Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 ottobre 2021, n. 27309

Licenziamento, Indizi labili e in parte anche contraddittori
– Appropriazione di spezzoni di rame, Valutazione di prove testimoniali

 

Fatti di causa

 

La Corte di Appello di Roma, accogliendo il reclamo
presentato da M.R., ai sensi dell’art.
1, co. 58, I. n. 92 del 2012, avverso la sentenza del Tribunale della
stessa sede n. 4955/2018, resa il 12.6.2018, ha dichiarato illegittimo il
licenziamento intimato al R. dalla I.I. S.p.A. il 30.5.2016 e, per l’effetto,
lo ha annullato ed ha condannato la società alla reintegrazione del dipendente
nel posto di lavoro e nelle mansioni precedentemente svolte, o in mansioni
equivalenti, ed al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata
all’ultima retribuzione globale di fatto in misura pari a dodici mensilità, con
interessi legali sulla somma via via annualmente rivalutata, dalla maturazione
di ogni spettanza al soddisfo e con l’aggiunta della regolarizzazione
previdenziale ed assistenziale.

I giudici di seconda istanza, per quanto ancora di
interesse in questa sede, hanno reputato che la sanzione espulsiva non potesse
giustificarsi in presenza di <<indizi labili (e in parte anche
contraddittori)>> e che, pertanto, il fatto contestato –
<<l’essersi introdotto il giorno 25 maggio 2016 alle 6.20 nel cantiere di
Acilia ove operava la società, pur avendo un orario di lavoro decorrente dalle
7.30, e di avere caricato in macchina spezzoni di rame>> – fosse
insussistente.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso
la società datrice I.I. S.p.a. sulla base di un motivo contenente più censure,
ulteriormente illustrato da memoria, cui il Reggio ha resistito con
controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con l’unico mezzo di impugnazione articolato si
denunzia la <<Violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., 11, c.
6, Cost., 132, co. 2, n. 4, c.p.c., in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.,
per avere>> i giudici di secondo grado <<erroneamente affermato che
gli indizi fondanti la presunzione non erano gravi, precisi e concordanti con
motivazione contraddittoria ed obiettivamente incomprensibile>>, essendo
invece palese che gli indizi a disposizione della Corte di merito fossero
gravi, precisi e concordanti, in quanto delibati dalle deposizioni dei testi
escussi. Pertanto, a parere della società ricorrente, <<è proprio la
motivazione della sentenza impugnata che è contraddittoria e comunque
obiettivamente incomprensibile, sicché lede l’art.
11, c. 6, Cost. e l’art. 132, c. 2, n. 4, cod.
proc. civ., come affermato dalla Suprema Corte a Sezioni Unite con la sentenza 7 aprile 2014 n. 8053>>.

1.1. Il motivo – teso, nella sostanza a sollecitare
una diversa ricostruzione ed interpretazione delle emergenze istruttorie
rispetto a quella operata dai giudici di seconda istanza – non è meritevole di
accoglimento. Ed invero, in ordine alla valutazione degli elementi probatori,
posto che la stessa è attività istituzionalmente riservata al giudice di
merito, non sindacabile in Cassazione se non sotto il profilo della congruità
della motivazione del relativo apprezzamento (nella fattispecie, peraltro,
congrua, condivisibile e scevra da vizi logici), alla stregua dei costanti
arresti giurisprudenziali di questa Suprema Corte, qualora il ricorrente
denunzi, in sede di legittimità, l’omessa o errata valutazione di prove
testimoniali, ha l’onere non solo di trascriverne il testo integrale nel
ricorso per cassazione, ma anche di specificare i punti ritenuti decisivi al
fine di consentire il vaglio di decisività che avrebbe eventualmente dovuto
condurre il giudice ad una diversa pronunzia, con l’attribuzione di una diversa
valutazione alle dichiarazioni testimoniali relativamente alle quali si
denunzia il vizio (cfr., ex multis, Cass. nn, 17611/2018; 13054/2014; 6023/2009).

Nel caso di specie, invero, come innanzi osservato,
la contestazione sulla pretesa errata valutazione dei testi addotti da entrambe
le parti si risolve in una richiesta di riesame di elementi di fatto e di
verifica dell’esistenza di fatti decisivi sui quali la motivazione sarebbe
stata <<contraddittoria e comunque obiettivamente incomprensibile>>
(cfr. Cass. nn. 24958/2016; 4056/2009), finalizzata ad ottenere una nuova
pronunzia sul fatto, certamente estranea alla natura ed alle finalità del
giudizio di cassazione (cfr., explurimis, Cass.,
S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014).

Infine, relativamente al lamentato vizio
motivazionale (v. pag. 11 del ricorso), come sottolineato dalle Sezioni Unite
di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014),
per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione
solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della
motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata,
a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce
nella <<mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e
grafico>>, nella <<motivazione apparente>>, nel
<<contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili>> e nella
<<motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile>>,
esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di <sufficienza>>
della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un
vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un
fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo
della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se
esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene,
poiché la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come
riferito in narrativa, il 4.12.2018, nella fattispecie si applica, ratione
temporis, il nuovo testo dell’art. 360, primo
comma, n. 5, c.p.c., come sostituito dall’art. 54, comma 1, lettera b), del
D.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella I. n. 134 del 2012, a norma del quale la sentenza
può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto
decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma
nel caso in esame, il motivo di ricorso che denunzia il vizio motivazionale non
indica il fatto storico (Cass. n. 21152/2014), con carattere di decisività, che
sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello
avrebbe omesso di esaminare; né, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della
pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza <<così radicale
da comportare>> in linea con <<quanto previsto dall’art. 132, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza
per mancanza di motivazione>>. E, dunque, non potendosi più censurare,
dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della
sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla
coerenza del percorso motivazionale dei giudici di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229/2015), che, nella specie, è stato
condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del
tutto congrue poste a fondamento della decisione impugnata.

2. Pertanto, alla stregua delle considerazioni in
precedenza svolte, il ricorso va rigettato.

3. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono
la soccombenza.

4. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui
all’art. 13, comma 1 -quater, del
d.P.R. n. 115 del 2002, secondo quanto specificato in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente
al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro
5.250,00 per compenso professionale ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese
generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
-bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

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