze delle lavoratrici madri anche
mediante servizi di nido aziendale e/o baby sitting. A proposito dei premi di
risultato, come rappresentato dalla Risoluzione n.
36/E del 26 giugno scorso, dove è stato ritenuto legittimo un accordo
“modificativo” in corso d’anno di un contratto integrativo che adatti gli
obiettivi del premio di risultato con una riparametrazione dell’ammontare del
premio agevolabile ai fini dell’applicazione dell’imposta sostitutiva, potrà
essere ipotizzabile altresì una modifica in corso d’opera dei regolamenti e dei
piani di welfare che adattino i benefit concessi ai dipendenti (si pensi ad
alcuni benefit ricreativi come i pacchetti di viaggio e soggiorno all’estero a
oggi difficilmente utilizzabili) al complicato momento vissuto dai lavoratori e
dalle imprese nella difficile ripartenza contestuale al superamento della crisi
epidemiologica in corso.

 

Note:

(1) Come ricordato, ad esempio, dalla sentenza pronunciata dalla
Corte di Cassazione a sezioni unite il 2 novembre
2007, n. 23031

(2) In particolare, sul tema l’AdE con la circolare n. 326/E/1997, riguardo al concetto di
generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti, ha precisato che si debba
intendere: “la generica disponibilità verso un gruppo omogeneo di dipendenti
(anche se alcuni di questi non fruiscono di fatto delle opere o servizi o delle
somme), poiché, invece, qualunque somma attribuita ad personam costituisce
reddito di lavoro dipendente”

(3) Circolare n. 188/E/1998

(4) Circolare n. 5/E/2018

(5) Con l’interpello n. 904-791/2017 e la relativa risposta
fornita dalla Direzione Regionale Lombardia dell’Agenzia delle Entrate del 28
luglio 2017, i funzionari dell’Agenzia hanno ammesso la possibilità di
strutturare il piano welfare subordinando l’accesso ai vari servizi al
raggiungimento di determinati obiettivi di performance aziendale e individuale
con espressa indicazione del “credito welfare”, attribuibile in funzione del
livello di ottenimento di tali obiettivi

(6) Circolare n. 5/E/2018

(7) “Il manuale del welfare per il Consulente del Lavoro” edito
da TeleConsul Editore

(8) Circolare n. 28/E del 2016

(9) Cfr. Approfondimento Fondazione
Studi Consulenti del Lavoro del 26 ottobre 2018

Prassi – FONDAZIONE STUDI CDL – Approfondimento 15 ottobre 2020
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