Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 giugno 2021, n. 16536

Rapporto di lavoro, Trasferimento, Danno esistenziale, alla
vita di relazione, alla professionalità ed alla onorabilità, Nesso causale tra
il trasferimento e l’insorgenza della sindrome depressiva, Prova

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Catanzaro con la sentenza
qui gravata ha definito il giudizio di rinvio instaurato a seguito
dell’ordinanza di questa Corte n. 22054/2016, con la quale è stata cassata la
precedente pronuncia n. 1702/2014 della stessa Corte territoriale, che aveva
dichiarato improcedibile l’appello proposto da M.R.M. avverso la sentenza del
Tribunale di Castrovillari che, ritenuto illegittimo il trasferimento dalla
sede di lavoro di Castrovillari a quella di Saracena disposto per
incompatibilità ambientale dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e
della Ricerca, aveva accolto solo in parte la domanda risarcitoria;

2. la Corte territoriale, riassunti i termini della
controversia, ha rigettato i motivi di appello, rilevando che correttamente il
Tribunale aveva liquidato il danno patrimoniale nei limiti di quanto
documentato, respingendo ogni altra domanda;

3. la M., infatti, quanto al danno esistenziale,
alla vita di relazione, alla professionalità ed alla onorabilità, non aveva
formulato richieste di prova e si era limitata ad allegazioni del tutto
generiche, mentre, quanto al danno biologico, lo stesso non poteva essere
risarcito perché non era stato dimostrato il nesso causale fra il disposto
trasferimento e l’insorgenza della sindrome depressiva;

4. al riguardo la Corte territoriale ha rilevato che
il criterio cronologico deponeva per l’insussistenza del nesso, poiché la prima
certificazione della patologia era stata rilasciata nello stesso giorno in cui
venne notificato alla M. il provvedimento;

5. ha aggiunto che anche l’ulteriore documentazione
non era sufficiente a dimostrare la derivazione eziologica della malattia dalle
vicende lavorative, perché in nessun certificato si faceva riferimento a
patologia di tipo reattivo rispetto ad accadimento traumatico esterno ed i
sanitari che avevano avuto in cura l’appellante, escussi in qualità di
testimoni, non erano stati in grado di riferire sulle cause della sindrome
insorta;

6. per la cassazione della sentenza M.R.M. ha
proposto ricorso sulla base di un unico motivo, articolato in più punti, al
quale hanno opposto difese con controricorso il Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca, l’Ufficio Scolastico Provinciale di Cosenza,
la Direzione Scolastica Regionale per la Calabria;

7. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata notificata
alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di
consiglio non partecipata;

8. la ricorrente ha depositato memoria.

 

Considerato che

 

1. la ricorrente denuncia «violazione di legge ex art. 2087 c.c. -erronea valutazione delle prove» e
premette che allorquando, come nella fattispecie, il lavoratore agisce per il
risarcimento del danno da infortunio sul lavoro il riparto dell’onere
probatorio è regolato dall’art. 1218 cod. civ.,
per cui grava sul dipendente l’onere di dimostrare l’obbligazione lavorativa,
l’esistenza del danno ed il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione,
mentre il datore è tenuto a provare di avere interamente adempiuto l’obbligo di
sicurezza;

1.1. aggiunge che l’elemento della negligenza e
della colpa grave della Pubblica Amministrazione non poteva essere messo in
dubbio, in ragione dell’illegittimità del trasferimento, sicché andava accolta
la domanda risarcitona in quanto la malattia si era manifestata contestualmente
alla comunicazione del provvedimento ed era stata provata attraverso la
produzione del certificato rilasciato dal dott. D., che evidenziava il
collegamento con le vicende lavorative e che era stato confermato dal sanitario
il quale aveva anche affermato di presumere che in precedenza la paziente non
fosse affetta dalla sindrome ansioso depressiva;

1.2. la M. richiama, poi, ulteriori documenti, a suo
dire idonei a fornire la prova delle alterazioni che il trasferimento aveva
prodotto nella vita familiare e negli assetti relazionali, e asserisce, infine,
che il danno patrimoniale, pari al costo degli abbonamenti per l’utilizzo dei
mezzi di trasporto pubblico, doveva essere liquidato anche per gli anni
scolastici successivi, nei quali, fatta eccezione per i periodi di malattia, la
prestazione era stata resa;

2. le censure sono inammissibili perché, sotto
l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge mirano ad una
rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice del merito e si risolvono
in un’inammissibile critica del ragionamento decisorio seguito dalla Corte territoriale
quanto agli accertamenti di fatto, sollecitandone la revisione, non consentita
in sede di legittimità;

2.1. occorre richiamare l’orientamento consolidato
di questa Corte secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella
deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato,
della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un
problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata
ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è
esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica
valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di
legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, nei limiti fissati dalla
normativa processuale succedutasi nel tempo. Il discrimine tra l’una e l’altra
ipotesi è, dunque, segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche
la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa
(cfr. fra le più recenti Cass. n. 26033/2020; Cass. n. 3340/2019; Cass. n.
640/2019; Cass. n. 24155/2017);

2.2. è stato altresì affermato, ed il principio deve
essere qui ribadito, che nella deduzione del vizio di violazione di legge è
onere del ricorrente indicare non solo le norme che si assumono violate ma
anche, e soprattutto, svolgere specifiche argomentazioni intellegibili ed
esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate
affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in
contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con
l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità,
diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito
istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. n.
17570/2020; Cass. n. 16700/2020);

2.3. la ricorrente, pur deducendo la violazione
dell’art 2087 cod. civ., non contesta che fosse
suo onere provare il danno ed il nesso causale con l’inadempimento dell’obbligo
di sicurezza e nella parte iniziale del motivo, li dove richiama i principi
affermati da questa Corte in tema di ripartizione dell’onere della prova,
svolge considerazioni non riferibili al decisimi perché il giudice d’appello non
ha affermato una regola diversa da quella invocata nel ricorso né ha sostenuto
che non ci fosse la colpa dell’amministrazione, avendo rigettato la domanda di
risarcimento per difetto della prova del danno e della sua derivazione causale
dall’illegittimo trasferimento;

2.4. il motivo, in realtà, censura la valutazione
della prova e ciò fa, inammissibilmente, oltre i limiti fissati dal riformulato
art. 360 n. 5 cod. proc. civ., come
interpretato dalla costante giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte
(Cass. S.U. n. 34476/2019 che rinvia a Cass. S.U. n. 8053/2014, Cass. S.U. n. 9558/2018, Cass. S.U. n.
33679/2018);

3. alle considerazioni sopra esposte, già
assorbenti, si deve aggiungere che il ricorso è formulato senza il necessario
rispetto dell’onere di specificazione di cui all’art.
366 n. 6 cod. proc. civ.;

3.1. è noto che nel giudizio di cassazione, a
critica vincolata ed essenzialmente basato su atti scritti, essendo ormai solo
eventuale la possibilità di illustrazione orale delle difese, i requisiti di
completezza e di specificità imposti dall’art. 366
cod. proc. civ. perseguono la finalità di consentire al giudice di
legittimità di avere la completa cognizione della controversia, senza necessità
di accedere a fonti esterne, e, pertanto, qualora la censura si fondi su atti o
documenti è necessario che di quegli atti il ricorrente riporti il contenuto,
mediante la trascrizione delle parti rilevanti, precisando, inoltre, in quale
sede e con quali modalità gli stessi siano stati acquisiti al processo;

3.2. non è sufficiente che la parte assolva al distinto
onere previsto, a pena di improcedibilità, dall’art.
369 n. 4 cod. proc. civ., perché l’art. 366
cod. proc. civ., come modificato dall’art. 5 del d.lgs. n. 40 del 2006,
riguarda le condizioni di ammissibilità del ricorso mentre la produzione è
finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento, sempre che lo
stesso sia stato specificamente indicato nell’impugnazione (Cass. n. 19048/2016);

3.3. i richiamati principi sono stati ribaditi dalle
Sezioni Unite in recente decisione con la quale si è affermato che «in tema di
ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., le censure
fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si
limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero,
laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro
individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo
inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al
fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la
collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro
acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità» (Cass. S.U. n.
34469/2019);

4. la censura è tutta incentrata sul contenuto di
certificati e documenti rispetto ai quali gli oneri sopra indicati non sono
stati assolti, con la sola eccezione del certificato a firma del dott. D.,
sicché è inammissibile anche sotto tale profilo, tanto più che quest’ultima
certificazione non è quella che la Corte territoriale ha valorizzato per
escludere il necessario nesso causale fra il trasferimento e l’insorgenza della
malattia;

5. alla dichiarazione di inammissibilità consegue la
condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione,
liquidate come da dispositivo;

6. ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n.
228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisa da Cass. S.U. n.
4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge
per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in €
5.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese prenotate
a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,
comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

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