Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 luglio 2021, n. 18826

Trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno in part
time di tipo verticale ciclico, Riconoscimento Inps delle sole le settimane
lavorate, lntera anzianità pari alle 52 settimane contributive annue,
Trattamento immotivatamente differenziato rispetto ai lavoratori che effettuano
il part time orizzontale

 

Rilevato che

 

Il Tribunale di Roma accolse la domanda proposta da
C.M., dipendente della compagnia aerea A. s.p.a. con mansioni di assistente di
volo che aveva trasformato dal 1.1.1994 al 31.12.2008 il proprio rapporto di
lavoro da tempo pieno in part time di tipo verticale ciclico L. n. 863 del 1984, ex art. 5, secondo le modalità
indicate in ricorso che aveva lamentato di essersi reso conto che nel periodo
di lavoro in regime di part time, l’Inps gli aveva riconosciuto solamente le
settimane lavorate e non l’intera anzianità pari alle 52 settimane contributive
annue, subendo così un trattamento immotivatamente differenziato per i
lavoratori che effettuano un part tiime verticale ciclico rispetto a quelli che
effettuano il part time orizzontale, riconoscendo a questi ultimi l’intera
anzianità contributiva ed ai primi la sola anzianità relativa ai periodi
lavorati, realizzando così una evidente discriminazione tra lavoratori;

su impugnazione dell’INPS, la Corte d’appello di
Roma, con sentenza n. 2742 del 2015 rigettò il gravarne confermando il riconoscimento
del diritto di C.M. al calcolo dell’intera anzianità contributiva su base
annuale anche per i periodi di lavoro svolti in regime di part time verticale;

per la cassazione di tale sentenza propone ricorso
l’INPS, affidato ad unico motivo; resiste C.M. con controricorso;

 

Considerato che

 

l’Istituto ricorrente denuncia la violazione e falsa
applicazione del D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61;
del D.L. n. 726 del 1984, art.
5, comma 11 e del D.L. n.
463 del 1983, art. 7, comma 1, convertito con modificazioni in L. 11 novembre 1983, n. 638, oltre ad omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo della controversia (art. 360 c.p.c.,
comma 1, nn. 3 e 5);

lamenta che le modalità di computo dell’anzianità
contributiva ai fini del riconoscimento del diritto a pensione, con riguardo ai
periodi di lavoro a tempo parziale verticale ciclico, non possono che essere
considerati se non con riguardo ai periodi in cui vi è stato effettivo
svolgimento dell’attività lavorativa, con corresponsione della retribuzione e
del versamento della contribuzione previdenziale, senza possibilità di
distribuire su tutto l’anno (anche per i periodi non lavorati) i contributi
versati per i periodi lavorati, ciò in base alla L. n. 638 del 1983, art. 7;

Il motivo è infondato in conformità con i precedenti
di questa Corte di cassazione (in particolare, Cass.
n. 21207 del 2016) ancorché la decisione impugnata si sia fondata
esclusivamente sull’applicazione del D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 9,
che risulta invece parzialmente inapplicabile in specie avuto riguardo alla
data di trasformazione del precedente rapporto di lavoro a tempo pieno in
rapporto part-time (1994);

va premesso, al riguardo, che questa Corte ha già
avuto modo di chiarire che, in tema di anzianità contributiva utile per il
conseguimento di prestazioni previdenziali da parte di lavoratori part-time, il
tenore letterale del D.L. n.
338 del 1989, art. 1, comma 4, (conv. con L. n.
389 del 1989), e la sua riproposizione in termini immutati nel D. Lgs. n. 61 del 2000, art. 9, escludono,
con la puntuale indicazione che l’ambito disciplinato attiene alla
“retribuzione minima oraria da assumere quale base di calcolo per i
contributi previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale”, la
possibile estensione, in via interpretativa, del meccanismo adeguativo ivi
previsto all’ipotesi, del tutto diversa e disciplinata dal D.L. n. 463 del 1983, art. 7,
(conv. con L. n. 638 del 1983), del sistema di
calcolo dell’anzianità contributiva utile per il conseguimento del diritto alla
prestazione previdenziale nel settore del lavoro a tempo parziale, la cui
legittimità costituzionale è stata valutata positivamente da Corte cost. n. 36 del 2012 sul rilievo che non è
configurabile un criterio di calcolo costituzionalmente obbligato dei
contributi previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale (v. in
termini Cass. n. 9039 del 2012);

ha però precisato questa Corte, sempre con
riferimento ai lavoratori part-time, che la questione del minimale contributivo
(e in generale quella del numero dei contributi settimanali da accreditare ai
dipendenti) è questione distinta dall’anzianità previdenziale tout court e
dunque dalla relativa durata, anche ai fini previdenziali, dell’attività
lavorativa, che peraltro il nostro ordinamento svincola in più occasioni
dall’effettiva prestazione lavorativa ed anche dalla misura dei contributi
versati (Cass. nn. 23948 del 2015 e 8565 del 2016):
a venire in rilievo, infatti, non è già la questione relativa al numero dei
contributi da accreditare al lavoratore in regime di part-time, ma la
possibilità che essi, quale che ne sia l’ammontare determinato dal D.L. n. 463 del 1983, ex art. 7,
siano riproporzionati sull’intero anno cui si riferiscono, ancorché siano stati
versati in relazione a prestazioni lavorative eseguite in una frazione di esso;

tale ultima questione, già decisa da Cass. nn. 23948
del 2015 e 8565 del 2016 sulla scorta di CGUE, 10.6.2010, C-395-396/08, Bruno et al.,
appare in realtà risolvibile – e va risolta – sulla scorta dei principi
immanenti nel nostro ordinamento in tema di rapporto di lavoro a tempo
parziale. Il canone secondo cui, per i lavoratori a tempo parziale di tipo
verticale ciclico, non si possono escludere i periodi non lavorati dal calcolo
dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione,
costituisce infatti una logica conseguenza del principio per cui, nel contratto
a tempo parziale verticale, il rapporto di lavoro perdura anche nei periodi di
sosta (cfr. in termini Corte cost. n. 121 del 2006):
prova ne sia che ai lavoratori impiegati secondo tale regime orario non
spettano per i periodi di inattività né l’indennità di disoccupazione (Cass. S.U. n. 1732 del 2003), né l’indennità di
malattia (Cass. n. 12087 del 2003), essendo
quest’ultima correlata ad una perdita di retribuzione che, nel periodo di
inattività, non è dovuta per definizione;

In altri termini, se è vero che il rapporto di
lavoro a tempo parziale verticale assicura al lavoratore una stabilità ed una
sicurezza retributiva che impediscono di considerare costituzionalmente
obbligata una tutela previdenziale integrativa della retribuzione nei periodi di
pausa della prestazione (cosi ancora Corte cost. n.
121 del 2006, cit.), non è meno vero che ciò è logicamente possibile a
condizione di interpretare il D.L.
n. 726 del 1984, art. 5, comma 11, cit. (secondo il quale, com’è noto, ai
fini della determinazione del trattamento di pensione l’anzianità contributiva
“inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale” va calcolata
“proporzionalmente all’orario effettivamente svolto”), nel senso di
ritenere che l’ammontare dei contributi determinato D.L. n. 463 del 1983, ex art. 7,
cit., debba essere riproporzionato sull’intero anno cui i contributi si
riferiscono: diversamente, il lavoratore impiegato in regime di part-time
verticale si troverebbe a fruire di un trattamento deteriore rispetto al suo
omologo a tempo pieno, dal momento che i periodi di interruzione della
prestazione lavorativa, che pure non gli danno diritto ad alcuna prestazione
previdenziale, non gli gioverebbero nemmeno ai fini dell’anzianità
contributiva;

non v’è dubbio che codesta possibile disparità di
trattamento genererebbe sospetti di illegittimità costituzionale ex art. 3 Cost., comma 1, dal momento che, pur
potendo concedersi che l’esclusione delle indennità di carattere previdenziale
potesse in passato parzialmente giustificarsi in ragione della volontarietà
della scelta del tempo parziale e della consequenziale impossibilità di
considerare i periodi di pausa come disoccupazione involontaria (così Cass. S.U. n. 1732 del 2003, cit, sulla scorta del
D.L. n. 726 del 1984, art. 5,
comma 1: ma appunto parzialmente, visto che la medesima volontarietà della
scelta del tempo parziale non aveva impedito a Corte cost. n. 160 del 1974 di
dichiarare l’illegittimità costituzionale del R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 76,
che negava l’indennità di disoccupazione ai lavoratori stagionali), l’assenza
di tutela previdenziale trova in realtà ben più solido fondamento oggettivo
nella natura continuativa del rapporto instaurato inter partes, ciò che adesso
risulta confermato dalla sopravvenuta abrogazione della possibilità (già
prevista dal D.L. n. 726 del
1984, art. 5 cit.) che il lavoratore a tempo parziale si iscriva nelle
liste di collocamento durante i periodi di pausa della prestazione (cfr. D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 11,
lett. a);

in questo quadro, reputa il Collegio che il richiamo
alla giurisprudenza comunitaria da parte di Cass. nn. 23948 del 2015 e 8565 del 2016 debba intendersi non già nel senso
di considerare la materia de qua direttamente assoggettata alla disciplina di
cui alla direttiva n. 97/81/CE (chè anzi la
Corte di Giustizia non manca di chiarire che quest’ultima concerne
esclusivamente “le pensioni che dipendono da un rapporto di lavoro tra
lavoratore e datore di lavoro, ad esclusione delle pensioni legali di
previdenza sociale”: cfr. CGUE, 10.6.2010,
Bruno et al., p. 42), bensì nel senso di ricavare (anche) dalla disciplina
comunitaria una conferma di quel principio di parità di trattamento tra
lavoratori a tempo pieno e a tempo parziale che, come s’è visto supra,
risultava già immanente nell’ordinamento interno ai fini previdenziali;

corretta in tal senso la motivazione della sentenza
impugnata, il ricorso va rigettato e le spese seguono la soccombenza nella
misura liquidata in dispositivo;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella misura di
Euro 3000,00 per compensi, oltre ad euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie
nella misura del 15% e spese accessorie di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,
comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso
art. 13, comma 1 bis, ove
dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 luglio 2021, n. 18826
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: