Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 gennaio 2021, n. 3494

Infortunio sul lavoro, Lesione personale gravissima
consistita in un trauma da schiacciamento compressivo da pressa con conseguente
amputazione degli arti inferiori, Responsabilità, Macchinario non rispondente
alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e
sicurezza sul lavoro

 

Ritenuto in fatto

 

1. La Corte di Appello di Roma, con la sentenza in
epigrafe, ha parzialmente confermato la sentenza del Tribunale di Tivoli del
3/03/2017 nella parte in cui M.F. è stato ritenuto responsabile del reato di
cui al capo A (reato di cui agli artt. 41, 590 commi 1, 2 e 3, e 583
comma 2 n.3, cod. pen.) per aver cagionato al lavoratore A.C.V. una lesione
personale gravissima consistita in un trauma da schiacciamento compressivo da
pressa con conseguente amputazione degli arti inferiori. In Tivoli il 30
dicembre 2012.

2. Con particolare riferimento alla posizione di
M.F., la sentenza impugnata ha ritenuto provato che l’imputato, quale
amministratore della I. s. r. I., avesse concesso in uso all’impresa datrice di
lavoro dell’infortunato una pressa e nastro trasportatore nonché i dispositivi
di protezione individuali non rispondenti alle disposizioni legislative e
regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro. La Corte di
Appello, in particolare, ha precisato che, diversamente da quanto indicato nel
capo di imputazione e nella sentenza di primo grado, la persona giuridica che
aveva fornito il macchinario, della quale l’imputato era amministratore, fosse
la I. s.r.l. piuttosto che il Consorzio R.I.

 3. Il fatto è
così ricostruito nella sentenza impugnata: nel mese di dicembre 2012 la
Cooperativa Sociale Servizio Ambiente aveva assunto alle proprie dipendenze A.
C. V. con le mansioni di incaricato alla selezione ed allo smistamento dei
rifiuti; domenica 30 dicembre dello stesso anno il lavoratore era stato convocato
da un superiore presso la sede di lavoro, nonostante fosse il suo giorno di
riposo, ed era stato destinato al compimento di attività da lui mai svolte in
precedenza, consistenti nell’inserimento della carta da riciclare sul nastro
che l’avrebbe poi trasportata alla pressa schiaccia-rifiuti; alle 13:30 la
pressa si era bloccata a causa dell’eccessivo volume di carta inserita e un
collega aveva incaricato l’A. di sbloccare la pressa; tale operazione era stata
eseguita, secondo le istruzioni impartite dal collega, mediante posizionamento
(è del lavoratore con i piedi direttamente sulla carta bloccata; sebbene il
lavoratore avesse preventivamente spento l’interruttore del nastro
trasportatore, una volta salito con entrambi i piedi sul bocchettone della pressa,
l’improvviso sblocco del macchinario lo aveva fatto scivolare al suo interno
con amputazione di entrambi gli arti inferiori; l’ispettore della Asl aveva
riscontrato che il macchinario era stato arbitrariamente assemblato in un unico
percorso produttivo, cosicché il nastro era privo di attrezzature di protezione
e lo spegnimento del nastro non interrompeva la lavorazione della pressa, né vi
erano postazioni per intervenire sulla pressa al fine di sbloccare
l’intasamento della carta; lo stesso ispettore aveva accertato che il
macchinario era stato fornito dalla I. s.r.l. con contratto del 19 dicembre
2012.

4. F. M. propone ricorso per cassazione deducendo,
con un primo motivo di ricorso, violazione di legge sotto il profilo
dell’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità,
segnatamente gli artt. 521, comma 2, e 522 cod. proc. pen. sul presupposto che nella
sentenza della Corte d’Appello la responsabilità penale dell’imputato sia stata
affermata in relazione alla sua qualità di amministratore della società I.
s.r.I., laddove sia nel capo di imputazione ché nella sentenza di primo grado
egli era imputato e condannato in qualità di amministratore del Consorzio R.I..

4.1. Con un secondo motivo il ricorrente deduce
difetto di motivazione, omesso confronto con elementi prospettati nel secondo
motivo di appello e travisamento della prova in quanto la Corte d’Appello non
avrebbe esaminato i dati fattuali specificamente dedotti dalla difesa nell’atto
di impugnazione: in particolare, il contratto di consegna di macchinari del 19
dicembre 2012 avrebbe dovuto costituire oggetto, secondo il ricorrente, di un
più rigoroso, effettivo e completo esame, sia perché aveva ad oggetto
separatamente la pressa e il nastro trasportatore, sia perché il contratto di
comodato esonerava la I. s.r.l, da ogni responsabilità in merito al
funzionamento ed alle modalità di utilizzo dei macchinari, soprattutto se
oggetto di modifica e di utilizzo “in linea di produzione”, da ciò
desumendosi che l’assemblaggio in un unico processo produttivo non fosse
riconducibile al cedente e che, singolarmente considerati, i due macchinari
erano a norma, come chiaramente ammesso dall’ispettore del lavoro nel corso
dell’esame del 25 settembre 2015.

4.2. Con il terzo motivo deduce motivazione
contraddittoria in merito agli argomenti svolti sul nesso causale tra
concessione dei macchinari, obblighi del datore di lavoro ed evento
verificatosi. In particolare, il ricorrente deduce che con l’atto di appello
aveva indicato come assolutamente inconciliabili la concessione di nastro e
pressa in comodato singolarmente individuati, la modifica nel sistema di
utilizzo dei predeti macchinari da parte del datore di lavoro e le conseguenze
di tale modifica a danno del lavoratore.

4.3. Con il quarto motivo deduce erronea
applicazione di legge penale e manifesta illogicità della motivazione per il
mancato riconoscimento delle  circostanze
attenuanti generiche, con particolare riferimento, da un lato,  all’omesso esame della critica mossa
all’equiparazione della posizione di M.F. a quella del datore di lavoro e,
dall’altro, all’immotivata sanzione da parte del Tribunale della legittima
scelta processuale del ricorrente di rimanere contumace. Con riguardo ai
parametri indicati dall’art.133 cod. pen., il
ricorrente si duole del fatto che la Corte di Appello abbia tralasciato di
valutare il grado della – colpa, l’esigibilità della condotta rispetto a quella
del datore di lavoro, la condotta della vittima e la capacità a delinquere del
reo ed, in particolare, l’assenza di precedenti penali.

5. Il difensore della persona offesa A.C.V. ha
depositato memoria, sostenendo l’inammissibilità del ricorso.

6. Con memoria del 29 dicembre 2020 il difensore del
ricorrente ha insistito nei motivi di ricorso.

 

Considerato in diritto

 

1. Considerazione preliminare è quella che concerne
il termine di prescrizione del reato, commesso in data 30 dicembre 2012; il
predetto termine non è alla data della decisione spirato in quanto, anche a
prescindere dalla sospensione operante a norma dell’art. 83, comma 2, d.l. 17 marzo
2020, n. 18, conv. con modif. dalla L. 24
aprile 2020, n.27, è stato sospeso dal 17 dicembre 2018 al 15 luglio 2019
con provvedimento reso in data 17/12/2018 e 11/04/2019 per adesione dei
difensori all’astensione dalle udienze (Sez. 3, n. 11671 del 24/02/2015,
Spignoli, Rv. 26305201).

2. Fatta tale premessa, deve esaminarsi il primo
motivo di ricorso, che è infondato.

2.1. Per ritenere sussistente la violazione del
principio di correlazione di cui all’art. 521 cod.
proc. pen., non è sufficiente qualsiasi modificazione dell’accusa
originaria, ma è necessario che il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto
a quello contestato in rapporto di eterogeneità e di incompatibilità
sostanziale, nel senso che si sia verificata una vera e propria trasformazione,
sostituzione o variazione del contenuto essenziale dell’addebito nei confronti
dell’imputato, il quale si troverebbe sottoposto a sorpresa di fronte ad un
fatto del tutto nuovo senza avere la possibilità di apprestare adeguata difesa.
Il principio non risulta, al contrario, violato quando nei fatti, così come
contestati, ovvero ritenuti nella decisione del giudice di merito, si possa
parimenti individuare un nucleo comune, costituito nel caso concreto dalla
qualifica, attribuita a F. M., di legale rappresentante della persona giuridica
che ha concesso in uso al datore di lavoro dell’infortunato un macchinario non
rispondente alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di
salute e sicurezza sul lavoro, in violazione dell’art.23, comma 1, d.lgs. 9 aprile
2008, n.81 ritualmente contestato.

2.2. La dedotta violazione non sussiste in ragione
del fatto che, nel capo di imputazione, sono stati contestati gli elementi
fondamentali idonei a porre l’imputato in condizioni di difendersi dal fatto
successivamente ritenuto in sentenza, da intendersi come accadimento storico
oggetto di qualificazione giuridica da parte della legge penale, individuato
dal giudice nei suoi esatti contorni. Tale orientamento interpretativo, oltre
che del tutto conforme ai principi costituzionali racchiusi nella norma di cui
al novellato art.111 Cost. è conforme all’art. 6 della Convenzione E.D.U., siccome
interpretato, in base alla sua competenza esclusiva, dalla Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo, a partire dalla nota pronuncia della Corte di Strasburgo,
nel caso Drassich v. Italia (Sez. 5, n. 19380 del 12/02/2018, Adinolfi, Rv.
27320401). Una corretta applicazione dì tali principi rende del tutto evidente
come, nel caso in esame, difetti una lesione del diritto di difesa, alla cui
salvaguardia il principio di correlazione è direttamente funzionale, neppure
apprezzandosi un rapporto di eterogeneità del fatto ritenuto dal giudice di
appello rispetto a quello contestato (Sez.6, n. 422 del 19/11/2019, dep.2020,
Petittoni Charly, Rv. 27809301), avendo peraltro il ricorrente approntato la
sua difesa con specifico riferimento ai contenuti del contratto di comodato
d’uso datato 19 dicembre 2012.

3. Il secondo motivo di ricorso è infondato.

3.1. Secondo quanto si evince dalla lettura delle
sentenze di merito, tali pronunce sono conformi con specifico riguardo al
fatto, dirimente, che la persona giuridica di cui il ricorrente era legale
rappresentante avesse concesso in uso al datore di lavoro dell’A. un
macchinario non conforme alla normativa antinfortunistica.

3.2. L’argomento secondo il quale la pressa ed il
nastro trasportatore fossero a norma e fossero stati successivamente assemblati
dalla Società Cooperativa Servizio Ambiente, che il ricorrente ritiene
travisato e trascurato dal giudice di appello, era stato già espressamente
affrontato e sconfessato nella sentenza di primo grado, sul presupposto che il
macchinario fosse stato concesso in uso appena nove giorni prima
dell’infortunio. Su tale particolare rilievo, non erano state mosse censure di
sorta nell’atto di appello. Trova, quindi, applicazione un principio
interpretativo consolidato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione,
secondo il quale, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di
motivazione, quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa,
si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima
sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, le
due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico
complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n.37295 del 12/06/2019, E, Rv.
27721801).

3.3. Giova, inoltre, evidenziare la genericità del
motivo di ricorso in esame nella parte in cui suggerisce un collegamento logico
tra il dedotto vizio di motivazione e l’esercizio del diritto di difesa
sollecitato dall’attribuzione della responsabilità al M. quale legale rappresentante
della Innocenzi s.r.l. anziché del Consorzio R.I..

3.4. Con riguardo al rilievo secondo il quale il
contratto di comodato prevedeva il totale esonero da responsabilità del
comodante «in merito al  funzionamento ed
alle modalità di utilizzo dei macchinari, soprattutto se oggetto di modifica e
utilizzate in linea di produzione», va osservato che la responsabilità penale
del ricorrente non è fondata sulla previsione dell’art.113
cod. pen. Ma sulla contestata violazione degli artt.
41, 590, commi 1,2, e 3, 583, comma 2, n.3 cod. pen. in relazione all’art. 23, comma 1, d. Igs. n.81/2008.
La condotta del comodante si pone, in altre parole, in diretto nesso causale
con l’infortunio occorso al lavoratore in virtù della specifica previsione
dell’art.23 d. Igs. n.81/2008.
Tale norma individua un particolare divieto a carico di colui che concede in
uso macchinari ed attrezzature di lavoro non conformi alle prescrizioni
antinfortunistiche, dalla cui violazione derivano conseguenze di rilievo penale
che non possono essere eluse con una clausola di esonero da responsabilità
contenuta in un contratto, che comporta effetti civili oltretutto limitati alle
parti dell’accordo, secondo il principio generale dettato dall’art.1372 cod. civ..

4. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente
infondato. La censura muove dal presupposto che al datore di lavoro fosse
ascritta la modifica del macchinario; si tratta di assunto che non trova
conferma negli atti. Il datore di lavoro dell’A. è stato, pacificamente, ritenuto
responsabile di aver messo a disposizione dei dipendenti un’attrezzatura
costituita da pressa e nastro trasportatore assemblati in un unico processo
produttivo «indipendentemente da chi avesse materialmente compiuto
l’assemblaggio dei macchinari», con motivazione logicamente compatibile con
l’attribuzione alla parte comodante della condotta contestata.

5. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente
infondato. Si osserva che la decisione impugnata risulta sorretta da conferente
apparato argomentativo, che rispetta appieno la previsione normativa, anche per
quanto concerne la determinazione del trattamento sanzionatorio. E appena il
caso di considerare che in tema di valutazione dei vari elementi per la
concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di
comparazione e per quanto riguarda la determinazione della pena ed i limiti del
sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Suprema
Corte non solo ammette la cosiddetta motivazione implicita (Sez. 6, n. 36382 del
04/07/2003, Dell’Anna, Rv. 22714201) o con formule sintetiche (tipo «si ritiene
congrua», Sez. 4, n. 23679 del 23/04/2013, Viale, Rv. 25620101; Sez. 6, n. 9120
del 02/07/1998, Urrata, Rv. 21158301), ma afferma anche che la ratio della
disposizione di cui all’art.62 bis cod. pen. non impone al giudice di merito di
esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo,
invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza
ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti, indicati dalla Corte di
Appello nel caso in esame nella circostanza che 
l’imputato non avesse manifestato alcun segno di resipiscenza,
trascurando di comparire nelle aule di giustizia e non offrendo soluzioni
risarcitorie ad una persona offesa così gravemente danneggiata (Sez. 5, n.43952
del 13/04/2017 , Pettinelli, Rv. 27126901; Sez.2, n.3896 del 20/01/2016, De
Cotiis, Rv. 26582601). Sebbene la contumacia non possa considerarsi di per sé
elemento ostativo alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, è
evidente che nel caso di specie la mancata comparizione dell’imputato nelle
aule di giustizia sia stata valutata come indice sintomatico dell’assenza di un
esame critico della propria condotta da parte dell’imputato, anche in vista di
un obiettivo di riparazione del danno.

6. Conclusivamente, il ricorso deve essere
rigettato. In applicazione dell’art.616 cod. proc.
pen., al rigetto dei ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte
civile costituita A. C. V. in questo giudizio di legittimità liquidate come in
dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute
in questo giudizio di legittimità dalla parte civile costituita A.C.V., che
liquida in complessivi euro tremila, oltre accessori di legge.

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