Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 dicembre 2020, n. 27557

Allestitore addetto al deposito-officina, Periodi di lavoro
per cui era stato esposto ad amianto, Beneficio della rivalutazione
contributiva ex art. 13, I. n.
257/1992, Probabilità di una esposizione significativa del lavoratore alla
sostanza morbigena

 

Rilevato in fatto

 

Che, con sentenza depositata il 5.4.2014, la Corte
d’appello di Napoli ha confermato, con diversa motivazione, la pronuncia di
primo grado che aveva rigettato la domanda di L.I. volta ad ottenere il
beneficio della rivalutazione contributiva ex art. 13, I. n. 257/1992, per i
periodi di lavoro in cui era stato esposto ad amianto in qualità di allestitore
addetto al deposito-officina di S. Giovanni dell’Azienda Napoletana Mobilità;
che avverso tale pronuncia L.I. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo
cinque motivi di censura, successivamente illustrati con memoria; che l’INPS ha
resistito con controricorso;

 

Considerato in diritto

 

Che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia
violazione dell’art. 2697 c.c. per avere la
Corte di merito ritenuto, in contrasto con la documentazione versata in atti,
che la presenza di significativi valori di concentrazione di amianto fosse
stata accertata solo in due dei depositi-officina dell’azienda ove egli
prestava servizio, con esclusione di quello cui egli era addetto;

che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta
violazione e falsa applicazione dell’art.
13, I. n. 257/1992, per avere la Corte territoriale ritenuto che il
beneficio della rivalutazione spettasse in relazione alle mansioni espletate e
non in funzione dell’esposizione all’amianto;

che, con il terzo motivo, la medesima censura di
violazione di legge è reiterata per avere la Corte di merito ritenuto l’assenza
di esposizione ultradecennale al rischio amianto, nonostante vi fossero in atti
tutti gli elementi probatori;

che, con il quarto motivo, il ricorrente si duole di
violazione degli artt. 421, 437 e 213 c.p.c.
per non avere la Corte territoriale disposto accertamenti d’ufficio al fine di
pervenire comunque a chiarire la verità materiale; che, con il sesto motivo, il
ricorrente deduce violazione degli artt. 424 e 61 c.p.c. per non avere la Corte di merito fatto
ricorso a CTU;

che il primo motivo è inammissibile, essendo
consolidato il principio secondo cui una violazione dell’art. 2697 c.c. censurabile per cassazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. è configurabile soltanto
nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una
parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione
delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni,
non anche quando – come nella specie – la censura concerna la valutazione che
il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, che invece è
sindacabile in sede di legittimità entro i limiti dell’art. 360 n. 5 c.p.c. (cfr. da ult. Cass. n. 13395
del 2018);

che il secondo motivo è infondato, evincendosi dalla
sentenza impugnata che lo svolgimento di determinate mansioni piuttosto che di
altre è stato utilizzato dai giudici territoriali soltanto come criterio per
valutare la probabilità di una esposizione significativa del lavoratore alla
sostanza morbigena (cfr. pagg. 14-15 della sentenza cit.); che, con riguardo al
terzo motivo, va preliminarmente ricordato che il vizio di violazione di legge
consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento
impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica
necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione
di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze
di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla
tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità
se non nei ristretti limiti dell’art. 360 n. 5
c.p.c. (cfr. tra le più recenti Cass. nn. 24155 del 2017 e 3340 del 2019);
che, nella specie, il motivo di censura incorre precisamente nella confusione
dianzi chiarita, dal momento che, pur essendo formulato con riguardo ad una
presunta violazione delle disposizioni di legge indicate nella rubrica,
pretende inammissibilmente di criticare l’accertamento di fatto che la Corte
territoriale ha compiuto circa l’insussistenza, in specie, di prova di
esposizione ultradecennale qualificata al rischio amianto;

che del pari inammissibile è il quarto motivo,
giacché, costituendo il potere discrezionale di cui all’art. 437 c.p.c. nient’altro che una manifestazione
di quel potere-dovere volto a contemperare il principio dispositivo che regge
il processo del lavoro con quello della ricerca della verità materiale (cfr. ad
es. in tal senso Cass. n. 19305 del 2016), la
sua censurabilità in sede di legittimità deve ritenersi possibile, analogamente
a quanto previsto a proposito del simmetrico potere di cui all’art. 421 c.p.c., solo qualora la parte abbia
preventivamente investito il giudice di una specifica richiesta in tal senso
(cfr. Cass. n. 14731 del 2006), ciò di cui nel
ricorso per cassazione non vi è traccia alcuna;

che infondato, infine, è il quinto motivo, atteso
che il giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della
consulenza tecnica rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la
cui decisione è, di regola, incensurabile in sede di legittimità, salvo il caso
che la decisione della controversia dipende unicamente dalla risoluzione di una
questione tecnica, nel senso che i fatti da porre a base del giudizio non
possono essere altrimenti provati ed accertati (Cass. n. 4853 del 2007 e,
proprio con riferimento al rischio amianto, Cass.
n. 6543 del 2017), ciò che nella specie è avvenuto, avendo fatto i giudici
di merito ricorso a relazioni tecniche e consulenze tecniche d’ufficio disposte
in altro processo e acquisite agli atti (cfr. pagg. 15 – 16 della sentenza
impugnata);

che il ricorso, conclusivamente, va rigettato,
provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità,
giusta il criterio della soccombenza;

che, in considerazione del rigetto del ricorso,
sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla
rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in €
3.200,00, di cui € 3.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari
al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002,
dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da
parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.

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