Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 giugno 2021, n. 17051

Licenziamenti per giustificato motivo oggettivo e per giusta
causa, Prestazioni extra-lavorative in concorrenza con il datore di lavoro,
Prova

 

Rilevato che

 

1. Con la sentenza n. 14306 del 2016 la Corte
Suprema di Cassazione confermava la pronuncia emessa dalla Corte di appello di
Napoli n. 7652/2014 di illegittimità dei licenziamenti per giustificato motivo
oggettivo e per giusta causa intimati dalla srl A.M. in liquidazione (già A.
spa) a P.B.R., mentre cassava la parte della decisione con cui era stata
rigettata l’eccezione di aliunde perceptum formulata dalla società.

2. Riassunto il giudizio, la Corte territoriale
rilevava che non è del tutto probante la documentazione richiamata dalla
società a dimostrazione della sussistenza di un rapporto di lavoro del P. alle
dipendenze della sas T., con medesimo inquadramento contrattuale di quadro e
corrispondente trattamento economico; che dalla richiesta ex art. 210 cpc, inoltrata a quest’ultima società era
emersa solo una prestazione di lavoro autonomo con il P., a partire dal 2001 e
quando, in sostanza, questi era già dipendente dell’A.M. srl; che non erano
risultate incompatibili le due diverse prestazioni per cui l’eccezione
formulata in relazione all’aliunde perceptum, con riguardo all’attività
lavorativa espletata dopo il licenziamento presso la T. dal luglio 2010, era
infondata. La Corte di appello, in sede di rinvio, provvedeva, quindi, a
riconoscere al P., a seguito della illegittimità dei licenziamenti, H
risarcimento del danno pari ad una indennità commisurata alla retribuzione
globale di fatto percepita mensilmente all’epoca del primo licenziamento – pari
ad euro 4.376,29 – calcolata dal giorno del recesso sino all’effettiva
reintegra, oltre alla regolarizzazione contributiva previdenziale ed
assistenziale.

3. Avverso la decisione della Corte partenopea
proponeva ricorso per cassazione la srl A.M. in liquidazione -già A. spa-
affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso l’ing. B.R. P.

La F. spa non ha svolto attività difensiva.

4. La proposta del relatore è stata comunicata alle
parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 380 bis cpc.

5. B.R. P. ha depositato memoria.

 

Considerato che

 

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la
violazione, ex artt. 414 n. 4, 437 co. 2 e 210 cpc,
nonché dell’art. 394 u.c. cpc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 e n. 4 cpc, per avere il
giudice di rinvio erroneamente messo in discussione gli enunciati della
sentenza di cassazione: in particolare, per avere rigettato l’eccezione di
aliunde perceptum su una circostanza nuova, costituita dal fatto che l’attività
lavorativa svolta dal P. dopo il licenziamento e negli anni dal 2010 al 2014
fosse già iniziata nell’anno 2001 e, pertanto, era compatibile con lo
svolgimento del lavoro reso ad essa società, così dando ingresso a documenti e
informazioni non acquisibili per la decisione in quanto non ritualmente
introdotti in giudizio.

3. Con il secondo motivo, in via gradata, si censura
la violazione degli artt. 115 e 116 cpc, 2727, 2729 e 2697 cc, 2105 cc nonché il difetto di motivazione, ai sensi
dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la
Corte di merito ritenuto provata la compatibilità, con il rapporto di lavoro
del P., dell’attività resa per la T., addossando erroneamente alla società il
relativo onere allegativo e probatorio, e per avere desunto tale circostanza in
violazione delle norme e dei principi sul ragionamento presuntivo legittimando,
così, prestazioni extra-lavorative in concorrenza con il datore di lavoro.

4. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la
violazione degli artt. 115 e 394 cpc, 1223 cc
nonché dei principi di diritto vivente in tema di eccezione di aliunde
perceptum nonché anche in tema di limiti imposti al giudice di rinvio, ai sensi
dell’art. 360 co. 1 n. 3 e n. 4 cpc, per avere
erroneamente la Corte territoriale rigettato l’eccezione di aliunde perceptum,
ritenendo a tal fine rilevante la prova sulla natura subordinata delle
prestazioni rese dal P. alla T.

5. Il primo e terzo motivo, da trattarsi
congiuntamente perché interferenti, sono infondati.

6. Sotto il profilo processuale la Corte
territoriale si è attenuta al principio di legittimità, cui si intende dare
seguito (Cass. n. 13719/2006; Cass. n.
5137/2019) secondo il quale la riassunzione della causa – a seguito di
cassazione con rinvio della sentenza – dinanzi al giudice di rinvio instaura un
processo chiuso, nel quale è preclusa alle parti, tra l’altro, ogni possibilità
di proporre nuove domande, eccezioni, nonché conclusioni diverse, salvo che
queste, intese nell’ampio senso di qualsiasi attività assertiva o probatoria,
siano rese necessarie da statuizioni della sentenza di cassazione ed il giudice
di rinvio ha gli stessi poteri del giudice di merito che ha pronunciato la
sentenza annullata.

7. È inibita, quindi, alle parti la nuova attività
istruttoria o assertiva che non dipenda strettamente dalle statuizioni della
Suprema Corte (Cass. n. 13006/2003).

8. Nella fattispecie, la Corte territoriale ha
attivato i suoi poteri ex art. 210 cpc proprio
per verificare quanto posto dalla S. a fondamento della cassazione della
sentenza e, cioè, lo svolgimento di attività lavorativa del dipendente presso
la società T. dal luglio 2010 e dunque la detrabilità dell’aliunde perceptum.

9. Non si è trattato, dunque, di espletamento di
nuove indagini ma di approfondimento, mediante i propri poteri officiosi, di
temi di cui si era incentrata la pronuncia di cassazione della prima sentenza
di appello.

10. Sotto l’aspetto sostanziale, la impugnata
decisione è, altresì, corretta perché, in tema di licenziamento individuale, il
compenso per lavoro subordinato o autonomo – che il lavoratore percepisca
durante il periodo intercorrente tra il proprio licenziamento e la sentenza di
annullamento relativa (cd. periodo intermedio) – non comporta la riduzione
corrispondente (sia pure limitatamente alla parte che eccede le cinque
mensilità di retribuzione globale) del risarcimento del danno da licenziamento
illegittimo, se – e nei limiti in cui – quel lavoro risulti, comunque, compatibile
con la prosecuzione contestuale della prestazione lavorativa sospesa a seguito
di licenziamento (come nel caso ricorrente nella specie in cui il lavoro
medesimo sia svolto, prima del licenziamento, congiuntamente alla prestazione
che risulti sospesa (Cass. n. 6453/2005; Cass.
18837/2010).

11. Anche il secondo motivo è infondato.

12. Non vi è stata alcuna violazione dell’onere
della prova atteso che la circostanza che il lavoratore estromesso abbia, nelle
more del giudizio, lavorato e percepito comunque un reddito (cd. aliunde
perceptum) rappresenta un fatto impeditivo della pretesa attorea e deve essere
provato da colui che lo eccepisce, non da chi invoca il risarcimento, in
applicazione del generale precetto di cui all’art.
2697 cc (Cass. n. 1636/2020).

13. Analogamente, non è ravvisabile alcun vizio del
ragionamento presuntivo posto a base della decisione in quanto, nella prova per
presunzioni, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 cc, non occorre che tra il fatto noto e
quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale,
essendo sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto,
alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’id quod plerumque
accidit, sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento
dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché
dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza (Cass. n.
1163/2020).

14. Nel caso in esame la Corte territoriale, con
adeguata e logica motivazione, ha sottolineato che la prestazione autonoma del
P. con la società T. risaliva già all’anno 2001 ed era stata svolta in concomitanza
con il rapporto di lavoro subordinato con la A.M. spa, per cui essendo
compatibili le attività espletate, il compenso della prima non rilevava ai fini
dell’eventuale aliunde perceptum rilevante, in ordine agli aspetti risarcitori,
per l’illegittimo licenziamento del rapporto di lavoro di natura subordinata.

15. Quanto, infine, ai profili concorrenziali tra le
due attività, va rilevata la novità della questione, non trattata dalla
sentenza impugnata né in quella di cessazione.

16. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve
essere rigettato.

17. L’infondatezza del ricorso rende superfluo
l’esame della eccezione di inammissibilità dello stesso, per la diversa
tipologia sociale rilevata tra la A.M., in sede di giudizio di rinvio,
individuata dalla Corte di merito come “spa” e la odierna ricorrente,
qualificatasi come “srl A.M. in liquidazione”: diversità che
determinerebbe, secondo la prospettazione del P., la proposizione da parte di
un soggetto diverso da quello dei precedenti gradi e, quindi, l’inammissibilità
della impugnazione.

18. In ogni caso, in ordine alla suddetta eccezione,
osserva il Collegio che la difformità è presumibilmente frutto di un errore
materiale ovvero di una trasformazione intervenuta nelle more, atteso che la
odierna ricorrente ha indicato lo stesso numero di codice fiscale (CF.
07793670634) di quello trascritto nella prima sentenza di questa Corte n.
14306/2016 e ciò induce a ritenere che si tratti dello stesso soggetto
giuridico.

19. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano
come da dispositivo; nulla va disposto per la F. spa che non ha svolto attività
difensiva.

20. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti
processuali, sempre come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio
di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro
200,00 ed agli accessori di legge; nulla per la F. spa. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari ai quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1 bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

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