Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 agosto 2021, n. 23532

Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato,
Compatibilità tra le funzioni di lavoratore dipendente e di amministratore
della società, Prova

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Genova ha respinto
l’appello della società K.T. d.o.o., confermando la decisione di primo grado,
di rigetto dell’opposizione dalla medesima proposta avverso il decreto
ingiuntivo emesso su ricorso di A.A. per differenze retributive;

2. la Corte territoriale, condividendo la
valutazione dei documenti come eseguita dal tribunale, ha ritenuto dimostrato
con chiarezza che il rapporto, svolto tra le parti dal 2004 al 30.11.2010,
avesse natura di rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato,
per effetto del quale A. aveva prestato la propria attività alle dipendenze
della società di nazionalità slovena, presso la filiale italiana della stessa,
in qualità di direttore;

3. ha considerato le deposizioni dei testimoni D.M.
e B.P. non idonee a smentire tale qualificazione del rapporto ed a dimostrare
il ruolo dell’A. quale amministratore della filiale; sia in ragione della
teorica compatibilità tra le funzioni di lavoratore dipendente e di
amministratore della società, sia perché i dati riferiti dai testimoni non
apparivano determinanti data l’autonomia decisionale comunque spettante al
direttore di filiale; ha aggiunto che la stessa società appellante aveva
allegato che solo nel 2010 era stata costituita una vera e propria società
italiana, la K.T. srl, di cui A. era stato legale rappresentante e
amministratore;

4. la Corte di merito ha confermato le statuizioni
di primo grado anche in ordine alla sussistenza di prova della intervenuta
transazione tra le parti nel giugno del 2009 e al difetto di prova, di cui era
onerata la società, di corresponsione al dipendente della somma di euro
96.330,00 il cui effettivo pagamento, nei tempi concordati, era espressamente
previsto come condizione sospensiva dell’efficacia dell’accordo medesimo;

5. facendo proprie le conclusioni del c.t.u.
nominato in primo grado, recepite dal Tribunale, i giudici di appello hanno
ribadito che le due note di credito emesse dalla società a favore della filiale
italiana, rispettivamente in data 26.6.09 per l’importo di euro 94.601,09 e in
data 16.12.09 per l’importo di euro 34.067,37, non risultavano collegate
all’accordo transattivo, recando un importo differente, e che inoltre non era
vi era traccia nella documentazione contabile di un bonifico della somma dovuta
in favore del sig. A., modalità prevista dall’accordo transattivo, e neanche di
un prelievo diretto della somma da parte del medesimo sul conto corrente della
filiale; dovendosi concludere che la società onerata non avesse dato prova
dell’avvenuta esecuzione, mediante effettivo pagamento, della transazione (non
novativa);

6. avverso tale sentenza K.T. d.o.o. ha proposto
ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi; A.A. ha resistito con
controricorso;

7. la proposta del relatore è stata comunicata alle
parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi
dell’art. 380 bis c.p.c.

 

Considerato che

 

8. con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., violazione dell’art. 132,
comma 2, n. 4 cod. proc. civ., per omessa e carente motivazione, per essersi la
Corte d’appello limitata a riprodurre le motivazioni della sentenza di primo
grado, senza esaminare le censure proposte dalla società appellante in ordine
alla qualificazione del rapporto della stessa con A.A.;

9. col secondo motivo è denunciata, ai sensi
dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., violazione dell’art. 132, comma
2, n. 4 e dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia: a) sulle censure
mosse in ordine alla mancata valutazione da parte del Tribunale di elementi
essenziali ai fini della qualificazione del rapporto tra le parti, oggetto del
primo motivo di appello (si assume che il Tribunale si sia basato solo su dati
documentali, desunti: dalla scheda contabile anagrafica del lavoratore,
dall’accordo economico interno di lavoro concluso tra le parti, peraltro
equivocando sulla traduzione, dai modelli unici per la dichiarazione dei
redditi degli anni 2008 e 2009 e dalla relazione di c.t.u. contabile, senza
valorizzare le circostanze relative al quadro fattuale); b) sui rilievi di
mancato esame, da parte del primo giudice, di circostanze di fatto relative
alla intervenuta transazione, desumibili dalla deposizione del teste B.P.,
oggetto del secondo motivo di appello; c) sulla dedotta insussistenza del
credito del lavoratore per estinzione o per rinuncia dello stesso, oggetto del
terzo motivo di appello, rispetto a cui non sono stati considerati i seguenti
fatti pacifici e determinanti: la mail del 22.10.10 con cui A. negava di essere
creditore, la prosecuzione dei rapporti tra le parti dopo i fatti controversi,
con il sorgere di un sodalizio societario, il lasso di tempo intercorso, circa
9 anni, senza che A. sollecitasse alcun pagamento;

10. col terzo motivo si censura la sentenza
d’appello, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., per omessa
valutazione di fatti decisivi ai finii della natura del rapporto professionale
dell’A. e delle conseguenze della intervenuta transazione, con ampi riferimenti
al comportamento delle parti e al contenuto di documenti e delle deposizioni
testimoniali raccolte;

11. col quarto motivo è dedotta, ai sensi dell’art.
360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt.
1218, 1453, 2697 cod. civ. nella parte in cui viene posto a carico della
società l’onere di provare il fatto dell’avvenuta esecuzione della transazione;
si sostiene che, in base all’accordo transattivo, la società avrebbe dovuto
emettere le note di credito per l’importo concordato in favore della filiale e che
quest’ultima, nella persona dell’A., avrebbe dovuto procedere al bonifico; che
la società aveva adempiuto all’onere di dimostrare l’emissione delle note di
credito, con conseguente onere dell’A. di provare l’impossibilità di eseguire
il bonifico a se stesso, per causa a lui non imputabile;

12. il ricorso non può trovare accoglimento;

13. sul primo motivo di ricorso, deve richiamarsi
l’orientamento di questa Corte secondo cui la sentenza d’appello può essere
motivata per relationem, purché il giudice del gravame dia conto, sia pur
sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di
impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello
rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della
parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo
esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte
territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo
acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (v.
Cass. n. 20883 de 2019; n. 28139 del 2018); si è infatti considerata nulla la
sentenza di appello motivata per relationem alla sentenza di primo grado,
qualora la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla
condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto
attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame,
previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli
elementi di prova e dei motivi di appello (v. Cass. n. 22022 del 2017),
dovendosi in tal caso escludere che la motivazione sia espressione di un
autonomo processo deliberativo (v. Cass. n. 27112 del 2018);

14. la sentenza della Corte d’appello, sia pure
esprimendo una completa condivisione degli argomenti utilizzati dal tribunale,
ha tuttavia preso in esame e replicato alle censure oggetto dei motivi di
impugnazione e del primo motivo in particolare (ampiamente riportato nella
sentenza impugnata), attraverso proprie valutazioni delle prove raccolte
(deposizioni dei testi D.M. e B.P.) e proprie considerazioni in diritto
(possibile coesistenza delle qualifiche di lavoratore subordinato e
amministratore di società);

15. deve pertanto escludersi che ricorra il vizio di
motivazione omessa o apparente, come delineato dalle S.U. di questa Corte nella
sentenza n. 8053 del 2014;

16 neppure il secondo motivo di ricorso può trovare
accoglimento, dovendosi escludere la dedotta violazione dell’art. 112 cod.
proc. civ. sotto il profilo dell’omessa pronuncia;

17. questa Corte ha chiarito che ad integrare il
vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del
giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento
che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto. Non è
configurabile la violazione dell’art. 112 c.p.c. ove il giudice di merito non
abbia considerato i fatti secondari dedotti dalla parte (v. Cass. n. 7653 del
2012; n. 22799 del 2017);

18. nel caso di specie, le censure mosse investono
il maggior peso attribuito ad alcuni elementi rispetto ad altri e quindi, nella
sostanza la valutazione del materiale probatorio compiuta dai giudici di
merito, al di fuori del perimetro segnato dall’art. 360, comma 1, n. 5 cod.
proc. civ. (v. Cass., S.U. n. 8053 del 2014), e risultano come tali
inammissibili;

19. il terzo motivo di ricorso è inammissibile in
ragione della disciplina di cui all’art. 348 ter, comma 5, c.p.c., sulla c.d.
doppia conforme; non solo la parte ricorrente non ha allegato la diversità
delle ragioni di fatto poste a base delle decisioni di primo grado e della
sentenza di appello (Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 5528 del 2014), ma la
totale condivisione da parte dei giudici di appello della motivazione di primo
grado avvalora la ricorrenza dei presupposti di cui alla disposizione
richiamata, una volta esclusa l’ipotesi di nullità ex art. 132, comma 2, n. 4
cod. proc. civ.;

20. inammissibile è anche il quarto motivo di
ricorso perché non risulta trascritto, se non in minima parte, né depositato
l’accordo transattivo di cui si discute, in violazione degli oneri di cui agli
artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c.; il motivo è,
comunque, infondato perché il rilievo che, secondo la transazione, il pagamento
dovesse essere eseguito dalla società alla filiale italiana e da questa aN’A.,
ove anche dimostrato, non modificherebbe il criterio di distribuzione
dell’onere probatorio correttamente applicato dai giudici di merito;

21. infatti, il creditore che agisce per la
risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno o per l’adempimento
deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo
termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza
dell’inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la
prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto
adempimento (v. Cass. n. 826 del 2015);

22. non ricorrono i presupposti dell’art. 96 c.p.c.,
la cui applicazione è stata sollecitata dal controricorrente, non potendosi far
coincidere la mala fede o la colpa grave della parte soccombente con la mera
infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate (cfr. Cass., S.U. n. 9912
del 2018) e non risultando nel caso di specie elementi ulteriori significativi
di un abuso dello strumento processuale;

23. per le considerazioni svolte,, il ricorso deve
essere respinto;

24. le spese del giudizio di legittimità seguono la
soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

25. si dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n.
115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi
professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella
misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 agosto 2021, n. 23532
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