Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 aprile 2021, n. 10870
Contratto a termine, Rinnovo verbale, Licenziamento in forma
orale, Sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato
Rilevato che
A.D. adiva il Tribunale di Cosenza ed esponeva di
essere stato assunto dalla s.r.l. C.D. con contratto a tempo determinato per il
periodo 6/12/2006-30/4/2007; deduceva altresì che il rapporto di lavoro era
stato rinnovato verbalmente sino al 30/9/2007, allorquando gli era stato
comminato licenziamento in forma orale. Sulla scorta di tali premesse chiedeva
accertarsi l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e
condannarsi la società alla reintegra nel posto di lavoro ed, in subordine, al
pagamento di un’indennità pari a quindici mensilità della retribuzione globale
di fatto percepita, oltre alla corresponsione di differenze retributive e
dell’indennità di mancato preavviso.
Costituitasi la società contestava le domande
chiedendone la reiezione. Il giudice adito respingeva il ricorso. Detta
pronuncia veniva riformata dalla Corte d’appello di Catanzaro che, con sentenza
resa pubblica il 27/5/2017, accertava l’esistenza fra le parti di un rapporto
di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far tempo dal 11/5/2007,
dichiarava l’inefficacia del licenziamento intimato e condannava la società al
risarcimento del danno in favore del lavoratore, liquidato in misura
corrispondente alla retribuzione globale di fatto dovuta dal 3/12/2007 al
20/11/2008.
Nel pervenire a tali conclusioni, per quanto ancora
qui rileva, il giudice del gravame osservava che: a) la proroga del contratto a
termine intercorso fra le parti non poteva desumersi né dalla documentazione
prodotta né dalle prove testimoniali richiamate; b) la lettera di proroga
risultava sottoscritta dal solo datore di lavoro e non anche dal lavoratore, né
ne risultava dimostrato l’invio al Centro per l’Impiego; c) in mancanza di
forma scritta l’effetto di conversione del contratto di lavoro a tempo
determinato in contratto di lavoro a tempo indeterminato era diretta
conseguenza della disposizione di legge (art. 5 l. 368/2001); d) la
comunicazione inviata oralmente della scadenza del nuovo termine
illegittimamente stabilito dal datore di lavoro equivaleva ad un licenziamento
orale inefficace, ai sensi dell’art.2
c.3 l. 604/1966.
Avverso tale decisione la Commerciale G. s.p.a.
incorporante la C.D. s.r.l. interpone ricorso per cassazione affidato a tre
motivi ai quali oppone difese l’intimato.
Considerato che
1. Deve in via preliminare respingersi l’eccezione
di inammissibilità del ricorso sollevata dalla parte controricorrente.
Questa premette che la C.D. srl con atto notarile
registrato il 13/1/2014 era stata incorporata dalla G. Commerciale s.p.a. e
che, ciò nonostante, la C.D. si era costituita nel giudizio di appello con
memoria 25/1/2016 benché fosse già stata cancellata dal registro delle imprese.
Deduce, poi, che il presente giudizio è stato
instaurato dalla Commerciale G. s.p.a. quando, in virtù dell’atto di
incorporazione, la C.D. s.r.l. si era già estinta. Soggiunge che, essendo
rimaste le stesse le parti costituite in giudizio in sede di delibazione della
sentenza di secondo grado, “l’interesse ad agire e quindi, l’interesse
all’impugnazione dell’attuale società ricorrente sarebbe potuta sussistere se
la G. si fosse regolarmente costituita in sede di appello, quanto meno al
momento della decisione della causa in appello, poiché è in relazione a tale
decisione che va valutato detto interesse”.
In difetto, si prospetta l’inammissibilità del
ricorso per carenza dell’interesse ad agire, perché in quel giudizio, pur
avendo già incorporato la C.D. s.r.I., la G. s.p.a. non si era costituita. Legittimati
all’impugnazione come a resistervi, sono infatti solo i soggetti che abbiano
assunto la veste di parte nel previo giudizio di merito sicché nel caso in cui
un soggetto che, come nella specie, non sia stato parte del giudizio di
appello, proponga impugnazione avverso la decisione adottata, l’impugnazione
deve ritenersi inammissibile.
2. L’eccezione è priva di fondamento.
Secondo i principi affermati da questa Corte, ed ai
quali va data continuità, in tema di fusione per incorporazione, l’art. 504-bis
c.c., nel testo modificato dal d.lgs. n. 6 del 2003,
nel prevedere la prosecuzione dei rapporti giuridici, anche processuali, in
capo al soggetto unificato quale centro unitario di imputazione di tutti i
rapporti preesistenti, risolve la fusione in una vicenda evolutivo-modificativa
dello stesso soggetto giuridico, che, pur in presenza di un nuovo assetto
organizzativo, conserva la propria identità (vedi ex allls, Cass.Sez.U.
17/09/2010 n.19698, Cass. 16/5/2017 n. 12119, Cass. 10/12/2019 n. 32208) . Ne
consegue che a seguito della fusione si ha la prosecuzione dei rapporti
giuridici nel soggetto unificato quale centro unitario dì imputazione di tutti
i rapporti precedenti (Cass 15/2/2013 n.3820).
Non appare, dunque, pertinente alla vicenda
giuridica considerata, la prospettazione di una carenza di legittimazione ,ad
impugnare e di interesse ad agire in capo alla società ricorrente, giacché la
stessa si palesa quale centro di imputazione di tutti i rapporti preesistenti
alla fusione per incorporazione, anche di natura processuale, ed è portatrice
di un qualificato interesse, concreto ed attuale, alla impugnazione della
pronunzia a sé sfavorevole, emessa dalla Corte distrettuale.
3. Del pari priva di fondamento è l’ulteriore
eccezione sollevata dal D., con riferimento alla inammissibilità del ricorso
per la nullità della procura speciale alle liti, ex art.83
c.3 c.p.c. conferita all’avv. G.R. dal legale rappresentante della società
la cui sottoscrizione è stata qualificata come illeggibile ed il cui nominativo
non sarebbe evincibile né dalla intestazione né dal contesto dell’atto.
Deve, infatti, darsi continuità all’indirizzo
espresso da questa Corte secondo cui l’illeggibilità della firma del conferente
la procura alla lite, apposta in calce od a margine dell’atto con cui sta in
giudizio una società, esattamente indicata con la sua denominazione, è
irrilevante quando il nome del sottoscrittore risulti dal testo della procura
stessa, dalla certificazione d’autografia resa dal difensore o dal testo
dell’atto o anche quando sia con certezza desumibile dall’indicazione di una
specifica funzione o carica, che ne renda identificabile il titolare per il
tramite dei documenti di causa o delle risultanze del registro delle imprese
(vedi per tutte Cass. 29/3/2019 n. 8930).
Nella fattispecie delibata, deve ritenersi la
ritualità della sottoscrizione resa dal legale rappresentante della società G.
che non solo non risulta illegibile ma che è anche attestata dalla
certificazione di autografia resa dal difensore ed è identificabile per il
tramite delle risultanze del registro delle imprese, sicché l’eccezione
sollevata al riguardo, in quanto destituita di fondamento, deve essere
respinta.
4. Con il primo motivo di rigorso si denuncia omesso
esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione
fra le parti in relazione all’art.360 comma primo
n.5 c.p.c.
Si criticano gli approdi ai quali è pervenuto il
giudice del gravame pèr aver trascurato di considerare che il fatto controverso
sul quale si fonda la qualificazione della domanda, non è costituito dalla
esistenza della proroga, quanto dalla validità del consenso prestato oralmente
dal lavoratore, non risultando sottoscritta la comunicazione di scadenza. del
nuovo termine.
Dalla lettura del ricorso introduttivo emergeva
chiaramente che il ricorrente non contestava la circostanza che il contratto
fosse stato prorogato sino al 30/9/2007, ma che tale proroga fosse stata
disposta verbalmente. Si deduce al riguardo che per la validità della proroga
non è prescritta alcuna forma ad substantiam in quanto là normativa in vigore
richiede il consenso del lavoratore, nella specie desumibile per facta
condudentia dal comportamento del lavoratore stesso.
5. Il secondo motivo prospetta violazione degli artt.1 e 4 d. Igs. n.368/2001 ex art. dell’art. 360 c.p.c., n.3 c.p.c.
Si deduce l’erroneità della statuizione con la quale
la Corte ha sostenuto la necessità di forma scritta della proroga del contratto
a termine. In tema di rapporto di lavoro a termine, per la proroga del
contratto non è necessaria la forma scritta ad substantiam ai sensi delle
disposizioni summenzionate, potendo l’accordo fra le parti essere manifestato
in forma orale o risultare da comportamenti concludenti ed al riguardo si
rimarca come, dalla medesima prospettazione di parte ricorrente, richiamata
dalla Corte di merito anche nello storico di lite, si evinceva che il rapporto
di lavoro era stato “rinnovato verbalmente” fra le parti.
Si osserva come la circostanza che non fosse stata
sottoscritta dal lavoratore la proroga, non poteva escludere né la sussistenza
della proroga stessa, né la validità del consenso che può essere manifestato
anche per facta condudentia.
6. Con il terzo motivo si deduce violazione degli artt.91 e 92 cpc
Ci si duole che la Corte distrettuale, pur accogliendo parzialmente il ricorso
del lavoratore rigettando le domande volte a conseguire il pagamento di
differenze retributive e della indennità di preavviso, in presenza di una
situazione di reciproca soccombenza, non abbia disposto la compensazione delle
spese di lite.
7. La Corte intende esaminare con priorità il
secondo motivo di ricorso.
Invero, secondo i consolidati approdi ai quali è
pervenuta la giurisprudenza di questa Corte, il principio processuale della
ragione più liquida, desumibile dagli artt. 24
e 111 Cost., comporta che la causa può essere
decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se
logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le
altre; si impone infatti, a tutela di esigenze di economia processuale e di
celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica
delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della
coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello
dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c. (così Cass. 28/5/2014 n.12002, cui
adde Cass. 11/5/2018 n. 11458, Cass. 9/1/2019
n. 363).
In tale prospettiva, va, dunque esaminato detto
secondo motivo.
8. Esso è fondato e meritevole di accoglimento peri
le ragioni di seguito esposte.
Come questa Corte insegna il d.lgs. n. 368/01 (art. 4) non
prevede, a differenza di quanto stabilito dall’art. 22, comma 2, del d.lgs. 10
settembre 2003; n. 276 in tema di somministrazione di lavoro (su cui cfr. Cass. 10.10.2014 n. 21520), che la proroga del
contratto a tempo determinato debba avvenire per iscritto.
Peraltro, neppure nell’impianto di cui alla L. n. 230/62 era previsto che la pattuizione di
una proroga dovesse avvenire con atto scritto, anche se in quel caso la mancata
prescrizione di forma era superflua, posto che la prosecuzione del contratto
oltre la durata iniziale comportava tout court la trasformazione del rapporto
in contratto a tempo indeterminato (art. 2 L. – n. 230/62), salva
evidentemente la prova di una proroga concordata (cfr. Cass. 3/7/1990 n.6797).
In tale contesto, come rimarcato in più occasioni da
questa Corte, deve ritenersi che la mancata previsione della forma scritta per
la proroga sia oggi bilanciata dai nuovi e più flessibili meccanismi sanzionatori
descritti, comportanti maggiorazioni retributive per la prosecuzione del
rapporto oltre la scadenza iniziale, oltre alla trasformazione del contratto in
rapporto a tempo indeterminato qualora tale prosecuzione superi i detti limiti
di venti o trenta giorni (a seconda che la durata iniziale del contratto sia
inferiore o superiore a sei mesi), lasciando intatto l’onere in capo al datore
di lavoro di provare l’esistenza delle ragioni obiettive che giustificano la
proroga (vedi Cass. 21/1/2016 n.1058, Cass. 4/5/2020 n.8443).
Si è anche ritenuto, di conseguenza, che la suddetta
disposizione, inserendosi in. un complessivo articolato regime probatorio e
sanzionatorio, corredato da limiti temporali massimi, non si pone in contrasto
con la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato,
che, come affermato dalla Corte di Giustizia (sentenza 26 gennaio 2012, C-586/10), mira a limitare il ricorso a una
successione di contratti o rapporti a tempo determinato attraverso
l’imposizione agli Stati membri dell’adozione di almeno una delle misure in
essa enunciato. Deve allora osservarsi che il nostro legislatore, con il d.lgs. n. 368/2001 (anche nel testo vigente
all’epoca dei fatti causa), non solo ha previsto obiettive ragioni per
l’assunzione a termine (art. 1)
e per la sua proroga, addossando sul datore di lavoro la prova della loro
sussistenza (art. 4), ma ha
previsto altresì (sempre nel testo vigente all’epoca dei fatti) una durata
massima del rapporto di lavoro in caso , di proroga, oltre a meccanismi
sanzionatori per l’ipotesi di successione di contratti (art.5):
La Corte di merito, nel suo incedere argomentativo,
laddove ha affermato che in mancanza di forma scritta della proroga, il
contatto a termine si converte in contratto a tempo indeterminato, non si è
conformata agli enunciati principi.
Il motivo va pertanto accolto, restando logicamente
assorbite le ulteriori censure.
La sentenza va, quindi, cassata con rinvio alla
Corte designata in dispositivo la quale esaminerà la vicenda sottoposta al suo
scrutinio, applicando i principi summenzionati e disponendo anche in ordine
alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli
altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla
Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione, cui demanda di provvedere
anche in ordine alle spese del presente giudizio.