Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 luglio 2021, n. 20836

Rapporto di lavoro subordinato, Fallimento della società,
Risoluzione del rapporto con effetto immediato, Domande di insinuazione al
passivo, Decorso del termine

 

Fatti di causa

 

Rilevato che

1. B.V. impugna il decreto Trib. Roma 14.12.2018, n.
4280/2018, in R.G. n. 69030/2017 che ne ha rigettato l’opposizione allo stato
passivo, già proposta avverso il decreto del giudice delegato del FALLIMENTO
OIS IN LIQUIDAZIONE 20.09.2017, con cui era stata dichiarata inammissibile la
domanda tardiva di insinuazione del credito privilegiato di complessivi euro
48.276,86 o della minor somma di euro 27.354,97 derivante dal rapporto di
lavoro subordinato intercorso con la società fallita sino all’11.12.2014, data,
quest’ultima, in cui il curatore aveva inviato la lettera di risoluzione del
rapporto con effetto immediato;

2. il tribunale ha premesso che: a) il ricorrente,
già alle dipendenze della società fallita, aveva presentato due domande di insinuazione
al passivo, una in data 23.10.2013 (n.583) ed una successiva in data 29.11.2016
(n.859); b) oggetto dell’opposizione era la seconda domanda, per quale
l’inammissibilità conseguiva dalla mancata prova giustificativa del ritardo, ai
sensi dell’art.101 u.co. I.f., della sua proposizione;

3. il tribunale ha così ritenuto che: a) la domanda
di insinuazione era tardiva e non giustificata, poiché presentata in data
29.11.2016, oltre il decorso del termine annuale già dal decreto di esecutività
dello stato passivo, reso in data 3.10.2014; b) il curatore aveva inviato
l’avviso previsto dall’art.92 I.f., tant’è che l’opponente aveva in precedenza
depositato una domanda di insinuazione al passivo in data 22.11.2013, dunque
ben conosceva del fallimento; c) anche poi considerando l’insorgenza del
diritto al T.F.R. dalla cessazione del rapporto, il licenziamento era avvenuto
il 11.12.2014, conseguendone che la presentazione della domanda del presunto,
secondo, credito avvenuta solo in data 29.11.2016, cioè più di due anni dopo,
era comunque addebitabile allo stesso istante;

4. il ricorso è su due motivi: a) (primo motivo)
nullità del decreto impugnato per violazione dell’art. 101 I.f., anche in
combinato disposto con l’art. 72 I.f., in relazione all’art. 360, co. 1 n. 3
c.p.c., avendo errato il tribunale ove non ha considerato che, per i crediti
maturati dopo il fallimento, non opera detto termine di decadenza, posto che
l’opponente è stato licenziato in data 11.12.2014, il TFR è maturato solo con
la cessazione del rapporto di lavoro e dopo l’approvazione dello stato passivo
ed il curatore doveva comunque provvedere al pagamento; b) (secondo motivo)
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso
e decisivo per la controversia di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. anche in
relazione all’art. 96 I.f., avendo trascurato il tribunale l’incertezza del
primo provvedimento ammissivo, il parere del curatore di rigetto della domanda
per sua duplicazione, il fatto che il provvedimento del g.d. si era limitato
alla inammissibilità della domanda, conseguendone il dubbio se il credito per
TFR non fosse stato semplicemente ammesso ovvero da ritenersi ammesso per euro
8.000,00 ovvero per euro 27.354,97 secondo la dichiarazione datoriale invocata
dal curatore.

 

Ragioni della decisione

 

1. i due motivi, trattati unitariamente per l’intima
connessione, sono inammissibili, per plurimi profili; va premesso che entrambi
enunciano circostanze (tra cui, insinuazioni al passivo di terzi, piano di
riparto, impugnative di licenziamento) ovvero questioni (sospensioni feriali
dei termini) senza coordinamento con il principio di specificità; il ricorso
non assolve all’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione
che «imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art.
366, comma 1, n. 4 c.p.c., qualunque sia il tipo di errore (“in
procedendo”o “in iudicando”) per cui è proposto, non può essere
assolto “per relationem “con il generico rinvio ad atti del giudizio
senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di
indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il
ricorso si fonda, nonché le circostanze di fatto che potevano condurre, se
adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso
medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di
legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività
dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della
decisione impugnata» (da ultimo Cass. 342/2021);

2. inoltre, costante giurisprudenza di questa Corte
ritiene che ove una determinata questione giuridica – che implichi un
accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella pronuncia
impugnata, il ricorrente che ciononostante la proponga nella sede di
legittimità ha l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al
giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente
vi abbia provveduto, riportando dove, come e quando l’abbia fatto, così dando
modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale
asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa; ciò in quanto «I
motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum
del giudizio di merito, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la
prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella
fase di merito né rilevabili di ufficio» (Cass. n. 30044 del 2019, in
motivazione; Cass. n. 2038 del 2019; Cass. n. 15430 del 2018; Cass. n. 27568
del 2017); il mancato assolvimento di un simile onere di allegazione impone di
constatare l’inammissibilità della censura proposta in ragione della sua novità
rispetto alle questioni poste avanti al giudice di merito;

3. quanto al tema, per come selezionabile, questa
Corte ha altresì chiarito che anche per i crediti sorti nel corso della
procedura concorsuale operano cause di decadenza di tenore temporale, nella
domanda di insinuazione al passivo, per il principio secondo cui, contemperando
mancate previsioni espresse e però canoni di celerità tipici della
concorsualità, «tale insinuazione, tuttavia, incontra un limite temporale, da
individuarsi – in coerenza e armonia con l’intero sistema di insinuazione che è
attualmente in essere e sulla scorta dei principi costituzionali di parità di
trattamento di cui all’art. 3 Cost. e del diritto di azione in giudizio di cui
all’art. 24 Cost – nel termine di un anno, espressivo dell’attuale sistema in
materia, decorrente dal momento in cui si verificano le condizioni di
partecipazione al passivo fallimentare» (Cass.3872/2020, 18544/2019 ed ora
31190/2021, 2308/2021); nella specie, il credito per TFR del ricorrente non
risulterebbe essere stato contemplato in un piano di riparto, così integrando
la nozione di contestazione, per la quale, già si era detto, resta comunque
fermo l’onere dell’insinuazione «ben potendo l’epoca di maturazione del
credito… assumere rilievo ai fini della non imputabilità del ritardo» (Cass. 17594/2019);

4. opera allora nella vicenda un principio generale,
cui ha correttamente assolto il giudice di merito, con motivazione non qui
sindacabile circa la mancata prova della non imputabilità del ritardo della
domanda, posto che è stato riscontrato il riferimento proprio allo stesso
ricorrente della conoscenza del fallimento, nonché della ricezione dell’atto di
licenziamento, in date e circostanze che, rispetto alla insinuazione tardiva in
esame, integrano la predetta nozione di ritardo non incolpevole; invero, se
nell’ipotesi di domanda tardiva di ammissione al passivo ai sensi dell’ultimo
comma dell’art. 101 I.f. «la valutazione della sussistenza di una causa non
imputabile, la quale giustifichi il ritardo del creditore, implica un
accertamento di fatto, rimesso alla valutazione del giudice di merito, che, se
congruamente e logicamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità”
(Cass. 16103/2018), tale canone ben appare assimilabile alla nozione di
sussistenza delle condizioni per partecipare al concorso con la domanda di
credito, al fine di scrutinare il dies a quo del conseguente rispetto del
citato limite temporale della domanda;

5. né appare rilevante l’invocazione, sul punto, di
una portata dubbia della prima ammissione al passivo, già solo per le
menzionate ragioni d’inammissibilità del relativo motivo, cui si aggiunge la
deduzione di un vizio del decreto, per come sviluppato con la seconda censura,
non rispettoso della nuova formulazione dell’art.360 co.l n.5 c.p.c., che ha
espunto dall’ordinamento la critica sulla contraddittoria o insufficiente
motivazione (Cass. s.u. 8053/2014); neanche può dirsi, infine, decisiva la
asserita non considerazione del primo decreto ammissivo – ma su altri crediti
di lavoro – del giudice delegato, nessun elemento essendone stato riportato
così da poter ravvisarvi una certa ammissione al passivo, sia pur con riserva
tipica, invero non apposta dal giudice delegato, anche quanto al T.F.R.; per
esso, invero, l’ipotizzata maturazione non poteva che correlarsi, da un punto
di vista quantitativo, solo allo scioglimento del rapporto di lavoro e, sul
piano della spettanza in astratto, si era dato atto che, per siffatto credito,
la domanda – fosse o meno stata proposta – era stata “respinta” (pag.
4 ricorso), motivando sulla “venuta ad esistenza al momento della
cessazione del rapporto di lavoro, allo stato non ancora verificatasi”; né
consta che tale reiezione sia stata impugnata, anche solo al fine di conseguire
una più netta ammissione con riserva;

il ricorso è, pertanto, inammissibile; ne consegue
la dichiarazione della sussistenza dei presupposti per il versamento del cd.
raddoppio del contributo unificato.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso; dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente
principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a
quello dovuto per il ricorso principale, a norma del co. 1-bis dello stesso
art. 13.

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