Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 luglio 2021, n. 21771

Infortunio sul lavoro, Illecito extracontrattuale,
Obbligazione risarcitoria, Liquidazione

 

Rilevato che

 

M.M. ha proposto ricorso ai sensi dell’art. 391 bis
cod.proc.civ. avverso la sentenza nr.32694 del 2018 con la quale la Corte ha
dichiarato inammissibile il ricorso ordinario proposto dal medesimo M. e dalla
madre, R.G., nei confronti della società cooperativa, Il C.S. srl, e delle
altre parti indicate in epigrafe;

dinanzi alla Corte di legittimità era stata
impugnata la decisione della Corte di appello di Firenze che, pur avendo
accolto la domanda di risarcimento dei danni patrimoniali e non, derivanti
dall’infortunio sul lavoro occorso al M., aveva riconosciuto e liquidato la rivalutazione
monetaria e gii interessi legali solo a far data dal dispositivo della sentenza
e sino al definitivo soddisfo;

la Corte, con la pronuncia qui impugnata, ha
giudicato l’unico motivo di ricorso «inammissibile per difetto di
autosufficienza»; in particolare, dopo avere osservato che l’obbligazione
risarcitoria derivante da un illecito «anche extracontrattuale» come quello
relativo ad un infortunio sul lavoro, costituendo un debito di valore, deve
essere liquidata tenendo conto non solo dell’esigenza di reintegrare il
patrimonio del creditore danneggiato di una somma che equivalga al danno a suo
tempo subito ma (tenendo conto) anche «della necessità di ristorare il
creditore della mancata disponibilità della stessa (id est: della somma di
denaro) nel tempo intercorso tra il sinistro e la liquidazione, così che oltre
alla rivalutazione, potranno essere liquidati anche gli interessi cd.
compensativi […]» ha, poi, nel concreto, ritenuto impedita detta
determinazione, in difetto di una sufficiente indicazione degli atti
processuali necessari allo scrutinio del vizio denunciato;

al giudizio di revocazione, articolato in due
motivi, hanno resistito, ciascuna con controricorso, A. S.p.A e I.C.T. S.p.A.,
restando, invece, intimate le altre parti indicate in epigrafe;

la proposta del relatore è stata ritualmente
comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in
camera di consiglio;

A. S.p.A. ha depositato memoria;

 

Considerato che

 

con il primo motivo, l’errore percettivo della Corte
è dedotto in relazione al fatto che il Giudice di legittimità avrebbe ritenuto
l’obbligazione risarcitoria scaturente esclusivamente da illecito
extracontrattuale e non anche – come risultava per tabulas dalle pagine 6 e 7
della sentenza della corte di appello – da responsabilità contrattuale, ex 1218
cod.civ., della datrice di lavoro. In tal modo la Corte di cassazione sarebbe
incorsa in una svista, non pronunciandosi, d’ufficio, sulla richiesta degli
interessi compensativi, eventualmente anche ai sensi dell’articolo 384, comma
2, cod.proc.civ.;

con il secondo motivo, l’errore di fatto è
individuato nell’avere la Corte presupposto erroneamente che la parte non
avesse depositato, unitamente al ricorso di legittimità, l’atto introduttivo
del giudizio di primo grado e per aver ricollegato, a detta omissione,
l’impossibilità procedurale di valutare il vizio. La Corte, infatti, non
avrebbe considerato il deposito, con il ricorso in cassazione, del fascicolo di
primo grado;

i motivi possono congiuntamente esaminarsi,
presentando analoghi profili di inammissibilità;

per pacifica giurisprudenza di questa Corte,
l’errore di fatto revocatorio consiste in una falsa percezione della realtà, in
una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, che abbia condotto ad affermare
o supporre l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli
atti e dai documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che,
dagli stessi atti e documenti, risulti positivamente accertato, sempre che tale
fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si
sia pronunciato (tra le tante, Cass. nr. 442 del 2018, Cass. nr. 6405 del 2018;
Cass. nr. 4456 del 2015; in motiv., Cass., sez. un., nr. 5906 del 2020);

l’errore revocatorio deve, dunque, avere i caratteri
dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo
raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, senza
necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche;
deve, inoltre, essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione
asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione da lui emessa deve
esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata
«con certezza di segno opposto» (nei termini, Cass. nr. 5197 del 2002;
successivamente, ex plurimis, in motivaz. Cass. nr. 19240 del 2011; Cass. nr.
n.4050 del 2016);

l’errore di fatto, invece, non è mai ravvisabile
nell’ipotesi di errore costituente il frutto di un qualsiasi apprezzamento degli
atti processuali ed è, quindi, esclusa dall’area degli errori revocatori la
sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione
(tra le molte, Cass. nr. 6405 del 2018 cit.; Cass. nr. 22171 del 2010; in
motiv., Cass., sez.un., nr. 8984 del 2018);

in questa prospettiva, è stata esclusa la ricorrenza
di un errore revocatorio, nel preteso errore sul contenuto concettuale delle
tesi difensive delle parti (Cass. nr. 11657 del 2006), nel preteso errore in
punto di individuazione delle questioni oggetto dei motivi del ricorso (Cass.
nr. 5086 del 2008), nel preteso errore nell’interpretazione dei motivi (Cass.
nr. 9533 del 2006) o nella lettura del ricorso (Cass. nr. 5076 del 2008), così
come, infine, nel preteso errore sull’esistenza, o meno, di una censura (Cass.
nr. 24369 del 2009);

con specifico riferimento al giudizio di
ammissibilità dei motivi di ricorso, espresso in relazione agli oneri di
specificazione desumibili dal combinato disposto degli artt. 366, comma 1, nr.
6 e 369, comma 2, nr. 6 cod.proc.civ., l’impossibilità di configurare «errore
revocatorio […] sulla violazione del “principio di autosufficienza”
in ordine a uno dei motivi di ricorso» (Cass. nr. 14608 del 2007; conf. Cass.
nr. 9835 del 2012; Cass. nr. 20635 del 2017) è stata sostenuta osservando che
«eventuali errori o incompletezze della menzionata attività di disamina […]
attengono (sempre) […] alla valutazione ed al giudizio in ordine al contenuto
del ricorso […] non […] oggetto del rimedio straordinario della revocazione
concesso solo per errori di fatto propriamente detti» (in motivazione, Cass.
nr. 14608 cit);

alla stregua di tali riassuntive indicazioni, emerge
chiaramente come la parte ricorrente non faccia valere alcun errore percettivo
nel senso chiarito dalla giurisprudenza sopra richiamata e cioè con riferimento
a un «fatto» risultante in modo incontrovertibile dagli atti o da essi
positivamente escluso;

in modo evidente, le censure involgono questioni
estranee alla logica del rimedio revocatorio; esse, infatti, investono
l’attività di inquadramento e apprezzamento giuridico della fattispecie dedotta
in causa e la valutazione resa dai giudici di legittimità in ordine alla
compiutezza del ricorso;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano, in
favore delle parti controricorrenti, come da dispositivo; nulla deve
provvedersi in relazione alle parti intimate, in difetto di attività difensiva;

va dato, altresì, atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi
del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo
introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per
il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese
del giudizio di legittimità, liquidate, in favore di ciascuna parte
controricorrente, in Euro 2500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00
per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 qua ter del D.P.R. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

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