Prassi – ISPETTORATO NAZIONALE DEL LAVORO – Nota 17 marzo 2021, n. 441

Adozione diffida accertativa ex art. 12, D.Lgs. n. 124/2004,
responsabilità solidale, termine decadenziale.

 

In riferimento al parere richiesto, riguardante la
possibilità di emettere una diffida accertativa per crediti patrimoniali
derivanti dalle differenze retributive maturate in ragione della unilaterale
riduzione dell’orario di lavoro da parte datoriale e della conseguente
decurtazione stipendiale – in linea con il parere reso dall’Ufficio legislativo
del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che si è espresso con nota
prot. n. 2110 del 15 marzo u.s. – si osserva quanto segue.

Nel caso in questione le differenze retributive
richieste dal lavoratore non sono diretta conseguenza della prestazione
lavorativa ma di un eventuale inadempimento contrattuale ex art. 1218 c.c. ascrivibile al datore di lavoro
che, unilateralmente e senza la necessaria forma scritta, avrebbe ridotto
l’orario lavorativo ed il conseguente trattamento retributivo del dipendente,
non consentendo a quest’ultimo di rendere a pieno la sua prestazione e di
riceverne quanto contrattualmente previsto.

La fattispecie in oggetto, pertanto, riguarda una
tipologia di crediti di natura risarcitoria che esula dall’ordinario ambito di
applicazione della diffida accertativa di cui all’art. 12 del D.Lgs. n. 124/2004 di
competenza del personale ispettivo.

Sulla questione, infatti, la Suprema Corte ha di
recente affermato (Cass. sent. 19 gennaio 2018, n.
1375), superando precedenti di segno contrario, che nell’ambito di un
contratto di lavoro part-time la trasformazione dell’orario di lavoro può
derivare solo da un accordo scritto tra datore di lavoro e lavoratore, non
assumendo valore probatorio il comportamento per facta concludentia. Al
contrario, nel caso in cui il contratto sia a tempo pieno, l’accordo di
modifica dell’orario, per il quale non è prevista ex lege una forma scritta ad
substantiam, potrà essere provato anche attraverso comportamenti concludenti.

Se così è sembra indubitabile che l’accertamento in
ordine alla sussistenza ed alla quantificazione di questo tipo di
rivendicazioni economiche del lavoratore debba essere di esclusiva pertinenza
dell’autorità giudiziaria.

Per quanto riguarda l’altra questione oggetto del
quesito concernente la possibilità di emettere una diffida accertativa oltre il
termine di cui al comma 2
dell’art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003 nei casi in cui il lavoratore abbia
inteso impedire la decadenza legale attraverso l’invio al committente di un
atto di diffida stragiudiziale, si richiamano anzitutto i chiarimenti forniti
con le note n. 9943 del 19/11/2019 e n. 1107 dell’11/12/2020.

Con le citate note si è evidenziato come la
giurisprudenza della Corte di Cassazione ha più volte chiarito che, nell’ambito
della fattispecie delineata dall’art.
29, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003, sussistono regimi separati dei termini
sul recupero delle spettanze retributive e contributive in ragione del
soggetto, privato o pubblico, che intraprende l’iniziativa.

Il primo regime riguarda l’azione rimessa alla
volontà del lavoratore che, unitamente ed al pari dei crediti retributivi, può
rivendicare anche quelli contributivi a condizione che agisca nel termine
decadenziale normativamente previsto ovvero nel termine di due anni dalla
cessazione dell’appalto.

Il secondo, attinente solo alla parte contributiva,
riguarda la diversa azione di recupero rimessa all’iniziativa dell’ente
previdenziale che, invece di essere sottoposta al predetto termine
decadenziale, è soggetta all’ordinario termine prescrizionale di cinque anni.

Occorre inoltre ricordare come il regime delle
decadenze nel codice civile sia regolato dall’art.
2966 secondo cui “la decadenza non è impedita se non dal compimento
dell’atto previsto dalla legge o dal contratto”. A caratterizzare l’istituto
della decadenza, oltre che a differenziarlo da quello della prescrizione,
interviene l’art. 2964, comma 1, ai sensi del
quale viene disposto che “quando un diritto deve esercitarsi entro un dato
termine sotto pena di decadenza, non si applicano le norme relative
all’interruzione della prescrizione”.

Alla luce delle ricordate premesse appare, quindi,
ragionevole affermare che la decadenza dettata nella fattispecie di cui all’art. 29, comma 2, del D.Lgs. n.
276/2003 possa essere impedita dall’iniziativa del lavoratore intrapresa
nel suddetto termine biennale attraverso il deposito del ricorso giudiziario
ovvero, nell’accezione giurisprudenziale più ampia, anche per mezzo di un
prodromico atto scritto, anche stragiudiziale, inviato al committente.

Va inoltre evidenziato che, ai sensi dell’art. 2967 c.c., “nei casi in cui la decadenza è
impedita, il diritto rimane soggetto alle disposizioni che regolano la
prescrizione” pertanto, a seguito della notifica dell’atto in questione, sarà
possibile emanare la diffida accertativa avendo cura tuttavia di verificare
l’assenza di una intervenuta prescrizione e ferme restando le ordinarie
condizioni di certezza, liquidità ed esigibilità del credito.

Prassi – ISPETTORATO NAZIONALE DEL LAVORO – Nota 17 marzo 2021, n. 441
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