Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 ottobre 2021, n. 29912

Cessazione del rapporto di lavoro, Transazione,
Contestazione di abusiva correzione della cifra inizialmente indicata,
Presunzione di autenticità

 

Fatti di causa

 

1. Il Tribunale di Pescara, in accoglimento del
ricorso proposto da E. M., aveva condannato la s.a.s. V. di T.V. & c.,
azienda del settore della ristorazione, al pagamento, in favore della prima,
della complessiva somma di € 24.481,75, oltre accessori di legge, a titolo di
differenze retributive, in relazione al rapporto di lavoro intercorso tra le
parti dal 2 ottobre 2008 (con formale assunzione solo dal 19 giugno 2009) fino
al 25 marzo 2010, con la qualifica di operaia ed inquadramento al 7° livello
del CCNL Pubblici Esercizi.

2. La Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza del
4.2.2016, in accoglimento parziale del gravame della società, riformava
parzialmente la sentenza impugnata, confermata nel resto, e disponeva la
condanna della VAS al pagamento, in favore della M., della minor somma di €
13.188,90, oltre accessori di legge, per avere accertato, sulla base delle
risultanze della espletata c.t.u. contabile, che dalla somma quale riconosciuta
in primo grado dovesse essere detratto quanto indicato come già percepito dalla
lavoratrice.

3. Per quel che rileva più specificamente nella
presente sede, la Corte distrettuale osservava che, se pure la M. aveva
sottoscritto a transazione ed a completa tacitazione di ogni ulteriore pretesa
la dichiarazione liberatoria in data 4.5.2010, non disconosciuta nella
sottoscrizione, la stessa si presentava palesemente adulterata con la
correzione della somma iniziale di € 1500,00 “attraverso la malaccorta
apposizione del numero 1 davanti alle altre cifre – numero 1 che risulta
ricalcato più volte -, con l’aggiunta dell’importo in lettere non completo, mediante
grafia non corrispondente “ictu oculi” a quella della
lavoratrice”, a ciò aggiungendo che d’altronde la M. aveva prodotto due
assegni postdatati di E 750,00 ognuno, per l’importo complessivo proprio di €
1500,00. Il giudice del gravame osservava che, in ogni caso, non appariva
credibile che alla M., la quale aveva percepito non più di 1000,00 euro al mese
per un contratto part time durato cartolarmente nemmeno un anno, l’azienda
avesse versato alla cessazione del rapporto la detta cospicua somma, a ciò aggiungendo
che per di più tale preteso pagamento, di cui non vi era alcuna traccia,
sarebbe avvenuto addirittura interamente in contanti, il che confermava
l’infondatezza del corrispondente motivo di appello della società.

4. Di tale decisione domanda la cassazione la
società, affidando l’impugnazione ad unico motivo.

5. La M. é rimasta intimata. Il P.G. ha fatto
pervenire le sue conclusioni scritte.

 

Ragioni della decisione

 

1. Il presente procedimento è regolato dall’art. 23,
comma 8-bis del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. con modificazioni nella
legge 18 dicembre 2020, n. 176, secondo cui “Per la decisione sui ricorsi
proposti per la trattazione in udienza pubblica a norma degli articoli 374,
375, ultimo comma, e 379 del codice di procedura civile, la corte di cassazione
procede in camera di consiglio senza l’intervento del procuratore generale e
dei difensori delle parti, salvo che una delle parti o il procuratore generale
faccia richiesta di discussione orale”.

1.2. Né i difensori delle parti, né il Procuratore
Generale hanno fatto richiesta di discussione orale.

2. La ricorrente denunzia violazione degli artt.
2702 c.c., 214 e 215 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., ponendo
rinvio al testo di un atto a firma della M., recante la data del 4.5.2010, nel
quale la stessa dichiarava di avere percepito la somma di € 11.500,00 al
momento della cessazione del rapporto di lavoro a titolo di retribuzione,
nonché somme non specificate nell’apposito spazio per rateo 13° e 14°, ferie e
permessi non goduti, t.f.r., a transazione ed a completa tacitazione di ogni
spettanza per la collaborazione intercorsa tra le parti e di non avere
null’altro a pretendere per nessun titolo ragione o azione.

2.1. Osserva che, alla prima udienza dinanzi al
giudice del lavoro, la M. ha riconosciuto la sottoscrizione e si è limitata ad
una generica contestazione di abusiva correzione della cifra inizialmente
indicata di € 1500,00, modificata con l’indicazione di € 11.500,00, somma
asseritamente mai percepita, essendo stata ricevuta, a mezzo di due assegni
postdatatati, solo la somma inizialmente indicata.

Poiché la resistente non aveva avanzato querela di
falso nei riguardi della dichiarazione liberatoria, avendone riconosciuto la
sottoscrizione, doveva ritenersi, secondo la ricorrente, che la scrittura fosse
sorretta da presunzione di autenticità quanto al suo contenuto.

2.2. Assume l’incongruità delle affermazioni della
Corte, evidenziando come la questione sottoposta all’esame della stessa
concerna la non corretta applicazione delle norme in diritto operata dai
giudici del merito.

3. Il ricorso è fondato.

4. Deve essere ricordato l’insegnamento di questa
Corte secondo cui “la scrittura privata, quando ne sia stata o debba
considerarsi riconosciuta la sottoscrizione, è sorretta da una presunzione di
autenticità relativamente al contenuto, nel senso che l’autenticità della
sottoscrizione fa presumere la provenienza dal sottoscrittore delle
dichiarazioni attribuitegli, ma, se quest’ultimo, pur riconoscendo o non
disconoscendo la sottoscrizione, neghi di essere autore, totalmente o
parzialmente, delle dichiarazioni risultanti dal documento ed esperisca in
proposito con esito positivo la querela di falso, viene meno il collegamento
della sottoscrizione con le dichiarazioni e, quindi, l’indicata presunzione.
Pertanto, nel caso in cui sia denunciata la falsità materiale di una scrittura
privata, occorre che il sottoscrittore dia con la querela di falso la prova
della contraffazione del documento, e non anche che la stessa è avvenuta senza
o contro la sua volontà, mentre incombe sulla parte interessata a dimostrare il
contrario, ossia che la contraffazione e stata compiuta o consentita dal
sottoscrittore, l’onere di provare il proprio assunto, onde ricostituire il
collegamento tra sottoscrizione e dichiarazioni, infranto dal positivo
esperimento della querela di falso” (cfr. Cass. 3718/81, richiamata da
Cass. 14.3.2013 n. 6534).

5. Si desume da questa massima (e dalla lettura per
esteso della motivazione), cui è riconducibile il caso di specie, che è nel
giusto parte ricorrente quando lamenta che il contenuto della dichiarazione
della lavoratrice, non disconosciuta, non poteva essere posto nel nulla se non
attraverso la querela di falso.

5.1. Infatti, a fronte della produzione della transazione
da parte della società, la M., avendone dedotto la falsità materiale, avrebbe
dovuto impugnarla mediante querela di falso e, solo dopo il positivo
esperimento di detta impugnazione (che nella specie non vi è stato), si sarebbe
potuta aprire questione in ordine al rilascio della scrittura in bianco ed
all’esistenza di accordi circa il riempimento.

5.2. Il giudice del gravame ha ritenuto di
valorizzare elementi di valutazione che escludevano, in base ad un ragionamento
inferenziale, che la cifra cui si riferivano le parti nell’atto transattivo
potesse essere realmente quella indicata nell’atto, trascurando la fondamentale
circostanza che la parte contro cui era stata opposta la transazione aveva
lamentato una falsificazione materiale, perpetrata asseritamente con l’aggiunta
– ad una scrittura già completa – di un falso contenuto.

5.3. Nei casi, come quello in esame, di falsità
materiale, è stato invece, ritenuto indispensabile l’esperimento della querela
di falso per rompere il collegamento, quanto alla provenienza, tra
dichiarazione e sottoscrizione (cfr. Cass.14.3.2013 n. 6534 cit., con richiamo
a Cass. 5383/99 ed a Cass. 18664/12).

6. In base a tali condivisibili principi deve,
pertanto, ritenersi che la lavoratrice avrebbe dovuto proporre querela di falso,
ciò che induce ad affermare che la sentenza impugnata è errata in diritto.

7. Non di tratta, invero, nella specie di
riempimento di foglio rilasciato in bianco, in assenza di un patto di
riempimento (absque pactis), né si ricade nell’ipotesi del riempimento in
violazione dell’accordo di riempimento (contra pacta).

8. La querela di falso costituisce un rimedio
diretto ad eliminare la fede privilegiata della quale la scrittura privata con
sottoscrizione autenticata e riconosciuta gode, ai sensi dell’art. 2702 cod.
civ., e cioè la provenienza della dichiarazione da chi l’ha sottoscritta,
mentre il riempimento contra pacta della scrittura sottoscritta in bianco
concreta non un’ipotesi nella quale possa negarsi la provenienza della
dichiarazione dal sottoscrittore, ma un’ipotesi di non corrispondenza fra ciò
che risulta dichiarato e ciò che era stato pattuito di dichiarare.

9. E l’efficacia probatoria del documento legalmente
riconosciuto (per mancanza di disconoscimento), va qui ribadito, può essere
disattesa solo tramite la proposizione di querela di falso (art. 214 c.p.c., e
segg.., art. 221 cod. proc. civ., e segg.; cfr. anche, sul tema, Cass. civ.
Sez. 3, 30 aprile 2005 n. 9024): querela proponibile in qualunque stato e grado
del giudizio, con le modalità e nelle forme di cui al secondo ed al terzo terzo
comma dell’art. 221 c.p.c.

10. Nella specie non è stata assunta dall’
interessata alcuna iniziativa del genere, sicché la Corte di merito ha nella
sostanza accertato incidentalmente e d’ufficio la falsità dell’indicazione
contenuta nella transazione, al di fuori delle rigorose procedure di legge.

11. In conclusione, il ricorso va accolto e la
sentenza deve essere cassata, con conseguente rinvio della causa dinanzi al
giudice del rinvio designato in dispositivo, che dovrà uniformarsi ai principi
richiamati nel procedere a nuovo esame.

12. Allo stesso giudice va demandata la
determinazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e
rinvia alla Corte di appello di L’Aquila in diversa composizione, cui demanda
di provvedere alla determinazione delle spese anche del giudizio di
legittimità.

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