Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 settembre 2021, n. 23820

Rapporto di lavoro, Rinnovi contrattuali, Licenziamento,
Illegittimità, Premi di produttività e ed incentivi economici non pagati

 

Fatti di
causa

 

1. La Corte di appello di Napoli, con la sentenza n.
822 del 2016, in riforma della pronuncia del Tribunale della stessa sede del
28.10.2011, condannava Equitalia Sud al pagamento, in favore di G.P., della
somma di euro 23.684,03, oltre accessori, a titolo di importi dovuti a seguito
di due rinnovi contrattuali, di premi di produttività e degli incentivi
economici non pagati dalla società durante il periodo del suo licenziamento poi
dichiarato illegittimo.

2. I giudici di seconde cure, a fondamento della
decisione, rilevavano che: a) il ricorso introduttivo del 2006, relativo al
giudizio di licenziamento, non poteva ricomprendere le somme dovute per i
rinnovi contrattuali perché la retribuzione globale di fatto era stata
quantificata sulla base di voci retributive esistenti al momento del licenziamento
e nella loro entità all’epoca del licenziamento stesso; b) conseguentemente,
sul punto non avrebbe potuto essere proposto appello perché il danno, al
momento della proposizione della domanda, non si era ancora verificato; c) la
domanda formulata dal P. era di natura risarcitoria per i danni che il
comportamento illegittimo del datore di lavoro aveva procurato, per cui era
autonoma rispetto alle pretese azionate nel giudizio di impugnazione del
recesso; d) la società non aveva provato di avere già corrisposto le somme
dovute ai titoli richiesti.

3. Avverso la decisione di secondo grado proponeva
ricorso per cassazione Equitalia Sud (alla quale è subentrata l’Agenzia delle
Entrate Riscossione Ente Pubblico Economico), affidato a tre motivi, cui resisteva
con controricorso G.P..

4. Le parti hanno depositato memorie.

 

Ragioni della decisione

 

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la
violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 cc, 112, 324 e 420 cpc, 18
legge n. 300 del 1970, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, per avere
erroneamente la Corte di merito, disattendendo il giudicato intervenuto e
violando il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato,
ritenuto che al P. andassero liquidati gli ulteriori emolumenti maturati nel
periodo dal licenziamento (e per esso dalla domanda) alla sentenza di
annullamento del licenziamento medesimo. Sostiene che, nella originaria
domanda, alcuna riserva era stata prevista in ordine ad aumenti di retribuzione
che sarebbero potuti intervenire successivamente al licenziamento ovvero alla
domanda e che alcun appello incidentale, sul punto, era stato presentato
avverso la sentenza che dichiarava la illegittimità del licenziamento.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e
falsa applicazione dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970, in relazione
all’art. 360 n. 3 cpc, per avere la Corte di merito erroneamente affermato che
la retribuzione globale di fatto, alla quale commisurare il risarcimento dei
danni per l’illegittimo licenziamento, sarebbe stata costituita da quella
retribuzione che il dipendente avrebbe percepito se avesse lavorato, da tanto
facendo derivare la inclusione nella stessa degli aumenti contrattuali nelle
more intervenuti dopo il licenziamento e fino alla sentenza di reintegra.

4. Con il terzo motivo la ricorrente si duole
dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione
tra le parti, in relazione all’art. 360 n. 5 cpc, per non avere rilevato la
Corte territoriale, anzi per averlo escluso in quanto non vi era stata una
dimostrazione semplice e chiara, che gli importi richiesti erano stati già
corrisposti al dipendente.

5. Preliminarmente va rilevato che la mera
segnalazione, contenuta nella memoria depositata dalla ricorrente, in ordine
alla pendenza, presso questa Corte di altri due ricorsi, intercorrenti tra
l’Agenzia delle Entrate Riscossione ed altri due dipendenti, riguardanti
decisioni difformi della Corte di appello di Napoli sul medesimo oggetto,
esclude la necessità di un simultaneus processum in assenza della indicazione
di elementi più specifici da cui desumere una connessione logico-giuridica tra
gli stessi che, invece, lo imponga.

6. Venendo allo scrutinio del primo motivo, osserva
il Collegio che esso, oltre a presentare profili di inammissibilità per difetto
di autosufficienza e di specificità sia sul contenuto sia sul deposito rite et
recte, nel presente giudizio, dei documenti ivi indicati, in particolare del
“ricorso di primo grado del 23.2.2006” e della “sentenza della
Corte di appello di Napoli 6.11.2008” (di cui controparte peraltro
contesta l’esistenza), è infondato perché, nella fattispecie, non vi è stata
alcuna lesione del giudicato formatosi in tema di licenziamento, ma solo la
formulazione di una domanda, nuova e autonoma -rispetto alla quale il
licenziamento del 2005 dichiarato illegittimo (con reintegrazione disposta
dall’1.1.2009) rappresenta unicamente il presupposto – presentata nel 2010,
diretta la pagamento di differenze retributive e premi collettivi aziendali
maturati per effetto di accordi collettivi nazionale ed aziendali intervenuti
nel 2008.

7. Né può assumere rilevanza la questione, sollevata
dal ricorrente, in ordine alla necessità di prospettare una eventuale riserva
di ulteriori danni derivanti dal licenziamento illegittimo.

8. Invero, come affermato in questa sede di
legittimità (Cass. n. 6091 del 4.3.2020) il giudicato copre dedotto e
deducibile in relazione al medesimo oggetto e, pertanto, non soltanto le ragioni
giuridiche e di fatto esercitate in giudizio, ma anche tutte le possibili
questioni, proponibili in via di azione o eccezione, che, sebbene non dedotte
specificamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della
pronuncia, ma non può spiegare i suoi effetti in ordine alle questioni che non
potevano essere proposte prima che sorgesse il fatto giuridico da cui
scaturiscono.

9. Alcuna riserva, pertanto, in relazione a fatti
non ancora venuti in essere e di cui non era neanche certo il loro accadimento,
sarebbe stata ammissibile, difettando per l’allora ricorrente l’intero ed
effettivo panorama delle conseguenze dannose subite.

10. Il secondo motivo è inammissibile perché non si
confronta con la effettiva ratio decidendi della gravata sentenza che ha
ritenuto la fondatezza della pretesa del P. non perché gli adeguamenti e i
premi previsti per effetto di accordi collettivi nazionali ed aziendali,
intervenuti successivamente, andassero ad incidere sulla nozione di
retribuzione globale di fatto posta a base della determinazione della indennità
risarcitoria ma perché si trattava di danni economici consistiti nel mancato
godimento degli aumenti contrattuali per il rinnovo dei contratti collettivi di
settore e venuti in essere successivamente, derivanti dal comportamento
illegittimo del datore di lavoro che aveva comminato un licenziamento
annullato.

11. Infine, anche il terzo motivo è infondato.

12. Il fatto storico denunziato nella censura è
stato valutato dalla Corte di merito che ha escluso, con una motivazione
adeguata e da cui è possibile desumere l’iter logico, che parte datoriale non
aveva dimostrato il pagamento delle pretese del dipendente e che l’importo
versato non riguardava le voci retributive da quest’ultimo richieste.

13. Ne consegue che la gravata sentenza non è
incorsa nel vizio di cui alla nuova formulazione dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc,
come delineato dalle SS.UU. di questa Corte con la fondamentale pronuncia n.
8053 de 2014.

14. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere
rigettato.

15. Le spese del presente giudizio di legittimità
seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo, con distrazione.

16. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR
n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve
provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da
dispositivo, essendo stato l’originario ricorso presentato da una società per
azioni (cui è subentrato nel corso del giudizio un Ente pubblico economico),
non difesa dall’Avvocatura dello Stato, che ha regolarmente corrisposto
all’atto della iscrizione a ruolo il contributo unificato senza avvalersi del
regime della prenotazione a debito (Cass. n. 11862/2018): in ogni caso, resta
salva la determinazione degli altri organi a ciò competenti se lo stesso sia
dovuto, in relazione ad altri profili non di spettanza di questo Collegio.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.500,00
per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli
esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in
favore del Difensore del controricorrente. Ai sensi dell’art. 13, comma 1
quater del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del
comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

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