Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 maggio 2021, n. 13552

Professionista, Avvocato, Reddito superiore alla soglia di
euro 5.000,00 derivante dall’esercizio abituale, ancorché non esclusivo, ed
anche occasionale, di un’attività professionale, Iscrizione alla Gestione
separata

 

Fatti di causa

 

Con sentenza depositata ¡1 4.4.2019, la Corte
d’appello di Bari ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva
dichiarato l’Avv. F.F.M. non tenuta ad iscriversi presso la Gestione separata
in relazione ai periodi nei quali aveva prodotto un reddito inferiore ai minimi
previsti per l’obbligatorietà dell’iscrizione presso la Cassa Nazionale
Forense.

La Corte, in particolare, ha ritenuto che, sebbene
non potesse in linea generale dubitarsi dell’obbligatorietà dell’iscrizione
alla Gestione separata per coloro che esercitano abitualmente la professione di
avvocato e che non sono tenuti a iscriversi presso la Cassa Nazionale Forense,
il fatto che la professionista avesse percepito redditi di importo inferiore a
€ 5.000,00 rappresentasse un indizio della natura occasionale dell’attività
svolta, rispetto al quale l’Istituto non aveva dato prova alcuna a supporto
della sua natura abituale.

Avverso tali statuizioni ha proposto ricorso per
cassazione l’INPS, deducendo un unico motivo di censura, successivamente
illustrato con memoria.

L’Avv. F.F.M. ha resistito con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

Con l’unico motivo di censura, l’INPS denuncia
violazione e falsa applicazione degli artt. 2, commi 26 ss., I. n.
335/1995, 18, commi 1 e 2,
d.l. n. 98/2011 (conv. con I. n. 111/2011),
21 comma 8, I. n. 247/2012, e
44, d.l. n. 269/2003 (conv.
con I. n. 326/2003), per avere la Corte di
merito ritenuto che la produzione di un reddito inferiore alla soglia di €
5.000,00, di cui alla norma ult. cit., costituisse elemento sintomatico
decisivo ai fini della valutazione dell’occasionalità della prestazione, senza
considerare le ulteriori circostanze acquisite al processo e rimaste
incontestate, vale a dire il mancato inserimento del reddito da lavoro autonomo
tra i redditi diversi ai fini fiscali e la titolarità di partita IVA.

Il motivo è infondato.

Va premesso che, ricostruendo la portata precettiva
dell’art. 2, comma 26, I. n.
335/1995, per come autenticamente interpretato dall’art. 18, comma 12, d.l. n. 98/2011
(conv. con I. n. 111/2011), questa Corte,
sulla scorta di Cass. S.U. n. 3240 del 2010,
ha avuto modo di affermare più volte che l’obbligo di iscrizione alla Gestione
separata è genericamente rivolto a chiunque percepisca un reddito derivante
dall’esercizio abituale (ancorché non esclusivo) ed anche occasionale (oltre la
soglia monetaria indicata nell’art.
44, comma 2, d.l. n. 269/2003, conv. con I. n.
326/2003) di un’attività professionale per la quale è prevista l’iscrizione
ad un albo o ad un elenco, tale obbligo venendo meno solo se il reddito
prodotto dall’attività professionale predetta è già integralmente oggetto di
obbligo assicurativo gestito dalla cassa di riferimento (così, espressamente, Cass. n. 32167 del 2018, in motivazione, cui
hanno dato continuità, tra le numerose, Cass. nn. 519 del 2019, 317 e 1827 del 2020,
477 e 478 del 2021). E trattasi di
affermazione che discende agevolmente dalla lettura del combinato disposto
degli artt. 2, comma 26, I. n.
335/1995, e dell’art. 44, d.l.
n. 269/2003, entrambi cit., il primo dei quali, per quanto qui rileva,
prevede l’obbligatorietà dell’iscrizione a carico dei «soggetti che esercitino,
per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo,
di cui al comma 1 dell’articolo 49
del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente
della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni ed
integrazioni», mentre il secondo, a decorrere dal 1° gennaio 2004, estende tale
obbligo anche ai «soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale
[…] solo qualora il reddito annuo derivante da dette attività sia superiore
ad euro 5.000».

Nell’intento del legislatore, reso palese dalla
lettera delle disposizioni citate, l’obbligatorietà dell’iscrizione presso la
Gestione separata da parte di un professionista iscritto ad albo o elenco è
collegata, infatti, all’esercizio abituale, ancorché non esclusivo, di una
professione che dia luogo ad un reddito non assoggettato a contribuzione da
parte della cassa di riferimento; la produzione di un reddito superiore alla
soglia di euro 5.000,00 costituisce invece il presupposto affinché anche
un’attività di lavoro autonomo occasionale possa mettere capo all’iscrizione
presso la medesima Gestione, restando invece normativamente irrilevante qualora
ci si trovi in presenza di un’attività lavorativa svolta con i caratteri
dell’abitualità.

Dirimente è, insomma, il modo in cui è svolta l’attività
libero-professionale, se in forma abituale o meno; e se nell’accertamento di
fatto di tale requisito ben possono rilevare le presunzioni ricavabili, ad es.,
dall’iscrizione all’albo, dall’accensione della partita IVA, dalle
dichiarazioni rese ai fini fiscali o dall’organizzazione materiale predisposta
dal professionista a supporto della sua attività, non è meno vero che trattasi
pur sempre di forme di praesumptio hominis, che non impongono all’interprete
conclusioni indefettibili, ma semplici regole di esperienza per risalire al
fatto ignoto da quello noto.

Sotto questo profilo, deve escludersi che – come
invece preteso dall’Istituto ricorrente – tali regole di esperienza siano
passibili di irrigidirsi in virtù della normazione positiva dettata dagli artt. 61 e 69-bis, d.lgs. n. 276/2003, così
da trapassare nel campo della presunzione legale: tanto l’art. 61, comma 3, d.lgs. n. 276/2003,
nella parte in cui prevede che «sono escluse dal campo di applicazione del
presente capo le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è
necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali», quanto il successivo art. 69-bis, comma 3, che esclude
dalla presunzione di continuatività di cui al precedente comma 1 le
«prestazioni lavorative svolte nell’esercizio di attività professionali per le
quali l’ordinamento richiede l’iscrizione ad un ordine professionale», sono
preordinati a dettare discipline di favore per i committenti e i prestatori di
attività riconducibili ad una professione intellettuale per il cui esercizio
sia necessaria l’iscrizione ad apposito albo professionale, stabilendo
rispettivamente che esse non necessitano dell’individuazione di uno specifico
progetto per essere dedotte in un contratto di collaborazione e che, ai fini
fiscali, non possono presumersi continuative; si tratta, in altri termini, di
disposizioni che operano l’una nell’ambito dei rapporti tra le parti contraenti
e l’altra nei confronti dell’Erario, ma dalle quali non è possibile desumere
alcuna presunzione iuris et de iure tale per cui un’attività
liberoprofessionale che possa essere svolta solo previa iscrizione ad un albo o
elenco debba necessariamente qualificarsi come “abituale” ai fini
dell’iscrizione alla Gestione separata. Resta piuttosto da osservare che, una
volta chiarito che il requisito dell’abitualità dev’essere accertato in punto
di fatto, valorizzando all’uopo le presunzioni ricavabili ad es.
dall’iscrizione all’albo, dalle dichiarazioni rese ai fini fiscali,
dall’accensione della partita IVA o dall’organizzazione materiale predisposta
dal professionista a supporto della sua attività, ben può la percezione da
parte del libero professionista di un reddito annuo di importo inferiore a €
5.000,00 rilevare quale indizio per escludere che, in concreto, l’attività sia
stata svolta con carattere di abitualità, così come in concreto ritenuto dalla
Corte territoriale: fermo restando che l’abitualità di cui si discute
dev’essere apprezzata nella sua dimensione di scelta ex ante del libero
professionista, coerentemente con la disciplina ch’è propria delle gestioni dei
lavoratori autonomi, e non invece come conseguenza ex post desumibile
dall’ammontare di reddito prodotto, dal momento che ciò equivarrebbe a tornare
ad ancorare il requisito dell’iscrizione alla Gestione separata alla produzione
di un reddito superiore alla soglia di cui all’art. 44, d.l. n. 269/2003, cit.,
che invece, come detto, rileva ai fini dell’assoggettamento a contribuzione di
attività libero-professionali svolte in forma occasionale, non si tratta che di
un ragionamento presuntivo mediante il quale si utilizzano circostanze note per
risalire ad un fatto ignoto. Ed è appena il caso di soggiungere che, sebbene
l’Istituto ricorrente abbia lamentato che, nel caso di specie, non sarebbero
state adeguatamente valorizzate ulteriori circostanze fattuali acquisite al
processo (l’accensione di partita IVA e il mancato inserimento del reddito da
lavoro autonomo tra i redditi diversi), nulla della loro sussistenza è dato
leggere nella sentenza impugnata, né l’Istituto ha specificamente illustrato in
quale luogo e in quale grado del processo di merito esse sarebbero state
veicolate nel giudizio e discusse tra le parti, con la conseguenza che, per
questa parte, la censura deve reputarsi radicalmente inammissibile.

Il ricorso, pertanto, va rigettato.

Segue coerente la condanna alle spese, liquidate
come in dispositivo, da distrarsi in favore dell’avvocato B.B.E.

Sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al
pagamento delle spese, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 500,00 per
compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15
per cento, da distrarsi in favore dell’avvocato B.B.E.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n.
115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1 -bis dello stesso art. 13.

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