Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 aprile 2021, n. 9304

Licenziamento disciplinare, Proporzionalità della sanzione
espulsiva, Guida dell’auto di servizio, Reazione al controllo degli agenti
della Polizia Stradale, Giusta causa, in quanto nozione legale non tipizzata
dalle previsioni, soltanto esemplificative, del CCNL applicato, Intrinseca
lesività degli interessi del datore di lavoro

 

Fatti di causa

 

Con sentenza 6 settembre 2018, la Corte d’appello di
Reggio Calabria rigettava il reclamo proposto da E.A. avverso la sentenza di
primo grado, di reiezione, in esito a procedimento con rito Fornero, della sua
impugnazione del licenziamento disciplinare intimatogli da R. s.p.a. con
missiva del 9 dicembre 2014 e decorrenza dal 3 dicembre 2014 per giusta causa.

A motivo della decisione, la Corte territoriale
riteneva, come già il Tribunale e siccome riscontrata dalle scrutinate
risultanze istruttorie, la gravità del comportamento del lavoratore e la
proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto ad esso.

In fatto, egli aveva gravemente violato le norme di
sicurezza stradale (immettendosi l’11 novembre 2014 in Reggio Calabria,
all’altezza dell’incrocio tra due strade, su un viadotto contromano con rischio
di procurare un incidente), mentre si trovava alla guida dell’auto di servizio,
reagendo al controllo degli agenti della Polizia Stradale cercando di
convincerli a non elevare la contravvenzione e poi di intimidirli, dettando al
proprio cellulare a voce alta il numero di targa della “volante” che
lo aveva fermato, adducendo inesistenti ragioni di servizio che avrebbero
giustificato la sua violazione e così utilizzando il nome della società datrice
a fini propri utilitaristici.

L’accertamento di tale fatto (oggetto della
contestazione di addebito disciplinare del 18 novembre 1014) integrava, secondo
la Corte territoriale come già il Tribunale, i presupposti della giusta causa
di licenziamento, in quanto nozione legale non tipizzata dalle previsioni
soltanto esemplificative del CCNL applicato, avendo comunque la società fatto
anche riferimento, nella comunicazione del licenziamento, all’art. 220 CCNL 1
luglio 2013 dei dipendenti del settore terziario. Con atto notificato il 2
novembre 2018, il lavoratore ricorreva per cassazione con due motivi, cui H.S.M.
s.r.l. (già R. s.p.a.) resisteva con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 7 I. 300/1970, 215, 217,
219, 220 CCNL 26 febbraio 2011 settore terziario, in relazione agli artt. 1362, 1363 c.c.,
nonché degli artt. 2104, 2105, 2106, 1374, 1375, 1175 c.c., 12, secondo
comma disp. prel. c.c., 1495 c.c., per
erronea applicazione della sanzione espulsiva, con modificazione della sua
qualificazione da licenziamento per giusta causa a licenziamento per
giustificato motivo soggettivo (dai presupposti e conseguenze diversi) in
riferimento al ritenuto notevole inadempimento previsto dall’art. 220 CCNL di
settore applicato, non proporzionata all’effettiva gravità della condotta,
punibile con una sanzione conservativa, come i precedenti comportamenti, così
sanzionati: con evidente significazione di una tolleranza datoriale modulata
sul concreto andamento del rapporto lavorativo, in ragione delle proprie
mansioni, così da giustificarne la compatibilità con la prosecuzione dello
stesso; e per la non riconducibilità del comportamento ad alcuna delle ipotesi
di licenziamento disciplinare stabilite dal CCNL, con la conseguente
(auto)limitazione del potere di recesso datoriale.

2. Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e
falsa applicazione degli artt. 113 c.p.c., 3 I. 604/1966, 2119 c.c., 215, 217, 219, 220 CCNL 26 febbraio
2011 settore terziario, 30, terzo
comma I. 183/2010, 18 I.
300/1970, per erronea sussunzione del fatto storico nell’ipotesi di
notevole inadempimento, senza un accertamento della sua incidenza sulla
struttura del contratto di lavoro, al punto da comprometterne irreparabilmente
la possibilità di prosecuzione, né considerazione della pure dedotta (e
reiterata in ogni grado) alterazione del proprio equilibrio psicologico da
disturbi della personalità, nota al datore, così da escludere la colpa, in
particolare ai fini del giudizio di proporzionalità.

3. Essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di
stretta connessione, sono infondati.

4. La Corte d’appello, come già il Tribunale, ha
qualificato il licenziamento (intimato da R. s.p.a., per la “palese
violazione degli obblighi di cui all’art. 220 CCNL di categoria e dell’art. 2104 c. c. … ex art.
2119 c.c.”: così al primo periodo di pg. 11 della sentenza) per giusta
causa: ciò che si evince chiaramente dall’esplicita valutazione (dal datore di
lavoro fin dalla contestazione disciplinare e poi dal Tribunale, nei termini
esposti a pg. 5 della sua sentenza reclamata, richiamati dalla stessa Corte,
così facendoli propri) di gravità dell’inadempimento del lavoratore ai propri
obblighi “tale da far venire meno il rapporto fiduciario” (così al
secondo capoverso di pg. 6 della sentenza). E la qualificazione è stata
ulteriormente ribadita dalla “prognosi”, ricavata dal notevole
inadempimento ai sensi dell’art. 220 del CCNL citato, “chiaramente
sfavorevole sulla futura correttezza dell’adempimento” (al penultimo
capoverso di pg. 11 della sentenza), coerente con l’esclusione del principio di
immutabilità della contestazione, in riferimento al “rischio”,
nell’immissione del lavoratore in contromano sul viadotto, “di causare un
incidente”, valorizzato dal Tribunale “nell’indagine sull’esistenza o
meno di una giusta causa” (all’ultimo capoverso di pg. 8 della sentenza).
Inoltre, la Corte reggina ha richiamato un arresto di legittimità (Cass. n. 21162/18) relativo alla natura legale
della “giusta causa” di licenziamento, pertanto svincolata dalla
previsione o meno di ipotesi tipizzate nel contratto collettivo, meramente
esemplificativa, di cui tenere semplicemente conto, a norma dell’art. 30, terzo comma I. 183/2010
(al primo capoverso di pg. 10 della sentenza).

Sicché, le superiori argomentazioni assorbono ogni
questione relativa al supposto mutamento di qualificazione del licenziamento,
da escludere per le ragioni dette.

4.1. La Corte territoriale ha operato correttamente
il procedimento di sussunzione, non incorrendo nel relativo vizio, consistente
nell’erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata
a dettarne la disciplina (Cass. 13 marzo 2018, n. 6035; Cass. 14 settembre 2020, n. 19059): nel caso di
specie, relativo al giudizio applicativo di una norma cd. “elastica”
(qual è la clausola generale della giusta causa), che indichi solo parametri
generali e pertanto presupponga da parte del giudice un’attività di
integrazione giuridica della norma, a cui sia data concretezza ai fini del suo
adeguamento ad un determinato contesto storico – sociale: in tale ipotesi ben
potendo il giudice di legittimità censurare la sussunzione di uno specifico
comportamento del lavoratore nell’ambito della giusta causa (piuttosto che del
giustificato motivo di licenziamento), in relazione alla sua intrinseca
lesività degli interessi del datore di lavoro (Cass. 15 aprile 2016, n. 7568; Cass. 2 settembre 2016, n. 17539; Cass. 10 luglio 2018, n. 18170; Cass. 6 settembre
2019, n. 22358).

4.2. Occorre poi ribadire che il giudice,
nell’accertamento della sua sussistenza o meno, in quanto nozione legale, non
sia soggetto ad alcun vincolo derivante dalla tipizzazione contrattuale
collettiva di “giusta causa”. Essa ha, infatti, una valenza meramente
esemplificativa, non preclusiva della sua valutazione in ordine all’idoneità di
un grave inadempimento, o di un grave comportamento del lavoratore contrario
alle norme della comune etica o del comune vivere civile, all’irreparabile
rottura del rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (Cass. 18 febbraio 2011, n. 4060; Cass. 12 febbraio 2016, n. 2830; Cass. 24 agosto 2018, n. 21162). Ben può il giudice
far riferimento alle valutazioni delle parti sociali di gravità di determinate
condotte come espressive di criteri di normalità (Cass.
14 febbraio 2005, n. 2906; Cass. 4 aprile 2017, n. 8718, in motivazione),
dovendo appunto “tenerne conto”, anche a norma dell’art. 30, terzo comma I. 183/2010
(Cass. 19 luglio 2019, n. 19578): con il solo
limite di non potere, qualora un determinato comportamento del lavoratore
addotto dal datore di lavoro a giusta causa di licenziamento sia previsto dal
contratto collettivo integrare una specifica infrazione disciplinare cui
corrisponda una sanzione conservativa, farne oggetto di un’autonoma valutazione
di maggior gravità (Cass. 17 giugno 2011, n. 13353;
Cass. 7 maggio 2015, n. 9223; Cass. 7 maggio 2020, n. 8621).

4.3. Sicché, lo scrupoloso accertamento del
comportamento del lavoratore (con esito conforme in entrambi i gradi di
merito), condotto dalla Corte d’appello sulla base di un attento e critico
scrutinio delle risultanze istruttorie, è insindacabile in sede di legittimità,
siccome di competenza esclusiva del giudice di merito (Cass. 26 marzo 2018, n. 7426; Cass. 6 settembre
2019, n. 22358), essendo argomentato in modo più che adeguato.

4.4. Infine, essa ha proceduto ad una corretta e
motivata valutazione di proporzionalità, escludendo l’applicabilità di una
sanzione conservativa (non) prevista dal CCNL, neppure indicata dal lavoratore
(così all’ultimo capoverso di pg. 10 della sentenza). E ciò ha fatto sia in
riferimento all’elemento soggettivo, per la sufficiente rimproverabilità della
condotta sotto il profilo della colpa, in modo inequivoco risultante dalla
ricostruzione del suo comportamento (in particolare dall’ultimo capoverso di
pg. 3 all’ultimo di pg. 4 e ancora al penultimo di pg. 5 della sentenza), non
essendo richiesto un disegno premeditato e un generico intento doloso (così al
primo periodo di pg. 9 della sentenza) e rilevata l’omessa censura di negazione
del rilievo delle condizioni di salute del lavoratore (“mai evidenziate
dall’Antonucci al proprio datore di lavoro allo scopo di essere esentato dai
compiti di servizio nei quali era impegnato … neppure menzionate nella
lettera di giustificazione del 24.11.2014”: così all’ultimo capoverso di
pg. 6 della sentenza), semplicemente richiamata, ma non confutata (ai primi
otto alinea di pg. 61 del ricorso); sia in riferimento all’elemento oggettivo,
compiutamente accertato (al secondo e terzo capoverso di pg. 8, dal primo
all’ultimo di pg. 9 e dall’ultimo capoverso di pg. 11 al penultimo di pg. 13
della sentenza).

4.5. La Corte territoriale ha esattamente applicato
i principi di diritto in materia di proporzionalità della sanzione
disciplinare, che ne prevedono la commisurazione alla gravità dei fatti
contestati, sia in sede di irrogazione della sanzione da parte del datore
nell’esercizio del suo potere disciplinare, avuto riguardo alle ragioni che lo
hanno indotto a ritenere grave il comportamento del dipendente, sia da parte
del giudice del merito, il cui apprezzamento della legittimità e congruità
della sanzione applicata, se sorretto da adeguata e logica motivazione, si
sottrae a censure in sede di legittimità (Cass. 8
gennaio 2008, n. 144; Cass. 26 gennaio 2011,
n. 1788; Cass. 25 maggio 2012, n. 8293; 26
settembre 2018, n. 23046).

E così ha correttamente assolto al giudizio di
proporzionalità in concreto fra illecito disciplinare e relativa sanzione che è
giudizio di fatto riservato al giudice di merito, da operare tenendo conto di
tutti i connotati oggettivi e soggettivi della vicenda: entità del danno, grado
della colpa o intensità del dolo, esistenza o meno di precedenti disciplinari a
carico del dipendente (Cass. 26 aprile 2012, n.
6498; Cass. 29 marzo 2017 n. 8136; Cass. 10 luglio 2018, n. 18172; Cass. 28 gennaio 2020, n. 1891).

5. Dalle superiori argomentazioni discende allora il
rigetto del ricorso, con la cassazione statuizione delle spese del giudizio
secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove
spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle
indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535);

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il lavoratore alla
rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che
liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali,
oltre rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di
legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis, dello stesso art. 13, se
dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 aprile 2021, n. 9304
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