Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 giugno 2021, n. 15946

Rapporto di lavoro, Contributi sulle maggiori somme
riconosciute per lo svolgimento di mansioni superiori, Mancato versamento,
Risarcimento del danno pensionistico

 

Rilevato che

 

– con sentenza in data 30 ottobre 2015, la Corte
d’Appello di Roma ha respinto l’appello proposto da E.Z. avverso la decisione
del locale Tribunale che aveva disatteso la sua domanda volta ad ottenere il
risarcimento del danno pensionistico causato dal mancato versamento da parte
della società C. dei contributi sulle maggiori somme riconosciutegli con
sentenza del 21 marzo 2008 per lo svolgimento di mansioni superiori
dall’8/3/1990, al 31/3/1994, liquidate in euro 26.291,37 con successiva
pronunzia;

– in particolare, confermando l’iter argomentativo
di primo grado, la Corte d’appello ha ritenuto fondata l’eccezione di
prescrizione avanzata dalla difesa di parte appellata, per essere stata
avanzata la richiesta di risarcimento del danno soltanto in data 7 ottobre
2009, con la notifica del tentativo obbligatorio di conciliazione, pur potendo
l’azione essere esercitata già a decorrere dal 1995, all’epoca del
pensionamento;

– avverso tale pronunzia propone ricorso, assistito
da memoria, E.Z., affidandolo a due motivi;

– resiste, con controricorso, la C. S.p.A..

 

Considerato che

 

– va preliminarmente disattesa l’eccezione di
inammissibilità del ricorso per cassazione per difetto di procura speciale non
essendo indicato, a margine del ricorso introduttivo, il provvedimento nei
confronti del quale il ricorrente avrebbe conferito la procura speciale, atteso
che, per costante giurisprudenza di legittimità, (cfr., fra le altre, Cass. n.
31031 del 2019), deve ritenersi validamente rilasciata la procura apposta al
margine del ricorso per cassazione, ancorché il mandato difensivo sia privo di
data e conferito con espressioni generiche, poiché l’incorporazione dei due
atti in un medesimo contesto documentale implica necessariamente il puntuale
riferimento dell’uno all’altro, come richiesto dall’art.
365 del cod. proc. civ., ai fini del soddisfacimento del requisito della
specialità;

– con il primo motivo di ricorso si deduce la omessa
ed insufficiente motivazione circa un punto controverso e decisivo per il
giudizio ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 5 cod.
proc. civ.;

– con il secondo motivo si deduce la violazione
degli artt. 2935, 2943
e 2116 cod. civ. nonché l’omesso esame di un
punto decisivo per la controversia;

– il primo motivo deve reputarsi inammissibile;

– giova evidenziare, con riguardo alla doglianza
confluente nel comma 5 dell’art. 360 n.5, che,
in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma
1, n. 5 del cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 co 1, lett. b), del DL 22
giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134 che ha limitato la
impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di
motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per
il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, ne consegue
che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità
rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito
motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto
dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato
“in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi
in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza
della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale;
motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione
perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano
la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di
validità (fra le altre, Cass. n. 23940 del 2017);

– va, d’altra parte, rilevato che, in base all’art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., non sono
impugnabili per omesso esame di fatti storici le sentenze di secondo grado in
ipotesi di c.d. doppia conforme, ogni qualvolta, come nel caso di specie, nei
due gradi di merito le “questioni di fatto” siano state decise in
base alle “stesse ragioni”(cfr., ex plurimis, Cass. n. 29222 del 12
novembre 2019);

– per quanto concerne il secondo motivo, deve
osservarsi come, nonostante lo stesso sia stato inammissibilmente formulato in
modo promiscuo, denunciando violazioni di legge e vizi di motivazione senza che
nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione risulti
possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio,
determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere
impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure (v., in
particolare, sul punto, Cass. n. 18715 del 2016;
Cass. n. 17931 del 2013; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 20355 del 2008; Cass.
n. 9470 del 2008) esso, nella sostanza, contesta l’accertamento operato dalla
Corte territoriale in ordine al ritenuto perfezionamento della prescrizione;

– orbene, ritiene il Collegio che correttamente i
due giudici di merito abbiano posto in risalto la giurisprudenza di questa
Corte secondo cui, nel caso di omissione contributiva, sussiste l’interesse del
lavoratore ad agire per il risarcimento del danno ancor prima del verificarsi
degli eventi condizionanti l’erogazione delle prestazioni previdenziali,
avvalendosi della domanda di condanna generica, ammissibile anche nel rito del
lavoro, per accertare la potenzialità dell’omissione contributiva a provocare
danno, salva poi la facoltà di esperire, al momento del prodursi dell’evento dannoso
(coincidente, in caso di omesso versamento dei contributi previdenziali, con il
raggiungimento dell’età pensionabile), l’azione risarcitoria ex art. 2116, secondo comma, cod. civ., oppure quella
diversa, in forma specifica, ex art.
13 della legge 12 agosto 1962 n. 1338 (fra le più recenti, n. 2630 del
05/02/2014; negli stessi termini, Cass. n. 22751/2004 richiamata da parte
ricorrente);

– orbene, se la possibilità di agire a garanzia
dell’ingresso del futuro credito nel patrimonio del creditore collima con una
fase prodromica rispetto a quella della materiale erogazione della somma in
coincidenza con il verificarsi dell’evento condizionante, nondimeno, il
presupposto dell’azione risarcitoria attribuita al lavoratore dall’art. 2116 c.c. è costituito dall’intervenuta
prescrizione del credito contributivo;

– invero, soltanto una volta che si siano realizzati
i requisiti per l’accesso alla prestazione previdenziale, tale situazione
determina l’attualizzarsi per il lavoratore del danno patrimoniale risarcibile,
consistente nella perdita totale del trattamento pensionistico ovvero nella
percezione di un trattamento inferiore a quello altrimenti spettante (cfr., in
questi termini, Cass. n. 27760 del 30/10/2018);

– non v’è dubbio, infatti, che siano previste
diverse forme di tutela per il lavoratore a fronte dell’omissione contributiva
essendogli consentito chiedere la condanna del datore di lavoro al pagamento
dei contributi in favore dell’INPS ovvero una pronunzia di mero accertamento
dell’omissione contributiva;

– purtuttavia, solo con la maturazione della
prescrizione dei contributi omessi il lavoratore ottiene una ragione di danno
risarcibile: invero, il secondo comma dell’art.
2116 cod. civ. riconosce al lavoratore un’azione risarcitoria del danno
subito consistente nella perdita del trattamento pensionistico ovvero nella
percezione di un trattamento inferiore a quello altrimenti dovuto;

– secondo la nostra Corte, potendo l’azione
risarcitoria stricto sensu essere esercitata soltanto nel momento in cui la
definitiva perdita della prestazione previdenziale si determina, prima di quel
momento il lavoratore soffre esclusivamente un danno potenziale in quanto
titolare di una posizione assicurativa carente (in caso di parziale omissione
contributiva) ovvero del tutto mancante (in caso di totale omissione);

– la circostanza che al lavoratore sia consentito, a
scongiurare il potenziale danno, di richiedere misure cautelati conservative
della garanzia patrimoniale del datore di lavoro nonché, come anzidetto, di
domandare una pronunzia di condanna generica al risarcimento del danno non
esclude che l’attualità di quest’ultimo si verifichi solo al perfezionarsi
della età pensionabile (cfr. Cass. n. 27660/2018
cit);

– nel caso di specie, diventato attuale il diritto
alla integrità contributiva con il pensionamento nell’anno 1995, da quel momento
iniziava a decorrere il termine prescrizionale ai sensi dell’art. 2935 cod. civ., con la conseguenza che,
avendo il ricorrente notificato il tentativo obbligatorio di conciliazione
soltanto in data 7.10.2009, la prescrizione doveva reputarsi ampiamente
maturata;

– parte ricorrente asserisce, richiamando la
giurisprudenza di legittimità secondo cui la proposizione della domanda
giudiziale ha efficacia interruttiva della prescrizione con riguardo a tutti i
diritti che si connettono con stretto nesso di causalità al rapporto cui la
stessa inerisce (fra le altre, Cass. n. 15699 del
15/07/2011) che la prescrizione sarebbe stata interrotta dalla richiesta di
differenze retributive avanzata con il ricorso presentato nel 2004;

– orbene, ad avviso del Collegio, tale asserzione
avrebbe potuto essere presa in esame soltanto qualora parte ricorrente avesse
allegato al ricorso la propria domanda introduttiva del giudizio di primo grado
che, invece, non è possibile conoscere se non ripercorrendo il giudizio di
merito con una operazione inammissibile in sede di legittimità;

– è, infatti, consolidato il principio secondo cui i
requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366, comma 1, c. p. c., nn. 3, 4 e 6, devono
essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da
altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il
ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata
indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato,
producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si
dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e
in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o
riassumendone il contenuto nel ricorso (ex plurimis, Cass. n. 29093 del
13/11/2018);

– nel caso di specie, non solo parte ricorrente ha
del tutto omesso di produrre in atti o almeno individuare nella propria
collocazione il ricorso ma, addirittura, in assenza di qualsivoglia riferimento
a tale aspetto nella sentenza d’appello, è impossibile a questo Collegio
stabilire se la decisione richiamata – anch’essa non riportata né allegata al
ricorso – abbia riconosciuto ii diritto al diverso e superiore inquadramento
richiesto, ovvero esclusivamente il diritto a percepire le differenze
retributive dovute per effetto dell’espletamento di mansioni superiori, che, in
ipotesi, avrebbero potuto essere riconosciute anche ai sensi dell’art. 2126 cod. civ.;

– alla luce delle suesposte argomentazioni, il
ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

– le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate
come in dispositivo;

– sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1 -bis dell’articolo 13 comma 1
quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la parte
ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese
di lite, che liquida in complessivi euro 4000,00 per compensi e 200,00 per
esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1 – bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 giugno 2021, n. 15946
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