Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 maggio 2021, n. 11636

Lavoro, Assunzione a tempo indeterminato, Inquadramento
stipendiale corrispondente all’anzianità maturata in forza dei contratti a
termine, Stabilizzazione

 

Fatti di causa

 

La Corte d’Appello di Roma, accogliendo parzialmente
il gravame proposto da L.P. avverso la sentenza del Tribunale della stessa
città, ha dichiarato il diritto del medesimo all’assunzione a tempo
indeterminato presso l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (di seguito INFN),
in forza dell’art. 1, co. 519 e
520 L. 296/2006 e il diritto al riconoscimento dell’inquadramento
stipendiale corrispondente all’anzianità maturata in forza dei contratti a
termine intercorsi tra le parti.

La Corte riteneva che il procedimento seguito
dall’INFN per le stabilizzazioni non fosse legittimo, in quanto l’ente aveva
formato una graduatoria di priorità con la quale il personale non più in
servizio al 1.1.2007 veniva postergato rispetto al personale ancora in
servizio, sia che quest’ultimo avesse già maturato i presupposti di
stabilizzazione, sia che li maturasse entro i successivi termini fissati dalla
legge.

La Corte riteneva che tale graduatoria si ponesse in
contrasto con la direttiva del Ministero per la Pubblica Amministrazione
emanata al fine di regolare le stabilizzazioni di cui alla L. 296 cit. e comunque non trovasse
giustificazione né nel fatto, valorizzato dalle difese dell’ente, che la legge
prevedeva espressamente la prosecuzione dei rapporti in essere alla data del
31.12.2006, né con la priorità indicata nello stesso co. 519, in quanto da riferire
soltanto al personale di cui all’art.
23 d.lgs. 215/2001 e cioè agli ufficiali in “ferma prefissata” ed
al solo fine della prosecuzione medio tempore dei rapporti a termine con essi
intercorrenti.

La Corte territoriale aggiungeva ancora che lo
stesso bando di stabilizzazione prevedeva graduatorie divise per profili
professionali e, come ordine di priorità, l’anzianità di servizio e quella
anagrafica.

Rispetto al calcolo dell’anzianità del personale
stabilizzato, la Corte riteneva doversi fare applicazione delle regole
antidiscriminatorie quali delineate dalla Corte di Giustizia, mentre veniva
rigettata la domanda di risarcimento del danno per abusiva reiterazione di
contratti a termine, in ragione della mancanza di prova del pregiudizio, così
come quella di pagamento delle differenze sulla diaria di trasferta, calcolata
secondo le tariffe previste per la Francia (luogo di alloggio) e non sulle
maggiori previste per la Svizzera (luogo di lavoro), valorizzando in proposito
l’estrema contiguità tra i due territori e sostenendo che la scelta della P.A.,
ispirata ad esigenze di contenimento della spesa, non poteva essere considerata
illegittima.

L’INFN ha proposto ricorso per cassazione con tre
motivi, cui il P. ha opposto difese contenenti anche due motivi di ricorso
incidentale.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo l’INFN afferma la violazione
dell’art. 1 co. 519 L. 296/2006
e 23, co. 1, d. Igs. 215/2001 (art. 360 n. 3 c.p.c.) e la denuncia di tale
violazione è reiterata nel secondo motivo, in associazione con quella dell’art. 12 disp. prel.

I due motivi, da analizzare congiuntamente stante la
stretta connessione tra essi esistente, fanno leva sull’assunto per cui dalla
previsione del co. 519 cit.,
in forza della quale, nelle more delle stabilizzazioni, la P.A. avrebbe
continuato ad avvalersi del personale a tempo determinato in forza fino alla
conclusione delle procedure di assunzione, si dovrebbe ricavare una regola di
priorità per le assunzioni.

Analoga regola, dal punto di vita testuale, sarebbe
poi desumibile, secondo l’ente, anche dalla sequenza con cui era menzionato
nella norma, nell’ordine, il personale in servizio da almeno tre anni al
1.1.2007, quello in servizio che avrebbe maturato il triennio successivamente a
tale data e solo in ultimo il personale non più in servizio, ma che aveva
maturato il triennio nel quinquennio anteriore all’entrata in vigore della
normativa sulla stabilizzazione.

INFN segnalava poi come fosse irrilevante, ai fini
delle priorità di stabilizzazione, il disposto dell’art. 23 d. Igs. 215/2001, tenuto
in considerazione dal giudice d’appello, così come non decisivo era il richiamo
operato dalla Corte territoriale alla Direttiva del Ministero per la Pubblica
Amministrazione, in ogni caso da declinare congiuntamente con la priorità
accordata al personale in servizio dall’art. 1, co. 519.

Nel corpo del secondo motivo, INFN aggiunge un
ulteriore (e non numerato) motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., con cui viene censurato il
fatto che la Corte territoriale abbia affermato l’esistenza di un diritto del
P. all’assunzione, senza offrire alcuna ragione di fatto e di diritto in
proposito, dovendosi escludere che la mera prestazione di attività a tempo
determinato nella misura di legge consentisse l’affermazione del diritto
riconosciuto.

2. I motivi sono infondati;

2.1 L’art.
1, co. 519 L. 296/2006 prevede la stabilizzazione a domanda «del personale
non dirigenziale in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non
continuativi, o che consegua tale requisito in virtù di contratti stipulati
anteriormente alla data del 29 settembre 2006 o che sia stato in servizio per
almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di
entrata in vigore della presente legge, che ne faccia istanza, purché sia stato
assunto mediante procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme
di legge».

Non è condivisibile l’assunto secondo cui la
sequenza osservata dalla norma nell’indicare le tipologie di personale
destinatario della stabilizzazione individui un criterio di preferenza, perché
l’utilizzazione della disgiuntiva “o”, senza alcun inciso che possa
far pensare ad un ordine di importanza delle diverse ipotesi così elencate, non
permette una tale conclusione.

Neppure può seguirsi l’assunto dell’INFN volto a
sostenere che la previsione sempre del comma 1, secondo cui «le amministrazioni
continuano ad avvalersi del personale di cui al presente comma … in servizio
al 31 dicembre 2006, nelle more della conclusione delle procedure di
stabilizzazione» andrebbe intesa come tale da delineare un favor per chi fosse
in servizio a quella data.

Si tratta infatti di norma destinata palesemente ad
individuare soltanto una modalità utile al fine di sopperire medio tempore alle
esigenze di correntezza delle Pubbliche Amministrazioni interessate, da cui è
arbitrario trarre regole di ordine rispetto alle stabilizzazioni.

Va viceversa condivisa l’affermazione della Corte
territoriale secondo cui doveva essere l’anzianità di servizio (o, in caso di
parità di posizione), quella anagrafica, a regolare il diritto all’assunzione,
trattandosi dell’unico criterio idoneo a contemperare tra loro la palese ratio
di rimedio a situazioni gravi di precariato con la convergente e ineludibile
esigenza di assicurare alla P.A., attraverso lo speciale procedimento di
stabilizzazione, personale con pregressa esperienza specifica (tra le molte, v.
Corte Cost. 28 ottobre 2010, n. 3030, inerente proprio alla normativa in
esame).

2.2 Non vi è poi dubbio che il diritto
all’assunzione per stabilizzazione non dipenda solo dalla titolarità dei
requisiti di servizio richiesti dalla normativa, occorrendo anche la coerenza
rispetto alle dotazioni organiche dell’ente e la copertura finanziaria (v.
Cass., S.U., 7 luglio 2010, n. 16041 e successive conformi).

Tuttavia, i motivi ed in particolare la censura
autonoma ma non numerata contenuta nel secondo motivo, ove si affronta il tema,
nel negare la ricorrenza del diritto per difetto di tutti i relativi
presupposti, resta generico, non facendo una concreta questione di capienza
finanziaria, di assenza di posti o di autorizzazioni.

D’altra parte, la Corte territoriale menziona la
necessità di una selezione allorquando il numero di posti sia inferiore a
quello dei soggetti aventi i requisiti richiesti, negando poi che si ponga però
un problema di controinteressati ed affermando soltanto che il ricorrente «avrebbe
dovuto essere assunto dall’INFN ben prima dei lavoratori stabilizzati inseriti
nella graduatoria», considerazioni rispetto alle quali ancora i motivi non
replicano se non genericamente.

2.3 In definitiva, non era legittimo che fosse stato
stabilizzato soltanto personale in posizione di anzianità deteriore rispetto al
ricorrente e va quindi confermata la pronuncia con cui è stata disposta dalla
Corte territoriale l’assunzione anche del P.

3. Con il terzo motivo l’INFN afferma la violazione
e falsa applicazione sempre dell’art.
1, co. 519 e dell’art. 4 del CCNL del personale non dirigente del comparto
delle istituzioni e degli enti di ricerca 2006-2009, in combinazione con la
clausola 4 dell’Accordo Quadro di cui
alla Direttiva 1999/70/CE (art. 360 n. 3 c.p.c.).
L’INFN sostiene che anche rispetto al personale tecnico-amministrativo di ruolo
il CCNL non attribuirebbe rilievo diretto all’anzianità di servizio a fini
economici, in quanto tale anzianità opererebbe soltanto ai fini dell’accesso
alle selezioni interne per la progressione verso i livelli di inquadramento
superiori, ipotesi rispetto alla quale lo stesso CCNL consentirebbe il computo
anche dei periodi svolti a tempo determinato.

Il motivo è inammissibile.

La sentenza impugnata riconosce il diritto del P. ad
un «inquadramento stipendiale corrispondente alla anzianità maturata in virtù
dei contratti stipulati». L’inquadramento stipendiale è evidentemente quello
che deriva dalla contrattazione collettiva sicché, se risulti vero il fatto che
essa non preveda, neppure per il personale di ruolo, incrementi in base alla
(sola) anzianità, evidentemente la sentenza non avrà effetto concreto da questo
punto di vista, sicché mancherebbe l’interesse all’impugnazione così come
impostata, mentre se viceversa l’incremento stipendiarvi sia (o sarà) previsto,
l’assenza nel motivo di ragioni di merito avverso l’argomentazione della Corte
territoriale sulla parità di trattamento impedirebbe comunque la rimozione di
quanto disposto.

4. Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia
violazione ed erronea applicazione della L. 836/1973, del d.p.r. 513/1978,
della L. 417/1978, del d.p.r. 395/1988 e del DPCM 16.3.1990 e del d.m. 13/1/2003 e dell’art. 28, co. 1, d.l. 223/2006,
convertito in L. 248/2006.

Il P. sostiene che la decisione dell’INFN di
remunerare le trasferte secondo le diarie previste per la Francia (luogo di
residenza alberghiera) in luogo di quelle maggiori previste per Ginevra (luogo
di effettivo lavoro) sarebbe illegittima perché in violazione delle norme di
disciplina delle predette indennità (art. 25, co. 3, d.p.r. 171/1991) ed
avrebbe avuto il fine di realizzare economie a scapito dei lavoratori.

Il motivo è inammissibile, perché non corredato da
sufficienti elementi di fatto utili a consentire un qualche concreto
ragionamento giuridico sull’accaduto, essendo nota soltanto la diversità tra
luogo di residenza e luogo di lavoro, ma null’altro rispetto a che cosa, quanto
a costi, la diaria fosse destinata a coprire, quali spese fossero anticipate
dal lavoratore, dove (Francia o Ginevra) esse venissero sostenute ed ogni altro
particolare utile a comprendere l’effettiva fattispecie ed a consentirne la
qualificazione e la determinazione dei corretti effetti giuridici, anche tenuto
conto che lo stesso ricorrente incidentale ammette che la diaria è calibrata
rispetto alle variazioni delle condizioni valutarie e del costo della vita di
ciascun paese di destinazione.

Il secondo motivo del ricorso incidentale censura la
parte della sentenza con la quale è stata respinta la domanda di risarcimento
del danno per abusiva reiterazione della contrattazione a termine.

Sul punto la Corte di merito ha affermato che, anche
a prescindere dalla ricorrenza di tale abuso, mancava qualsiasi allegazione dei
danni, non riconoscibili come in re ipsa.

Il motivo sostiene che in tal modo vi sarebbe stata
violazione dell’art. 36 d.
Igs. 165/2001 ritenendo che per il solo fatto della reiterazione sorgerebbe
il diritto al risarcimento del danno.

Il motivo è infondato.

Non vi è dubbio che, per giurisprudenza ormai
consolidata, conseguente all’arresto di Cass.,
S.U., 15 marzo 2016, n. 5072, «in materia di pubblico impiego privatizzato,
nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura
risarcitoria prevista dall’art.
36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, va interpretata in conformità al
canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché
può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all’art. 32, comma 5, della I. n. 183
del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile
come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo,
salva la prova del maggior pregiudizio sofferto».

Tale giurisprudenza individua tuttavia nella
precarizzazione del lavoratore il danno cui essa intende rimediare.

Da ciò deriva che, se siano proprio i medesimi
contratti a termine, con una diretta correlazione di causa-effetto (Cass. 17
luglio 2020, n. 15353), ad aver determinato le condizioni per il sorgere di un
contratto a tempo indeterminato, viene meno il danno rilevante, in quanto si
consente in tal modo all’interessato di ottenere in forma specifica, con la
eliminazione della condizione di precariato, il medesimo “bene della
vita” cui dovrebbe sopperire il risarcimento, non restando preclusa la
domanda di danni ulteriori e diversi, ma con oneri di allegazione e prova a
carico del lavoratore che, in tal caso, non beneficia di alcuna agevolazione
probatoria da danno presunto.

Ciò è stato affermato, sulla scia di Corte Costituzionale 20 luglio 2016 n. 187, in
ambito di stabilizzazione dei docenti (Cass. 7
novembre 2016, n. 22552; Cass. 20 aprile 2018, n. 9861), ma anche rispetto
a procedure di stabilizzazione, come la presente, ai sensi dell’art. 1, co. 519, L. 296/2006
(Cass. 3 luglio 2017, n. 16336) ed il principio va qui confermato.

Poiché vi è reiezione del ricorso per cassazione per
quanto attiene alla condanna alla stabilizzazione, il pregiudizio da
precarizzazione resta in sé neutralizzato secondo i principi appena
riepilogati, mentre il motivo di ricorso per cassazione, non intacca, quanto ad
eventuali danni ulteriori, l’affermazione della Corte di merito in ordine alla
mancanza di allegazione di specifici profili di pregiudizio.

6. La reciproca soccombenza giustifica la
compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale e quello incidentale,
con compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.p.r. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
rispettivamente previsto per il ricorso principale e per quello incidentale, a
norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo
13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 maggio 2021, n. 11636
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