Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 gennaio 2021, n. 2094

Tributi, IRAP, Studio commercialisti associati,
Imponibilità dei compensi dell’attività professionale

 

Rilevato che

 

Lo Studio commercialisti associati di P.R., C.E. e
B.B. ricorre con un unico motivo avverso l’Agenzia delle entrate per
l’annullamento della sentenza n.72/08/13 della Commissione tributaria regionale
del Friuli – Venezia Giulia, pronunciata il 24 settembre 2013, depositata in
pari data e non notificata, che ha rigettato l’appello del contribuente, in
controversia relativa all’impugnazione dell’avviso di accertamento che ha
ritenuto assoggettabili ad Irap i compensi dell’attività professionale
dell’anno di imposta 2005;

l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;

Il ricorso è stato fissato per la Camera di
Consiglio del 18 novembre 2020, ai sensi degli artt.
375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc.
civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;

il ricorrente ha depositato memoria;

 

Considerato che

 

con l’unico motivo, il ricorrente denunzia la
violazione dell’art. 1 comma 2, e
dell’art.2, comma 1, d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.;

secondo il ricorrente, la C.t.r. avrebbe erroneamente
ritenuto integrato il presupposto d’imposta per l’Irap, cioè la sussistenza di
un’autonoma organizzazione per l’esercizio dell’attività professionale
(prevalentemente di revisore o sindaco di società terze);

il motivo è infondato e va rigettato;

come si è detto, <<in tema di IRAP,
l’esercizio in forma associata di una professione liberale (nella specie
dottore commercialista) rientra nell’ipotesi regolata dalla lett. c) del comma
1 dell’art. 3 del d.lgs. 15 dicembre
1997, n. 446 e costituisce, quindi, in base alla seconda parte del comma 1
dell’art. 2 del medesimo d.lgs.,
presupposto dell’imposta, prescindendosi completamente dal requisito
dell’autonoma organizzazione>> (Cass. Sez.
5, Ordinanza n. 16784 del 16/07/2010; vedi anche Cass. n. 15245/2010; Cass.
n. 13716/2010);

ciò in quanto <<l’esercizio in forma associata
di una professione liberale (nella specie, dottore commercialista) è
circostanza di per sé idonea a far presumere l’esistenza di una autonoma
organizzazione di strutture e mezzi, ancorché non di particolare onere
economico, nonché dell’intento di avvalersi della reciproca collaborazione e
competenze, ovvero della sostituibilità nell’espletamento di alcune incombenze,
sì da potersi ritenere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente
della professionalità di ciascun componente dello studio. Ne consegue che
legittimamente il reddito dello studio associato viene assoggettato all’imposta
regionale sulle attività produttive (IRAP), a meno che il contribuente non
dimostri che tale reddito è derivato dal solo lavoro professionale dei singoli
associata>> (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 13570
del 11/06/2007; conf. Cass. n.17186/2008);

né a diversa soluzione può portare la circostanza
dedotta dal ricorrente, secondo cui nel caso di specie l’attività professionale
era quasi esclusivamente quella di revisore o sindaco di società terze, poiché,
come è stato rilevato, <<non vi è nessun necessario automatismo, che, in
conseguenza dell’esercizio dell’attività di titolare di cariche organiche di
compagini terze, esoneri inevitabilmente dall’imposizione il professionista,
sul quale grava invece, pacificamente (Cass.
11/04/2017, n. 9325), rispetto alla domanda di rimborso dell’i.r.a.p. già
versata ed asseritamente non dovuta, l’onere di provare l’assenza del
presupposto d’imposta, ovvero dell’autonoma organizzazione >> (Cass. n.4576/2019 citata, in motivazione, pagg.7
e 8);

nel caso di specie, lo studio associato non ha
dedotto, né tanto meno dimostrato, che parte dei proventi dichiarati fosse
riconducibile all’attività di amministratore o sindaco, svolta a titolo
individuale da taluni degli associati, limitandosi ad evidenziare la natura
dell’attività, cui si riferiva gran parte dei compensi;

pertanto, il motivo non risulta fondato e va
rigettato;

in via subordinata, nelle conclusioni, senza
sviluppare un vero e proprio motivo di ricorso, il ricorrente ha chiesto
dichiararsi non applicabili le sanzioni, trattandosi di materia controversa;

<<in tema di sanzioni amministrative per
violazioni di norme fiscali, sussiste il potere del giudice tributario di
dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni, anche in sede di legittimità, per
errore sulla norma tributaria, in caso di obiettiva incertezza sulla portata e
sull’ambito applicativo della stessa, solo in presenza di una domanda del
contribuente formulata nei modi e nei termini processuali appropriati, che non
può essere proposta per la prima volta nel giudizio di appello o nel giudizio
di legittimita>> (Cass. Sez. 6 – 5,
Ordinanza n. 14402 del 14/07/2016);

la suddetta istanza è, quindi, inammissibile perché
è genericamente formulata e non risulta avanzata nelle precedenti fasi di
giudizio;

in conclusione il ricorso va complessivamente
rigettato ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento all’Agenzia
delle entrate le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in
dispositivo;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare
all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che liquida in
euro 2.000,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1
-bis del citato art. 13, se
dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 gennaio 2021, n. 2094
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: