Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 febbraio 2021, n. 2976

Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, Principio
di non contestazione alla quantificazione delle somme dovute, Produzione di
nuovi documenti, Eccezione di pagamento, anche parziale, del datore di lavoro
debitore, Rilevanza della non contestazione da parte del lavoratore creditore
– Pagamento, eccezione in senso lato rilevabile dal giudice anche per la prima
volta in appello

 

Rilevato che

 

1. la Corte di Appello di Roma, con sentenza
pubblicata il 1° dicembre 2014, ha confermato la pronuncia di primo grado che
aveva accolto parzialmente il ricorso proposto da C.C. nei confronti di P.C.,
C.M. e S.M., quali eredi di L.M., dichiarando la sussistenza di un rapporto di
lavoro subordinato con quest’ultimo dal 1° gennaio 1985 al 30 aprile 2002 e
condannando costoro al pagamento della complessiva somma di euro 213.713,01,
oltre accessori e spese;

2. la Corte – in estrema sintesi e per quanto qui
interessa – ha ritenuto di applicare il principio di non contestazione alla
quantificazione delle somme dovute, rilevando che “dalla lettura della
memoria difensiva dei convenuti in primo grado non emerge – neppure in maniera
generica – una qualsivoglia contestazione su detti conteggi; soprattutto, non
risulta mai formulata un’eccezione ex art. 2697,
comma 2, c.c., in relazione alla quale occorreva, inoltre, fornire adeguata
prova”; in sostanza – aggiunge la Corte – “non è mai stato affermato
dai convenuti che il C. aveva percepito somme maggiori rispetto a quelle da lui
tenute in considerazione nei propri conteggi, anche finali, poi adottati dal
giudice di prime cure”; ha pertanto ritenuto inammissibile la produzione
di nuovi documenti così come richiesta dagli appellanti, i quali avevano
dedotto di averli rinvenuti successivamente alla pubblicazione della sentenza
di primo grado, allegando altresì che gli stessi comprovavano che il C. aveva
ricevuto somme maggiori di quelle che aveva dichiarato di aver percepito;

3. per la cassazione di tale sentenza hanno proposto
ricorso gli eredi di L.M. con 2 motivi; ha resistito il C. con controricorso;

 

Considerato che

 

1. il primo motivo denuncia falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. per non avere la Corte territoriale
rilevato d’ufficio l’eccezione di pagamento, applicando erroneamente il
principio di non contestazione e limitando in appello la produzione documentale
sopravvenuta con motivazione illogica e contraddittoria;

il secondo motivo lamenta falsa ed erronea
applicazione degli artt. 345 e 437 c.p.c., circa il regime di nuove eccezioni e
prove, sostenendo che l’eccezione di pagamento, in quanto rilevabile d’ufficio,
poteva essere sollevata anche in appello, per cui “le buste paga
quietanzate sopravvenute alla pubblicazione della sentenza di prime cure e
tempestivamente prodotte in sede di gravame erano ammissibili”;

2. i motivi, congiuntamente esaminabili per
connessione, sono fondati;

la Corte di Appello ha impropriamente applicato il
principio di non contestazione a fatti – i pagamenti della retribuzione – che
non attengono ad elementi costitutivi della domanda del lavoratore attore che
li aveva dedotti, assumendo gli stessi valore quali elementi sintomatici,
unitamente ad altri, della subordinazione; l’adempimento dell’obbligo
retributivo, anche relativamente alla sua misura, costituisce piuttosto fatto
estintivo del credito vantato dal lavoratore e, come tale, nella disponibilità
del datore di lavoro convenuto che lo eccepisca; solo a fronte di una eccezione
di pagamento, anche parziale, del datore di lavoro debitore può attivarsi,
eventualmente, il circuito della non contestazione da parte del lavoratore
creditore;

ciò premesso, il pagamento costituisce pacificamente
una eccezione in senso lato (tra molte, Cass. n. 17196 del 2018; Cass. n. 9610 del 2012; Cass. n. 13014 del 2004)
che, come tale, può essere rilevata dal giudice – e sollevata dalla parte –
anche per la prima volta in appello, avendo le Sezioni unite di questa Corte (n. 10531 del 2013) affermato che il rilievo
d’ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e
tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, in quanto
il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo,
costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe svisato ove anche le
questioni rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di
allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto; nella
motivazione della sentenza richiamata si legge: “è confermato che deve
essere ammessa in appello la rilevabilità di eccezioni in senso lato, che ha
senso preminente quando è basata su allegazioni nuove, quantomeno se già
documentate ex actis” (tra le successive conformi v. Cass. n. 25434 del
2019);

le Sezioni unite civili, poi, avevano
precedentemente sancito – sebbene con specifico riferimento alla eccezione in
senso lato di giudicato esterno – che l’allegazione dei fatti sui quali si
fonda un’eccezione rilevabile d’ufficio non è soggetta a termini particolari,
potendo essere effettuata in ogni stato e grado del giudizio di merito (SS.UU.
n. 226 del 2001);

una volta ammessa l’eccezione di pagamento anche in
grado d’appello, la questione della prova di quei fatti deve essere risolta
sulla scorta dell’art. 437 c.p.c., il quale
esplicitamente consente l’ammissione di nuovi mezzi di prova, anche d’ufficio,
ove il collegio “li ritenga indispensabili ai fini della decisione della
causa”; questa Corte ha più volte affermato che laddove un fatto integri
una eccezione in senso lato è nella facoltà del giudicante, nell’esercizio dei
suoi poteri di ufficio ex art. 421 c.p.c., con
riferimento ai fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del
contraddittorio, ammettere la prova indispensabile per decidere la causa (Cass.
n. 11940 del 2019; Cass. n. 12907 del 2017);
proprio avuto riguardo al pagamento è stato affermato che il giudice d’appello,
pure in sede di rinvio, deve rilevarlo anche d’ufficio quando esso risulti
dalla documentazione ritualmente prodotta, in quanto la produzione di nuovi
documenti, in deroga al divieto ex art. 437 c.p.c.,
può avvenire anche in appello, se essi siano ritenuti dal giudice
indispensabili ai fini della decisione della causa (Cass. n. 17196 del 2018; Cass. n. 11994 del 2018);

quanto alla nozione di indispensabilità è
sufficiente richiamare l’insegnamento di Cass. SS.UU. n. 10790 del 2017,
secondo cui: “Nel giudizio di appello, costituisce prova nuova
indispensabile, ai sensi dell’art. 345, comma 3,
c.p.c., nel testo previgente rispetto alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012, quella di per sé idonea ad
eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta
dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di
dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente
provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per
propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo
grado”;

la Corte territoriale si è, invece, sottratta a tale
valutazione, nonostante la richiesta di prova fosse stata articolata con l’atto
di appello degli eredi, che sostenevano altresì di essere venuti in possesso di
tali documenti successivamente alla pubblicazione della sentenza di primo
grado; valutazione, quindi, tanto più necessaria tenuto conto che la
giurisprudenza di legittimità ha già ritenuto ammissibile la produzione tardiva
ove si tratti di documenti formati o giunti nella disponibilità della parte
solo dopo lo spirare dei termini preclusivi (Cass. n. 33393 del 2019; Cass. n. 4080 del 2009; Cass. n. 1369 del 2004;
Cass. n. 5068 del 1995);

3. conclusivamente il ricorso deve essere accolto,
con cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi esaminati e
rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si uniformerà a quanto
statuito, provvedendo altresì sulle spese del giudizio di legittimità;

stante l’accoglimento del ricorso per cassazione,
non occorre in questa sede pronunciarsi sul diritto al rimborso delle spese
processuali affrontate dalla parte vittoriosa (nella specie il C.) per
resistere all’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza
impugnata, proposta in virtù dell’art. 373 c.p.c.
in quanto la pronuncia spetta alla Corte di cassazione adita in sede di ricorso
contro la sentenza di appello del giudice di merito, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., in caso di rigetto (cfr. Cass. n.
19544 del 2015), mentre spetta ai giudice di appello in caso di cassazione con
rinvio al giudice del merito (Cass. n. 16121 del 2011), anche perché la
regolamentazione delle spese relative al subprocedimento incidentale, privo di
autonomia rispetto al giudizio di merito, deve essere disposta tenendo conto
dell’esito complessivo del giudizio (Cass. n. 2671 del 2013);

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e
rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le
spese.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 febbraio 2021, n. 2976
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