Giurisprudenza – CORTE DI APPELLO DI CAGLIARI – Ordinanza 17 settembre 2020, n. 18

Infortuni sul lavoro e malattie professionali, Prestazioni
economiche da inabilità permanente, Menomazioni preesistenti all’entrata in
vigore del decreto ministeriale previsto dall’art. 13, co. 3, del d.lgs. n. 38 del
2000 e già indennizzate, Previsione che la valutazione del grado di
menomazione conseguente a un nuovo infortunio o a una nuova malattia
professionale avviene senza tenere conto delle preesistenze, Mantenimento
dell’eventuale rendita corrisposta in conseguenza di infortuni o malattie
professionali verificatisi o denunciati prima dell’entrata in vigore del citato
decreto ministeriale, Decreto legislativo 23
febbraio 2000, n. 38, art. 13,
co. 6, secondo e terzo periodo

 

Svolgimento del processo

 

Lo svolgimento viene riportato nei limiti di quanto
devoluto al giudice di II grado ex art. 346 del
codice di procedura civile e 56
decreto legislativo n. 546/1992.

Con ricorso al Tribunale di Cagliari l’attuale
ricorrente ha affermato di aver lavorato come minatore in sottosuolo dal 1959
al 1988 e di essere stato esposto all’inalazione di biossido di silicio.

Ha affermato di aver contratto la silicosi per tale
ragione ed ha chiesto l’accertamento dell’esistenza della malattia e la
condanna dell’INAIL all’erogazione delle relative prestazioni, negate in via
amministrativa dopo che era stata presentata domanda il 22 febbraio 2008.

L’INAIL si è costituito in giudizio contestando
l’esistenza del diritto ed eccependo che, poiché il ricorrente era titolare di
rendita per «broncopneumopatia» (m.p. n. 40001717), era inammissibile qualsiasi
duplicazione delle prestazioni.

Istruita la causa con produzioni documentali e CTU,
il consulente ha concluso:

«Il signor F. M. risulta affetto da silicosi:

La diagnosi è di verosimile certezza;

Il conseguente grado di danno biologico può essere
indicato pari al 25% a far data dalla presentazione della domanda
amministrativa.»

Di seguito, nell’elaborato peritale, il CTU dichiara
di aver anche visitato il ricorrente in altro procedimento, finalizzato
all’accertamento dell’aggravamento della malattia professionale per cui era già
indennizzato, ovvero sia la broncopneumopatia, redigendo la relativa
consulenza, di cui riporta un estratto nel corpo di quella oggetto di causa,
confermandone le valutazioni.

Nella diversa consulenza si legge:

«Prima di confrontare i dati emersi al solo scopo di
verificare se sia o non intervenuto un aggravamento della broncopneinnopatia,
non si può fare a meno di osservare come, alla luce degli attuali esami, la
diagnosi di broncopneumopatia non può più essere condivisa, in quanto ci si
trova al cospetto di una quadro patologico classico di silicosi.

Per quanto non sia possibile porre a confronto
diretto i radiogrammi eseguiti in occasione della CTU del 1997, né risulta
possibile confrontare radiogrammi INAIL, non prodotti e, per quanto riportato
in alti, non eseguiti in occasione della revisione, il solo confronto del
referto radiologico del 1997 con quello attuale evidenzia come si sia
verificata una grossolana evoluzione, caratterizzata da un interessamento
interstiziopatico di tutto il parenchima polmonare.

Attualmente l’osservazione diretta del quadro
radiografico standard del torace è talmente eclatante che, se nel 1997 fosse
stato presente anche solo in minor misura un quadro assimilabile, certamente ai
radiologi del “Binaghi” (dove fu eseguito l’esame di quella CTU), non
sarebbe sfuggito e sicuramente lo avrebbero segnalato.

Il quadro attuale è quello di una fibrosi polmonare
interstiziale, caratterizzata da una disseminazione periferica, mantellare, di
immagini nodulari e micronodulari di densità chiaramente fibrotica, che si
raggruppano come “a grappoli” in varie zone dei campi polmonari.

Il quadro RX è talmente chiaro, e la fibrosi
interstiziale talmente marcata, che, confrontato con il referto TC del torace
esibito dal periziando (anche se trattasi di esami non “omogenei”),
consente di ritenere che dal 2008 (epoca dell’esame TC) ad oggi si sia
verificata una ulteriore evoluzione peggiorativa della fibrosi polmonare. Ed in
effetti, la visione diretta che ho potuto personalmente effettuare dell’esame
TC esibito dal periziando, mi consente di affermare che se ripetessimo oggi
l’esame TC del torace, certamente troveremmo tale ulteriore aggravamento.

L’odierno quadro radiologico e quello TC del torace
consentono, con criterio di tutta verosimiglianza, praticamente di certezza, di
porre diagnosi di “silicosi”, alla luce della sicura e lungata (29
anni di galleria) esposizione del periziando all’inalazione di silice in
miniera altamente silicotigena (Montevecchio)…

Conclusioni: nel signor F. M. indennizzato per
broncopneumopatia professionale col grado del 14% d’inabilità lavorativa,
risulta essersi realizzato un aggravamento della patologia respiratoria; con
riferimento alla data di presentazione della domanda amministrativa di
revisione può essere indicato un nuovo maggior grado d’inabilità, pari al 22%;
a causa di un ulteriore intervento aggravamento, con riferimento al gennaio
2010 può essere indicato un nuovo maggior grado d’inabilità, pari al 32%».

Il Tribunale, con sentenza n. 1975 del 19 luglio
2011, ha accolto la domanda e riconosciuta la rendita per silicosi e
cardiopatia associata al 25% di danno biologico.

Ha proposto appello l’INAIL, ribadendo che
l’appellato era già indennizzato al 32% per broncopneumopatia, (vedi esiti
della CTU relativa), liquidata secondo il regime del testo
unico 1124/1965, e che il riconoscimento del danno integrale al 25% per la
nuova patologia denunciata comportava una duplicazione di prestazioni, poiché
si sarebbe dovuto tener conto della preesistenza già indennizzata, che
interessava il medesimo apparato e, perciò, era «concorrente» con la silicosi.
Ha perciò sostenuto che si sarebbe dovuto detrarre dal danno complessivo il
danno preesistente, per ottenere il danno «nuovo» o «ulteriore». L’appellato si
è costituito chiedendo il rigetto dell’appello.

La Corte d’appello, con sentenza n. 518 del 28
novembre 2012, ha accolto l’appello, ritenendo che «a parte la nuova diagnosi
di silicosi polmonare», nessun danno ulteriore esistesse rispetto alla
broncopneumopatia già diagnosticata e già indennizzata al 32% in regime ex decreto del Presidente della Repubblica 1124-1965,
soggiungendo che la «silicosi» non si poteva considerare come nuova malattia
professionale, da indennizzare come danno biologico ex decreto legislativo n.
38/2000 e che il danno riscontrato non era nuovo, ma coincideva con quello già
indennizzato. Ha soggiunto che in caso contrario si sarebbe verificata una
duplicazione dell’indennizzo ed ha, in definitiva, rigettata la domanda.

Ha proposto ricorso per Cassazione l’appellato e la
Corte, con la sentenza n. 6774-2018 ha annullato la sentenza, ravvisando una
violazione dell’art. 13, 6° comma,
decreto legislativo n. 38/2000 ed ha rinviato a questa Corte, in diversa
composizione. La suprema Corte ha ritenuto che la Corte d’appello avesse
violato il decreto legislativo n. 38/2000:

«Essa contrasta infatti con la lettera dell’art. 13, comma 6, secondo e terzo
periodo, che non distinguono la malattia nuova (o l’infortunio nuovo) che
riguardi lo stesso apparato da quello che non lo riguardi; applicano a tutti i
nuovi eventi la stessa soluzione, secondo cui delle preesistenti invalidità
“non si tiene conto” al fine di valutare – nell’ambito delle nuove
prestazioni – il grado di menomazione ad essi relativi; e prevedono la regola
della concorrenza delle prestazioni (“l’assicurato continuerà a percepire
l’eventuale rendita corrisposta in conseguenza di infortuni o malattie
professionali verificatisi o denunciate prima della data sopra indicata”.

Riassume il giudizio l’originario ricorrente, cui
resiste l’INAIL.

In corso di causa, deceduto l’appellato, si è
costituita in giudizio l’erede. La causa è stata istruita con produzioni
documentali ed è stata decisa sulla base delle seguenti

Conclusioni

Per l’appellante INAIL:

In via principale, in totale riforma della sentenza
appellata, rigettare le domande proposte da F. M.

In subordine, qualora venisse riconosciuta la
sussistenza della silicosi polmonare, procedere a scorporare il danno da quello
indennizzato dall’Istituto con la BPCO.

Per l’appellata S. C.:

La ecc.ma Corte:

1) respinga l’interposto appello;

2) accerti che F. M. aveva diritto alla rendita per
silicosi con cardiopatia associata nella misura del 25%, o in quell’altra maggiore
o minore che risulterà in corso di causa, dalla data della domanda
amministrativa, e per l’effetto condanni l’Inail al pagamento, a favore degli
eredi, dei ratei maturati e scaduti, fino alla data del decesso, maggiorati
degli interessi legali e rivalutazione monetaria nei limiti di legge;

3) condanni l’Inail alla rifusione delle spese del
presente giudizio, del giudizio d’appello e del giudizio nanti la Corte di
cassazione oltre alle spese generali e al rimborso dell’importo del contributo
unificato per il ricorso in Cassazione pari a euro 900,00 con distrazione a
favore degli avvocati V.A., C.A. e G.P. anticipatari;

4) ai sensi dell’art.
152 disp. att. si dichiara che il reddito imponibile, ai fini dell’imposta
personale sul reddito risultante dall’ultima dichiarazione non è superiore a
euro 22.987,64 come da dichiarazione sostitutiva di certificazione agli atti e
pertanto, in caso di reiezione della domanda, si chiede che le spese del
giudizio non vengono comunque poste a carico del ricorrente.

 

Motivi della decisione

 

Ricostruzione in fatto

I fatti che risultano accertati sono così
sintetizzabili: il defunto F. M. godeva già di una rendita per
«broncopneumopatia da polveri di silicati e calcare», arrivata alla percentuale
del 32% di danno alla capacità lavorativa, costituita dal 1992 sotto il regime
del testo unico 1124/1965. Tale percentuale era
stata raggiunta a seguito di domanda giudiziale di aggravamento, nel cui corso
il medesimo CTU dell’attuale procedimento aveva riscontrato che egli era
affetto da un’unica malattia, la silicosi, mentre non era esistente la
broncopneumopatia per cui era indennizzato. La percentuale di danno verificata
dal CTU al momento della consulenza (2010), era del 32% di perdita di capacità
lavorativa, sotto il regime del testo unico
1124/1965. La maggior percentuale di danno, peraltro, è rimasta sempre
imputata alla prestazione in godimento, ovvero sia una rendita per BPCO e non
per silicosi.

Il 22 febbraio 2008 ha chiesto all’INAIL il
riconoscimento della diversa malattia della silicosi (rispetto alla BPCO per
cui era indennizzato), con associata cardiopatia, sotto il regime pertanto del
decreto legislativo n. 38/2000, che valuta non più il danno alla capacità
lavorativa, ma il danno biologico. Il CTU, nel confermare l’esistenza della
sola silicosi come unica malattia professionale che affliggeva il ricorrente,
valuta in danno biologico nella misura del 25%, poi accertato dal Tribunale con
la sentenza qui appellata.

Quadro normativo

La fattispecie è disciplinata dalla disposizione
dell’art. 13, 6° comma, decreto
legislativo n. 38/2000, il quale ha innovato il sistema delle prestazioni
erogabili dall’INAIL sostituendo, per quanto qui rileva, il sistema di
valutazione medico-legale del danno. Nel sistema del testo
unico 1124/1965, infatti, si teneva conto del danno che gravava sulla
«capacità lavorativa», mentre in quello delineato dal decreto suddetto si ha
riguardo al «danno biologico».

La norma:

«6. Il grado di menomazione dell’integrità
psicofisica causato da infortunio sul lavoro o malattia professionale, quando
risulti aggravato da menomazioni preesistenti concorrenti derivanti da fatti
estranei al lavoro o da infortuni o malattie professionali verificatisi o
denunciate prima della data di entrata in vigore del decreto ministeriale di
cui al comma 3 e non indennizzati in rendita, deve essere rapportato non
all’integrità psicofisica completa, ma a quella ridotta per effetto delle
preesistenti menomazioni, il rapporto è espresso da una frazione in cui il
denominatore indica il grado d’integrità psicofisica preesistente e il
numeratore la differenza tra questa ed il grado d’integrità psicofisica
residuato dopo l’infortunio o la malattia professionale. Quando per le
conseguenze degli infortuni o delle malattie professionali verificatisi o
denunciate prima della data di entrata in vigore del decreto ministeriale di
cui al comma 3 l’assicurato percepisca una rendita o sia stato liquidato in
capitale ai sensi del testo unico, il grado di menomazione conseguente al nuovo
infortunio o alla nuova malattia professionale viene valutato senza tenere conto
delle preesistenze. In tale caso, l’assicurato continuerà a percepire
l’eventuale rendita corrisposta in conseguenza di infortuni o malattie
professionali verificatisi o denunciate prima della data sopra indicata.»

Per completezza, si riporta anche il testo dell’art. 9 stesso decreto legislativo n.
38/2000, riguardante la disciplina dell’errore, nella parte che può
rilevare:

«Art. 9
Rettifica per errore

1. Le prestazioni a qualunque titolo erogate
dall’istituto assicuratore possono essere rettificate dallo stesso Istituto in
caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione
o riliquidazione delle prestazioni. Salvo i casi di dolo o colpa grave
dell’interessato accertati giudizialmente, l’istituto assicuratore può
esercitare la facoltà di rettifica entro dieci anni dalla data di comunicazione
dell’originario provvedimento errato.

2. In caso di mutamento della diagnosi medica e della
valutazione da parte dell’istituto assicuratore successivamente al
riconoscimento delle prestazioni, l’errore, purché non riconducibile a dolo o
colpa grave dell’interessato accertati giudizialmente, assume rilevanza ai fini
della rettifica solo se accertato con i criteri, metodi e strumenti di indagine
disponibili all’atto del provvedimento originario.

3. L’errore non rettificabile comporta il
mantenimento delle prestazioni economiche in godimento al momento in cui
l’errore stesso è stato rilevato.

4. E’ abrogato il primo periodo del comma 5 dell’art. 55 della legge 9 marzo 1989,
n. 88″…»

Dall’esame dell’art. 13, 6° comma, risulta che lo
stesso contiene la disciplina che regola il passaggio dal vecchio al nuovo
sistema di indennizzo, in relazione ai casi di interferenza che si possono
verificare nel caso dell’esistenza di menomazioni fisiche preesistenti,
individuando due diverse ipotesi: la prima è quella in cui, all’atto della
richiesta di una prestazione sotto il nuovo regime, ci siano menomazioni
preesistenti concorrenti, derivanti da fatti estranei al lavoro (e non è il
caso che si presenta), o da infortuni o malattie professionali verificatisi o
denunciate prima della data di entrata in vigore (neanche questo è il caso
attuale) del decreto ministeriale di cui al comma 3 e non indennizzati in
rendita, nel qual caso la percentuale di danno relativa al nuovo danno è
calcolata tenendo conto che la capacità fisica è già diminuita per effetto
della preesistenza. La norma precisa infatti anche la formula matematica da
applicare (c.d. formula di G.).

La seconda è quella in cui non solo ci sia una
malattia o infortunio professionale preesistente, ma per lo stesso
l’interessato già percepisca una rendita o sia stato «liquidato in capitale» ai
sensi del testo unico: in questo caso, il nuovo danno va valutato «senza tener
conto delle preesistenze», quindi presumendo una integrità fisica del 100%. Si
prevede di seguito che l’interessato continui a percepire la prestazione già in
corso, senza modificazioni.

Per quanto riguarda l’art. 9, disciplinante l’errore,
esso è stato riportato solo per completezza, sia perché l’iniziativa di
ritenere erronea la propria precedente valutazione medica spetta all’INAIL, e
solo successivamente, sempre introdotta dalle parti nel processo, può essere
fatta oggetto del giudizio, sia perché è stato chiarito dalla CTU, in relazione
alla domanda di aggravamento della broncopneumopatia, che dagli esami
risultanti al tempo non era individuabile un elemento diagnostico fondamentale
(art. 9, 2° comma), e quindi la
prestazione già in corso non sarebbe revocabile.

 

Principio di diritto

 

Il principio di diritto cui questa Corte deve
attenersi è quello che la stessa sentenza della suprema Corte indica ai punti
6) e 7):

«6. La fattispecie che ne occupa attiene alla
seconda parte dell’art. 13, comma 6,
decreto legislativo n. 38/2000, su cui non constano specifici precedenti di
questa Corte. In base alla norma di legge risulta che qualora il lavoratore
goda di una rendita per una malattia professionale denunciata prima
dell’entrata in vigore della disciplina dettata dal decreto
legislativo n. 38/2000 (ovvero prima del 25 luglio del 2000 e
successivamente venga colpito da una nuova malattia professionale (non importa
se concorrente o coesistente) il grado di menomazione conseguente alla nuova
malattia professionale deve essere valutato senza tenere conto delle
preesistenti menomazioni; ed il lavoratore percepirà pertanto sia la rendita
già liquidata in base al testo unico 1124/65,
sia la prestazione per la nuova malattia da liquidarsi in base allo stesso art. 13 del decreto legislativo numero
38 del 2000.

7. La legge non contempla la distinzione pretesa
dalla difesa dell’Inail ed accolta dalla sentenza impugnata secondo cui in caso
di nuova malattia si dovrebbe distinguere l’ipotesi del danno concorrente e
quella del danno coesistente; né consente di enucleare una terza ipotesi di
valutazione delle preesistenze per il c.d. «danno biologico d’apparato»
(rispetto a quelle regolate nel primo e nel secondo periodo dell’art. 13, 6 comma). E’ perciò
evidente che la soluzione presa dalla Corte d’appello cagliaritana, di
scorporare il danno biologico d’apparato ovvero il danno biologico per bronco
pneumopatia da quello per silicosi, sia in contrasto con la regola dettata
dalla legge.»

Effetti dell’applicazione della norma

In applicazione del principio di diritto alla
controversia, pertanto, l’appello dell’INAIL dovrebbe essere rigettato: la
valutazione del 25% di danno biologico data alla silicosi non solo è corretta,
ma anche non deve tener conto dell’esistenza della preesistente rendita per
broncopneumopatia al 32%, malattia che altro non è che la silicosi oggetto
della presente controversia, non diagnosticata al tempo della sua concessione.
All’appellato spetterà pertanto la rendita al 25% di danno biologico per
silicosi, che andrà. ad aggiungersi alla vecchia rendita in godimento del 32%,
per la stessa (unica) malattia professionale da cui è afflitto.

Si assiste pertanto ad una totale duplicazione
dell’indennizzo, in relazione ad un unico fatto lesivo, sia pure sotto due
diversi parametri di valutazione: il 32% di perdita della capacità lavorativa,
che equivale al 25% di danno biologico. Unica è la malattia e la valutazione
delle conseguenze sotto i due profili è stata effettuata pressochè
contemporaneamente, a parametri fisici invariati e dallo stesso ausiliare.

A differenza di questa fattispecie, se il fatto
lesivo preesistente non fosse stato già indennizzato, come nella prima parte
del 6° comma («verificato o denunciato» è la dizione della norma), la
valutazione medico legale della nuova malattia avrebbe potuto tener conto della
preesistenza ed essere, quindi, unitaria e complessiva.

Questa considerazione è valida anche nella
fattispecie in cui, anche a prescindere dall’esistenza di un’esatta identità di
malattia, le due patologie, una preesistente ed una successiva, interessino gli
stessi organi e parametri vitali da valutare e sia impossibile, sempre dal
punto di vista medico legale, scinderne le conseguenze sulla funzionalità
fisica. Ciò viene precisato anche perché questa Corte ha, pendenti davanti a sé,
altre controversie investenti questa problematica, una delle quali già oggetto
di analoga ordinanza di rimessione a codesta Corte (INAIL-M. A., racl 206-2017,
ordinanza del 26 maggio 2020).

Norme costituzionali interessate

Questa Corte dubita della conformità della
disposizione da applicare agli articoli 3 e 38 della Costituzione, sotto il profilo perciò
della disparità di trattamento e della violazione del principio di solidarietà
sociale, che deve essere ancorato ad uno stato di bisogno effettivo.

Per quanto riguarda la disparità di trattamento,
essa è evidente rispetto alla stessa fattispecie disciplinata dalla norma in
questione, nel primo periodo del 6° comma: nel caso di eventi precedenti e
domande già presentate prima dell’entrata in vigore, l’evento lesivo precedente
viene valutato unitariamente a quello successivo, ai fini di accertare il
complessivo danno, mentre nel caso che sia già stata erogata la prestazione (2°
e 3° comma), del danno precedente non si tiene conto e si presume la piena
efficienza fisica, calcolando su questa il danno nuovamente verificatosi, con
ciò creando una situazione di privilegio per questo secondo caso.

La ragione della differenziazione non può essere rinvenuta
nella tutela dei diritti acquisiti, poiché anche nella prima fattispecie si è
di fronte ad una situazione in cui esiste un diritto già consolidato: la
presentazione della richiesta di prestazione per l’evento verificatosi
consolida la pretesa di vederselo valutare ed eventualmente indennizzare, ed è
perciò anch’esso un diritto acquisito.

A ben vedere, la tutela ha la sola finalità di
mantenere fermo il criterio di valutazione medico legale applicato, ancorato a
parametri che si vorrebbe non confondibili con quelli relativi al danno
biologico, ma questo viene fatto differenziandosi dall’altra ipotesi in cui il
danno è preesistente ed anche la relativa denuncia, ma il criterio di
valutazione medico legale del danno precedente, sempre nel caso di un danno
successivo, viene mutato ed anche il primo viene coinvolto nella valutazione
complessiva, ancorata a parametri diversi dai precedenti, prevista
espressamente dal 6° comma nella prima parte.

Non si ravvisa alcuna giustificazione in questa
differenziazione, che nel caso dell’esistenza di una rendita già, in essere
attribuisce un ingiustificato privilegio al percettore, poiché si ottiene
l’effetto di maggiorare la percentuale di danno indennizzato in relazione al
nuovo evento o malattia.

Questa Corte è consapevole che la legittimità della
disposizione è stata già indagata da codesta Corte, in particolare con la
sentenza n. 426 del 2006, sempre in relazione al secondo e terzo periodo del 6°
comma in questione. In ogni caso, totalmente diversa è la situazione di fatto
posta a base della valutazione compiuta al tempo: nella sentenza n. 426, in una
situazione in cui si percepiva già una rendita col regime precedente e si era
verificato un nuovo fatto lesivo col nuovo regime, che però non oltrepassava la
percentuale di danno indennizzabile, si desiderava giungere ad una valutazione
unitaria al fine di comprendervi anche il nuovo danno, che era invece sotto
soglia, al fine di ottenere una rendita maggiore.

Nella fatti specie in esame, invece, si assiste ad
una totale duplicazione dell’indennizzo, e ciò, ad avviso di questa Corte,
confligge anche con l’art. 38 della Costituzione,
oltre che sempre con l’art. 3, poiché la
duplicazione dell’attribuzione spezza il collegamento sia con lo stato di
necessità, che con l’adeguatezza del rimedio predisposto dal legislatore. Il
meccanismo predisposto dal 6° comma dell’art. 13 decreto legislativo, in
definitiva, non è in grado di evitare duplicazioni di indennizzo, poiché il 2°
ed 3° periodo, a differenza del 1° periodo del 6° comma, nel quale nessun
problema di duplicazione si pone, impongono di far riferimento ad una piena
efficienza fisica, anche se in concreto già compromessa, portando pertanto a
valutare necessariamente due volte le conseguenze di una determinata patologia,
o le conseguenze di patologie interessanti gli stessi organi o influenti sugli
stessi parametri vitali. Nel sistema generale vige invece il principio
dell’incompatibilità tra le prestazioni derivanti dallo stesso fatto lesivo (art. 1, 43° comma, legge n. 335/1995)
ed anche tra prestazioni previdenziali ed assistenziali, anche se di diversa origine
e frutto di diverso sistema di valutazione (art. 3, legge n. 407/1990). La
possibilità di cumulo è inoltre rimessa a situazioni previste da norme
speciali, come nel caso dell’art.
12, legge n. 412/1991 che, nel modificare l’art. 3, legge n. 407/1990 appena
citato, esclude dal divieto di cumulo le prestazioni erogate ai ciechi civili,
ai sordomuti e agli invalidi totali.

Non si può neanche ritenere una valida
giustificazione la volontà di assicurare un trattamento di miglior favore,
poiché sarebbe stata realizzabile in altro modo, quale la possibilità di
conservare il trattamento più favorevole, prevista ad esempio dalle stesse
disposizioni appena citate.

Rilevanza della questione

Come già detto, si tratta del principio di diritto
da applicare necessariamente alla controversia, in esecuzione dell’art. 384 del codice di procedure civile, e questo
giustifica di per sé la valutazione sulla rilevanza: l’appello dell’INAIL
dovrebbe essere respinto. L’appellato dovrebbe pertanto percepire integralmente
e senza decurtazioni l’importo della rendita al 25% per asbestosi, unica malattia
esistente, che sì aggiungerebbe a quella già in essere per broncopneumopatia al
32%.

Se, invece le disposizioni di cui sopra dovessero
essere ritenute costituzionalmente illegittime e, in ipotesi, dovesse risultare
di generalizzata applicazione quella del 1° periodo del 6° comma, l’appello
dell’INAIL dovrebbe essere accolto e nuovamente determinato il danno
complessivo con l’applicazione della formula precisata.

Si rileva, in aggiunta, che la suprema Corte si è
già pronunciata anche in un’altra controversia in cui la parte privata era
patrocinata dai medesimi difensori di quella attuale, sempre valutando una
sentenza di questa Corte d’appello, ed il principio di diritto affermato è
stato identico (vedi Cassazione sez. L n.
6048-2018). Si deve aggiungere ancora che anche in altre controversie
pendenti davanti a questa Corte d’appello, tra cui R.G. 206-2017, pur non
provenienti da rinvio dalla suprema Corte, si chiede l’applicazione del
medesimo principio di diritto e si richiamano espressamente le pronunce di
quest’ultima appena richiamate.

Per quanto riguarda pertanto l’applicazione della
suddetta previsione, si è di fronte ad un orientamento reiterato, che deve
essere ritenuto diritto vivente, e nei confronti del quale non paiono
percorribili altre soluzioni interpretative, vista l’inequivoca previsione
della norma. In particolare, non è percorribile l’interpretazione propugnata
dall’INAIL che, oltre ad essere totalmente in contrasto con la previsione della
legge, fa riferimento ad un criterio medico legale che, in causa, risulta
essere non esistente ed impraticabile con metodo scientifico.

Sulla base di queste considerazioni, sciogliendo la
riserva, si deve pertanto sospendere il presente procedimento e rimettere gli
atti alla Corte costituzionale, per la soluzione della questione, rilevata
d’ufficio.

 

P.Q.M.

 

Visti l’art. 134 della
Costituzione e la legge 11 marzo 1953, n. 87,
dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
costituzionalità dell’art. 13, 6°
comma, secondo e terzo periodo del decreto legislativo n. 38/2000 in
relazione agli articoli 3 e 38 della Costituzione nella parte in cui portano
ad una duplicazione totale o parziale dell’indennizzo, a differenza delle
fattispecie disciplinate dal 1° periodo dello stesso comma.

Dispone la sospensione del giudizio in corso e
l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Manda alla
cancelleria di notificare la presente ordinanza alle parti del giudizio, al
Presidente del Consiglio dei ministri e di darne comunicazione al Presidente
del Senato e al Presidente della Camera.

 

Provvedimento pubblicato nella G.U. del 24 febbraio 2021, n. 8

Giurisprudenza – CORTE DI APPELLO DI CAGLIARI – Ordinanza 17 settembre 2020, n. 18
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