Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 giugno 2021, n. 15755
Tributi, IRPEF, Ritenute, Cessazione del rapporto di lavoro
dipendente, Prestazioni erogate dai fondi di previdenza integrativa aziendale
– Regime fiscale, Tassazione agevolata sui redditi di capitale,
Determinazione del rendimento netto
Rilevato che
1. Con ordinanza n. 29201 del 28/12/2011, questa
Corte – pronunciando in controversia avente ad oggetto l’impugnativa di C.V.
avverso il silenzio rifiuto opposto dall’amministrazione ad una istanza di
rimborso delle ritenute operate dal fondo previdenziale denominato F. (in
precedenza P.I.A.) sulle somme corrisposte al momento della cessazione del
rapporto di lavoro come dirigente E. in luogo del trattamento di pensione
integrativa – cassava con rinvio, in parziale accoglimento del ricorso
dell’Amministrazione finanziaria, la sentenza della Commissione tributaria
regionale della Lombardia n. 114/36/07 sulla scorta dei principi di diritto
enunciati dalle Sezioni Unite nella sentenza 22/06/2011, n. 13642, e demandava
al giudice della riassumenda lite di individuare il «rendimento netto
imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale
accantonato».
2. Decidendo in sede di rinvio, la C.T.R. della
Lombardia, con la sentenza n. 152/42/2013 del 30 ottobre 2013, riconosceva il
diritto del contribuente al rimborso dell’imposta nella misura di euro
124.832,61 (e, per l’effetto, condannava l’Ufficio al pagamento di detta
somma), quantificata in base alla certificazione rilasciata dall’E. attestante
l’importo attribuito all’istante a titolo di c.d. rendimento del capitale fino
alla scadenza del 31.12.2000.
Per quanto d’interesse, il giudice territoriale
precisava che «come tale rendimento sia stato ottenuto, e cioè quali siano state
le modalità di gestione del Fondo di previdenza F.-P.I.A., è questione che non
può qui rilevare, trattandosi nella specie, pur sempre, di reddito da capitale,
a nulla rilevando come questo sia stato investito dal Fondo (se cioè nel
mercato finanziario o in altro modo)».
3. Ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate,
affidandosi ad un motivo, cui resiste, con controricorso, C.V.
Considerato che
4. Con l’unico motivo, lamentando violazione e falsa
applicazione dell’art. 63 del
d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e degli artt.
384 e 392 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., si
assume che il giudice del rinvio abbia disatteso i (vincolanti) principi di
diritto enunciati nella statuizione cassatoria della Suprema Corte: in
particolare, onde determinare il rendimento da assoggettare alla tassazione
agevolata del 12,50%, abbia omesso di accertare l’effettivo investimento sul
mercato dei capitali rivenienti dalla contribuzione (espressamente reputando
irrilevante l’indagine).
5. La doglianza è fondata.
La disamina della questione postula, di necessità,
una sintetica illustrazione del quadro giurisprudenziale di riferimento in tema
di regime fiscale delle prestazioni erogate dai fondi di previdenza integrativa
aziendale all’atto della cessazione del rapporto di lavoro.
Centrale, nell’elaborazione del giudice di
nomofilachia, sono ancor oggi le sentenze «gemelle» delle Sezioni Unite (oltre
alla già citata Cass., Sez. U., n. 13642 del 2011,
le contestuali ed identiche sentenze distinte dai numeri da 13643 a 13653), le
quali, statuendo proprio in ordine al fondo P.I.A. costituito dall’E.,
enunciarono, a risoluzione di contrasto insorto tra le sezioni semplici della
Corte, il seguente principio di diritto: «In tema di fondi previdenziali
integrativi, le prestazioni erogate in forma capitale ad un soggetto che
risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un Fondo di
previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa
previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a)
per gli importi maturati fino a 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata
al regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, primo comma, lett. a), e 17
del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (T.U.I.R.), solo per quanto riguarda la
“sorte capitale” corrispondente all’attribuzione patrimoniale
conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme
provenienti dalla liquidazione del “rendimento netto” si applica la
ritenuta del 12,50%, prevista dall’art. 6 della legge 26 settembre
1985, n. 482; b) per gli importi maturati a decorrere dai 1 gennaio 2001 si
applica interamente il regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, primo comma, lett. a), e 17
del T.U.I.R.».
La successiva elaborazione pretoria si è concentrata
(anche per dissipare divergenti letture euristiche) nella definizione del
concetto di «rendimento netto», individuato negli importi rivenienti
dall’effettivo investimento sul mercato, da parte del fondo, del capitale
accantonato (ex aliis, Cass. 29/12/2011, n. 29583; Cass. 12/01/2012, n. 280; Cass. 04/04/2012, n. 5376; Cass. 25/05/2012, n.
8320; Cass. 27/03/2013, nn. 7724-7728; Cass. 22/05/2013, nn. 12491-12496; Cass.
02/10/2013, n. 22492; Cass. 09/10/2013, n. 22950; Cass. 12/02/2014, n. 3132;
Cass. 12/02/2014, n. 3136; Cass. 19/03/2014, n. 6380; Cass. 09/04/2014, n.
8310; Cass. 04/02/2015, n. 1977; Cass. 22/05/2015, n. 10604; Cass. 13/01/2017,
n. 720).
Con la precisazione che l’assoggettamento di detto
«rendimento» al più favorevole trattamento impositivo previsto dall’art. 6 della legge n. 482 del 1985
non discende da una diretta riconduzione a detta norma della fattispecie, ma è
giustificato dalla equiparazione tra i capitali corrisposti in dipendenza di
contratti di assicurazione sulla vita e (quelli corrisposti in dipendenza di
contratti) di capitalizzazione sancita dagli artt. 41 (ora 44), primo comma, lett. g-quater),
e 42 (ora 45), quarto comma, del T.U.I.R.(Cass.
26/04/2017, n. 10285; Cass. 18/10/2017, n.
24525; Cass. 02/03/2018, n. 4941; Cass.
07/03/2018, n. 5436)