Prassi – FONDAZIONE STUDI CDL – Approfondimento 26 aprile 2021

La gestione del lavoratore in CIG, Compatibilità tra integrazione salariale e nuova attività lavorativa

 

PREMESSA

 

La crisi sanitaria che ha colpito il nostro Paese, con le conseguenti chiusure delle diverse attività produttive, ha avuto notevoli riflessi negativi in termini economici su tutto il mondo del lavoro, provocando un aumento diffuso del ricorso agli ammortizzatori sociali.

Tra le diverse misure adottate dal governo, l’introduzione di un sistema a “colorazione” delle Regioni e dei territori, che variano in base a diversi fattori tra cui la percentuale di contagi e l’occupazione delle terapie intensive. Da questo scaturisce l’impossibilità per molti datori di lavoro di svolgere la propria attività a fronte delle chiusure e, nel contempo, la necessità per altri, in ragione del settore produttivo di appartenenza, di operare con regolarità e di implementare il proprio organico.

In correlazione all’andamento irregolare del mercato del lavoro, si è riscontrato un considerevole interesse dei lavoratori che fruiscono dei trattamenti di integrazione salariale, previsti in particolar modo dalla normativa emergenziale, di svolgere contemporaneamente e per un determinato periodo diverse attività lavorative con l’obiettivo, tuttavia, di non privarsi dei diritti strettamente correlati al rapporto di lavoro in essere. Questa fattispecie è regolata dal secondo comma dell’art. 8 del D.Lgs. n.148/2015.

Il legislatore, infatti, in continuità con la previgente normativa, ha disposto che il lavoratore, che svolge attività di lavoro autonomo o subordinato durante il periodo di integrazione salariale, non ha diritto al trattamento per le giornate di lavoro effettuate.

Da tale disposizione, dunque, si desume che lo svolgimento di attività lavorativa, remunerata durante il periodo di sospensione del lavoro con diritto all’integrazione salariale, non comporta la perdita del diritto al trattamento integrativo per l’intero periodo ma la sola riduzione dell’integrazione medesima in proporzione ai redditi derivanti dallo svolgimento di altra attività lavorativa.

Ai fini dell’applicazione di tale principio – stante che in caso di attività lavorativa subordinata può presumersi l’equivalenza della retribuzione alla corrispondente quota d’integrazione salariale – in ipotesi di attività lavorativa autonoma grava sul lavoratore, al fine del riconoscimento del suo diritto a mantenere l’integrazione salariale per la differenza, l’onere di dimostrare che il compenso percepito per detta attività sia inferiore all’integrazione salariale stessa (NOTA 1).

In proposito si evidenzia, altresì, che il rapporto di lavoro con l’azienda che fruisce dei trattamenti di integrazione salariale, benché temporaneamente sospeso, non fa decadere il divieto di concorrenza nei confronti dello stesso datore di lavoro, soprattutto quando previsto dal contratto individuale di lavoro e, pertanto, indennizzato.

Sul tema, inoltre, è altresì importante richiamare la previsione di cui al terzo comma dell’art. 8 del D.Lgs. n. 148/2015, con cui il legislatore ha disposto che il lavoratore decade dal diritto al trattamento di integrazione salariale nel caso in cui non abbia provveduto a dare preventiva comunicazione alla sede territoriale Inps dello svolgimento dell’attività lavorativa.

In proposito si rammenta che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3116 del 9 febbraio 2021, ribadendo il principio della parziale cumulabilità tra integrazione salariale e altre attività remunerate – con la conseguente riduzione dell’integrazione salariale in proporzione ai proventi del lavoro svolto – ha confermato che il lavoratore debba rispettare, quale condizione essenziale per il mantenimento del diritto alla fruizione della cassa integrazione, quella che l’Inps sia preventivamente informato dell’avvio dell’attività remunerata presso un altro datore di lavoro, così come previsto dalla norma.

Con particolare riferimento alla finalità della sopracitata decadenza – il cui scopo è quello di consentire all’Istituto previdenziale la corretta gestione dell’integrazione salariale prevenendone l’indebita erogazione e favorendo i necessari controlli per ridurre l’area del lavoro nero – è stato inoltre precisato che l’obbligo di comunicazione preventiva a carico del lavoratore interessato sussiste anche nei casi in cui la nuova occupazione generi un reddito compatibile con il godimento del trattamento di integrazione salariale (NOTA 2).

Tale obbligo incombe per ogni attività di lavoro subordinato o autonomo, anche non riconducibile allo schema contrattuale di cui agli art. 2222 ss. e 2230 ss. del codice civile (NOTA 3), e più in generale per qualunque attività potenzialmente remunerativa, anche se in concreto non abbia prodotto alcun reddito o l’Inps ne abbia avuto comunque tempestiva notizia da parte del nuovo datore di lavoro (NOTA 4).

Al fine di chiarire ulteriormente la tematica, di seguito si riepilogano le principali circostanze in cui si riscontra:

– la totale cumulabilità della remunerazione collegata alla nuova attività con l’integrazione salariale;

– una parziale cumulabilità dei redditi da lavoro con l’integrazione salariale;

– l’incompatibilità tra la nuova attività lavorativa e l’integrazione salariale.

 

1. CUMULABILITÀ TOTALE DELL’INDENNITÀ CON LA REMUNERAZIONE

 

In caso di nuova attività di lavoro dipendente, la cui collocazione temporale è disposta in altre ore della giornata o in periodi diversi dell’anno rispetto all’attività lavorativa sospesa, e quindi con essa compatibile, si riscontra la piena cumulabilità del reddito derivante dalla nuova attività lavorativa e il trattamento di integrazione salariale.

Tale ipotesi ricorre nel caso in cui i due rapporti di lavoro siano part-time, con riduzione dell’orario ordinario giornaliero ovvero con prestazione del lavoro per intere giornate in periodi predeterminati.

Anche per i lavoratori che svolgono prestazioni di lavoro intermittente con altro datore di lavoro vige comunque il principio secondo cui, se la prestazione avviene in orari o giorni che non coincidono con le fasce di orario di lavoro previste dal contratto che ha dato origine alla cassa integrazione, non vi è incompatibilità e i relativi redditi percepiti sono cumulabili senza alcuna riduzione.

Da ultimo si segnala che vi è compatibilità anche tra un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e uno part-time, purché le due attività siano tra loro compatibili nel limite dell’orario massimo settimanale di lavoro.

 

2. CUMULABILITÀ PARZIALE TRA INTEGRAZIONE SALARIALE E REDDITO DERIVANTE DA UNA NUOVA ATTIVITÀ

 

Stante la disposizione normativa secondo cui l’integrazione salariale non è dovuta per le giornate nelle quali il lavoratore beneficiario si dedichi ad altre attività remunerate, il reddito derivante dalla nuova attività di lavoro non è solitamente cumulabile con l’integrazione salariale. In tali casi, dunque, il trattamento di integrazione salariale viene sospeso in coincidenza delle giornate in cui è stata effettuata la nuova attività lavorativa.

Tuttavia, come precisato dall’Inps (NOTA 5), qualora il lavoratore dimostri che il compenso per tale attività sia inferiore all’integrazione stessa avrà diritto ad una quota pari alla differenza tra l’intero importo dell’integrazione salariale spettante e il reddito percepito.

Nel caso in cui il beneficiario della integrazione salariale stipuli un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, quest’ultimo risulta compatibile con il diritto all’integrazione salariale.

Se il reddito derivante dalla nuova attività lavorativa è inferiore all’integrazione, sarà possibile il cumulo parziale della stessa con il reddito, a concorrenza dell’importo totale della integrazione spettante.

Per ciò che concerne i lavoratori che svolgono prestazioni di lavoro intermittente, stante il principio di compatibilità argomentato precedentemente, qualora la prestazione avvenga in orari coincidenti con quelli della cassa integrazione, è necessario operare una distinzione a seconda che sussista un’indennità di disponibilità nel contratto stipulato. In tale fattispecie, infatti, il trattamento di integrazione salariale deve essere sospeso. In caso contrario, invece, nei casi in cui, quindi, non vi sia alcun indennizzo e il lavoratore abbia facoltà di risposta, potrebbe realizzarsi una cumulabilità parziale con le giornate in cui si è eseguita la prestazione lavorativa, perdendo, dunque, il trattamento di integrazione salariale per le sole giornate in cui è stato effettivamente chiamato ad effettuare la prestazione.

Sull’argomento è altresì importante rammentare che per quanto attiene il lavoro occasionale, di cui all’articolo 54 bis del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50, introdotto dalla legge di conversione 21 giugno 2017, n. 96, tale istituto è destinato anche ai percettori di prestazioni integrative del salario ovvero di altre prestazioni di sostegno del reddito.

In tali casi, posta la compatibilità delle due fattispecie e stante l’obbligo di rispettare le limitazioni previste dalla norma, l’Inps provvede a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alle prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito, laddove prevista, gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni occasionali rese dal prestatore.

Qualora, invece, il lavoratore beneficiario dei trattamenti integrativi stipuli un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, tale prestazione risulta compatibile con il diritto all’integrazione salariale. In tali casi, spetterà al lavoratore interessato dimostrare e documentare l’effettivo ammontare dei guadagni al fine di consentire all’Inps l’erogazione dell’eventuale quota differenziale di integrazione salariale.

Medesimo iter deve essere seguito dal lavoratore beneficiario del trattamento di integrazione salariale che intraprende una nuova attività di lavoro autonomo. In tali casi, infatti, non rileva il fatto che il lavoro sospeso sia a tempo parziale o a tempo pieno, né il tempo dedicato alla prestazione di lavoro autonomo e nemmeno il fatto che tale nuova attività non comporti una contestuale tutela previdenziale di natura obbligatoria. In tali circostanze, dunque, non sussiste alcuna presunzione circa la possibile equivalenza tra il provento di tale attività e la misura dell’integrazione salariale cui il lavoratore avrebbe avuto diritto.

Per entrambe le tipologie di attività appena sopra descritte è bene ribadire che, nel caso in cui l’ammontare dei redditi non sia agevolmente quantificabile o collocabile temporalmente, l’Istituto dovrà sospendere l’erogazione delle integrazioni salariali al momento della comunicazione preventiva. Si segnala, da ultimo, che rientrano in tale ipotesi anche le somme percepite per incarichi pubblici elettivi o in virtù di un rapporto di servizio onorario con la Pubblica Amministrazione.

 

3. INCOMPATIBILITÀ TRA NUOVA ATTIVITÀ DI LAVORO E INTEGRAZIONE SALARIALE

 

In linea generale si riscontra una piena incompatibilità nei casi in cui il lavoratore beneficiario dell’integrazione salariale abbia iniziato un nuovo rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato. Tale ipotesi, peraltro, è ribadita dall’Inps all’interno della circolare n. 107/2010, in cui viene fatto espresso richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale n. 195/1995, la quale, seppur nell’ambito della previgente normativa (NOTA 6), ritiene che “il nuovo impiego a tempo pieno e senza prefissione di termine, alle dipendenze di un diverso datore di lavoro, comporta la risoluzione del rapporto precedente e, quindi, (…) la perdita del diritto al trattamento di integrazione salariale per cessazione del rapporto di lavoro che ne costituiva il fondamento”.

 

4. OBBLIGHI DI COMUNICAZIONE

 

Come prima analizzato, la norma stabilisce che il lavoratore decade dal diritto al trattamento di integrazione salariale nel caso in cui non abbia provveduto a dare preventiva comunicazione alla sede territoriale Inps dello svolgimento dell’attività lavorativa.

In proposito è utile rammentare che con la legge 27 dicembre 2006, n. 296, è stato introdotto l’obbligo di comunicazione preventiva, entro il giorno antecedente a quello di effettiva instaurazione del rapporto di lavoro, per i datori di lavoro privati, ivi compresi quelli agricoli, gli enti pubblici economici e le pubbliche amministrazioni, per le diverse tipologie di rapporti di lavoro (NOTA 7).

Le predette comunicazioni preventive obbligatorie dei datori di lavoro, come noto, sono gestite dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali tramite il sistema informatico per le comunicazioni obbligatorie (modello “UNILAV”) e acquisite nelle procedure Inps.

L’art. 9, comma 5, del decreto legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013 n. 99, attraverso l’interpretazione autentica dell’art. 4-bis, comma 6, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, ha disposto che le comunicazioni previste dalla normativa vigente a carico del datore di lavoro e inviate dallo stesso datore di lavoro al Servizio competente nel cui ambito territoriale è ubicata la sede di lavoro “sono valide ai fini dell’assolvimento di tutti gli obblighi di comunicazione che, a qualsiasi fine, sono posti anche a carico dei lavoratori nei confronti delle Direzioni regionali e territoriali del lavoro, dell’INPS, dell’INAIL…”.

Per effetto dell’intervento della predetta norma, non trova più applicazione, almeno con riferimento alle tipologie lavorative oggetto della comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto, l’obbligo imposto al prestatore di lavoro di comunicare all’Inps lo svolgimento di attività di lavoro durante il periodo di integrazione salariale.

In tali casi l’Istituto deve sospendere il trattamento di integrazione salariale senza procedere alla dichiarazione di decadenza dal diritto anche qualora il lavoratore abbia omesso le comunicazioni poste per legge a suo carico.

Come sopra specificato la non obbligatorietà della comunicazione preventiva all’Inps vale in caso di rioccupazione con rapporti di lavoro per i quali vige l’obbligatorietà della comunicazione del rapporto al Centro per l’impiego. Da tale previsione ne consegue che tale principio viene meno qualora vengano svolte prestazioni di lavoro autonomo non soggette a comunicazione. In tali casi permane l’obbligo di comunicare all’Inps circa lo svolgimento dell’attività.

 

Tipologia nuova attività

Compatibilità

Cumulabilità

Obbligo per lavoratore di comunicazione al datore di lavoro

Obbligo per datore di comunicazione all’Inps

Obbligo per lavoratore di comunicazione all’Inps

Lavoro subordinato part time a tempo determinato o indeterminato

Entro i limiti di legge

Si

Vi sono determinate eccezioni

Si Si Obbligo assolto da UNILAV
Lavoro intermittente Si

Entro i limiti di legge

Si

Vi sono determinate eccezioni

Si Si Obbligo assolto da UNILAV
Collaborazione coordinata e continuativa Si Si

Vi sono determinate eccezioni

Si Si Obbligo assolto da UNILAV Vi sono determinate eccezioni
Lavoro autonomo con partita IVA Si Si

Vi sono determinate eccezioni

Si No Si

 

Note:

(1) Cass. n. 12487/1992

(2) Cass. n. 5019/2004

(3) Cass. n. 11679/2005

(4) Cass. n. 2788/2001

(5) Circolare Inps n. 107/2010

(6) Art. 8, comma 5, del D.L. n. 86/1988, comma abrogato dal D.Lgs. n.148/2015

(7) Articolo 9-bis del decreto legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608 come modificato dall’art. 1, comma 1180, della legge n. 296/2006

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