Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 ottobre 2021, n. 27779

Licenziamento, Differenze retibutive, Prestazioni di lavoro
straordinario, festività, ferie, permessi non goduti, Prova

Rilevato

 

che la Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza pubblicata
il 10.8.2016, ha accolto il gravame interposto da S.B. e dagli altri lavoratori
indicati nel frontespizio della sentenza, nei confronti della S.r.l. G. (che ha
incorporato, a seguito di fusione in data 1.10.2007, la G. S.r.l.), avverso la
sentenza del Tribunale di Lamezia Terme n. 530/2010, resa il 13.4.2010, con la
quale erano state respinte le domande dei lavoratori dirette ad ottenere il
pagamento delle differenze retributive asseritamente spettanti a titolo di
lavoro straordinario, festività, ferie, permessi non goduti e TFR, per
l’attività prestata, dal 19.5.1995 al 10.4.2004, alle dipendenze della G. e
della G., presso il supermercato “D.” di Lamezia Terme, con le
qualifiche e l’orario specificamente indicati per ciascun ricorrente; che per la
cassazione della sentenza ricorre la G. S.p.A. articolando tre motivi, cui
resistono con controricorso A.M. e gli altri sedici lavoratori indicati nel
frontespizio, nonché, con altro controricorso, S.B.; che V.C. e gli altri tre
lavoratori indicati non hanno svolto attività difensiva; che il P.G. non ha
formulato richieste.

 

Considerato

 

che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 2697 c.c., ed
in particolare, si lamenta che i giudici di merito avrebbero ritenuto provato
lo straordinario, le ferie, le festività ed i permessi di ventisei dipendenti
licenziati in uno stesso supermercato, in misura uguale per tutti, su base
esclusivamente equitativa, <<sol perché la convenuta nel costituirsi
aveva ammesso prestazioni di lavoro straordinario, regolarmente retribuite (per
un numero di ore sensibilmente inferiore);»>; 2) in riferimento all’art.
360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt.
115 e 116 c.p.c., per errata ed <<imprudente>> valutazione della
prova <<autoreferenziale ed infarcita di contraddizioni>>, senza
<<interrogarsi sull’attendibilità dei testi, con conseguente violazione
del principio di prudente valutazione delle prove>>; 3) in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., <<omesso esame di un documento
decisivo: i fogli presenza sottoscritti dai lavoratori comprovanti l’effettivo
orario di lavoro, con riferimento al periodo dal 18.11.2002 al
24.2.2004>>, posto che i medesimi non avevano mai contestato l’orario di
lavoro indicato nei predetti fogli;

che il motivi – da trattare congiuntamente per
ragioni di connessione – sono inammissibili, in quanto le censure formulate,
tendono, all’evidenza, a sollecitare una nuova valutazione delle prove,
pacificamente estranea al giudizio di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass.,
S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014), poiché <<il compito di
valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza spetta in
via esclusiva al giudice di merito>>; per la qual cosa <<la
deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della
sentenza impugnata, per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove,
non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito
dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì solo la facoltà
di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza
logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito>>
(cfr., ex multis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014 citt.; Cass.
n. 2056/2011); e, nella fattispecie, la Corte distrettuale è pervenuta alla
decisione impugnata attraverso un iter motivazionale condivisibile dal punto di
vista logico-giuridico, dopo avere preso in considerazione gli elementi
acquisiti ed avere vagliato le risultanze istruttorie, dovendosi, altresì,
osservare che non sono state riportate le dichiarazioni rese dai testi escussi,
che si assumono erroneamente interpretate dalla Corte di merito; e ciò, in violazione
del disposto dell’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c., con la conseguenza che
questa Corte non è stata messa in grado di apprezzare compiutamente la
veridicità delle doglianze svolte (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016;
23675/2013; 1435/2013); che, dunque, nella sostanza, tutti i mezzi di
impugnazione attengono a censure di fatto, articolate (alcune) mediante
presunti errori di diritto, deducendosi, inoltre – e, peraltro irritualmente,
la violazione degli artt. 115 e 116 in riferimento al n. 4 del primo comma
dell’art. 360 del codice di rito, quindi quale error in procedendo -, dal
momento che, in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al
principio del libero convincimento del giudice, la violazione delle predette
norme è apprezzabile, in sede di ricorso di legittimità, nei limiti del vizio
di motivazione di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. e <<deve emergere
direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di
causa, inammissibile in sede di legittimità>> (cfr., ex plurimis, Cass.,
ord. n. 8763/2019; sent. n. 24434/2016). Pertanto, la violazione degli artt.
115 e 116 c.p.c. non può essere dedotta nel ricorso per cassazione ove si
lamenti che i giudici di merito, nel valutare le prove addotte dalle parti, abbiano
attribuito <<maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad
altre>> (v., tra le altre, Cass. n. 11892/2016);

che, infine, per quanto più specificamente attiene
al terzo motivo, va rilevato che la censura è direttamente ancorata all’esame di
documentazione – fogli di presenza sottoscritti dai lavoratori – non prodotta,
né indicata tra i documenti offerti in comunicazione con il ricorso di
legittimità, né trascritta, in violazione del disposto dell’art. 366, primo
comma, n. 6, c.p.c. ed in spregio del principio, più volte ribadito da questa
Corte, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo
specifico atto precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla
Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie
asserzioni prima di esaminare il merito della questione (tra le molte, con
arresti costanti, Cass. n. 14541/2014), poiché il ricorso per cassazione deve
contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si
chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione
della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti
esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado
di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013;
1435/2013);

che per le considerazioni che precedono, il ricorso
va dichiarato inammissibile;

che le spese, liquidate come in dispositivo, in
favore di S.B. e degli altri controricorrenti che hanno svolto attività
difensiva, seguono la soccombenza;

che nulla va disposto per le spese nei confronti di
V.C. e degli altri tre lavoratori rimasti intimati; che, avuto riguardo
all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i
presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115
del 2002, secondo quanto specificato in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso; condanna la
società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità,
liquidate in Euro 5.250,00 per compenso professionale ed Euro 200,00 per
esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, in
favore di S.B.; ed in Euro 7.000,00 per compenso professionale ed Euro 200,00
per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge in
favore degli altri controricorrenti che hanno svolto attività difensiva.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

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