Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 novembre 2021, n. 35028

Rapporto di lavoro, Inadempimento dell’obbligo di sicurezza,
Infortunio, Lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore, Riconoscimento
del diritto al risarcimento del danno

 

Rilevato

 

– che, con sentenza del 7 novembre 2016, la Corte
d’Appello di Bari confermava la decisione resa dal Tribunale di Foggia e
accoglieva la domanda proposta da G.M. nei confronti di P.I. S.p.A. avente ad
oggetto il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno per
inadempimento dell’obbligo di sicurezza ex art. 2087 c.c. in relazione
all’infortunio occorsogli sul lavoro;

– che la decisione della Corte territoriale discende
dall’aver questa ritenuto in effetti violato l’obbligo di sicurezza, discendendo
l’evento di danno (il ricorrente, posizionato sul piano esterno del camion
posto sul piazzale del centro di smistamento e qui intento a spingere i cassoni
verso il fondo del mezzo, scivolava rovinosamente sul piano predetto reso
viscido dalla pioggia battente, cadendo da un’altezza di circa mt. 1,50) da
deficienze organizzative e, nello specifico, dalla mancata considerazione di
alcuni dei rischi sottesi alle lavorazioni cui quell’evento si correlava
(assenza di pensilina utile a proteggere il lavoratore dalla pioggia
persistente sotto la quale operava, necessità di svolgere la movimentazione del
carico manualmente in quanto impossibilitato ad utilizzare sollevatori
idraulici per essere il camion sprovvisto di una ribalta che consentisse
l’accesso al piano di carico sopraelevato del camion stesso e comunque per non
consentire lo spazio disponibile lo svolgimento dell’attività con modalità
meccaniche, inidoneità del presidio individuale di protezione, le calzature di
sicurezza, rispetto allo “sforzo di spinta necessario” alla
movimentazione, attività da ritenersi, in considerazione delle condizioni in
cui era svolta, di carattere straordinario), sussistente una lesione
dell’integrità psicofisica del lavoratore suscettibile di accertamento medicolegale,
correttamente apprezzata in sede di CTU sulla base dei criteri civilistici di
valutazione del danno biologico e liquidati applicando, in conformità
all’orientamento di questa Corte, i criteri utilizzati dal Tribunale di Milano
con riconoscimento altresì del danno emergente in misura pari alle documentate
spese di viaggio sostenute dal lavoratore per sottoporsi ai trattamenti
sanitari ed alle visite di controllo;

– che per la cassazione di tale decisione ricorre la
Società, affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso,
il M.;

– che entrambe le parti hanno poi depositato
memoria;

 

Considerato

 

– che, con il primo motivo, la Società ricorrente,
nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 d.P.R. n.
303/1956 in una con il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio, imputa alla Corte territoriale l’erroneità dell’interpretazione
restrittiva accolta della norma invocata (ritenuta riferita esclusivamente ai
lavori svolti in luogo chiuso) e la conseguente sancita irrilevanza del dato
accertato dell’utilizzo di idonee calzature impermeabili che, viceversa, in
base alla predetta norma, valeva ad escludere l’imputabilità dell’evento alla
Società;

– che, con il secondo motivo, denunciando la
violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c., la Società ricorrente
lamenta la non conformità a diritto del convincimento espresso dalla Corte
territoriale circa il derivare dell’evento dall’inveramento di un rischio
lavorativo del tutto estraneo alla specifica formazione (ed informazione) resa
al lavoratore e aggravato dal contesto ambientale di inveramento, che assume
essere frutto di una lettura della norma invocata in base alla quale il
criterio di imputazione della responsabilità abbia carattere oggettivo,
prescindendo dalla colpa del soggetto datore, piuttosto che, come ritenuto da
questa Corte, soggettivo fondato sulla colpa del datore medesimo; che, con il
terzo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione
degli artt. 414, 115 e 116 c.p.c. in relazione agli artt. 2103 e 2697 c.c., la
Società ricorrente lamenta l’incongruità dell’iter logico giuridico posto dalla
Corte territoriale a base della propria pronunzia per aver desunto dal
determinarsi dell’evento pregiudizievole dell’integrità psicofisica del
lavoratore la configurabilità di una condotta illecita del datore quale causa
dell’evento stesso e la stessa risarcibilità del danno biologico come autonoma
categoria di danno ulteriore rispetto al danno non patrimoniale, viceversa,
alla stregua dell’orientamento di questa Corte, destinato a ricomprenderlo;

che il primo motivo deve ritenersi inammissibile,
atteso che il rilievo della Corte territoriale, censurato dalla Società
ricorrente in quanto fondato su un’interpretazione dell’art. 7, d. P.R.
19.3.1956 n. 303 considerata eccessivamente restrittiva, circa la ritenuta
irrilevanza dell’uso del dispositivo individuale di protezione (indicato in
ricorso e qualificato dalla legge in sé idoneo ad escludere l’imputabilità del
datore) trova giustificazione nella valutazione, di per sé non fatta oggetto di
specifica censura, dell’essere il rischio lavorativo connesso allo svolgimento
delle mansioni assegnate al lavoratore eccedente l’efficacia protettiva di
quella misura e tale da esporre il lavoratore stesso con i suoi colleghi
all’evento dannoso in condizioni di obiettiva insicurezza del lavoro, tanto per
i mezzi, anche individuali, posti a tutela della sua persona quanto per il
complessivo apparato organizzativo che quel rischio aveva creato;

che conseguentemente infondato risulta il secondo
motivo, rinvenendosi nella suddetta più ampia situazione di rischio apprezzata
dalla Corte territoriale l’inadempimento colposo del datore dell’obbligo di
sicurezza di cui all’art. 2087 c.c. e la riferibilità al medesimo di una
condotta illecita;

– che parimenti infondato si rivela il terzo motivo,
dovendosi ritenere come abbia formato oggetto di uno specifico accertamento da
parte della Corte territoriale, che ne ha dato ampiamente conto nella
motivazione dell’impugnata sentenza, la relazione di causa/effetto tra la
situazione di rischio apprezzata come insita nelle condizioni operative del
lavoro affidato e, come detto, correttamente ricondotta al mancato intervento
in prevenzione del datore e l’evento pregiudizievole subito dal lavoratore e
come questa sia idonea a porsi quale presupposto fondante la proposta domanda
risarcitoria altrettanto correttamente determinata in relazione a quanto
allegato e provato con riguardo, non all’evento in sé ma alle conseguenze dallo
stesso rivenienti e nel quadro di una considerazione complessiva del danno non
patrimoniale, concorrendo con il danno biologico la sola componente, comunque
rilevante, del danno morale;

– che il ricorso va dunque rigettato;

– che le spese seguono la soccombenza e sono
liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro
200,00 per esborsi ed euro 5.250,00 per compensi, oltre spese generali al 15%
ed altri accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per i ricorsi) a norma del co. 1
bis dello stesso art. 13, se dovuto.

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